mercoledì 26 gennaio 2011

L'oblato in sé stesso e di fronte a Dio

L’Oblato, secondo la Costituzione Lumen Gentium del Concilio Ecumenico Vaticano II, è un laico, cioè uno di quei fedeli che «dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano» (Conc. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 31).
Già lo aveva detto San Pietro nella sua I Epistola: «Quanto a voi, siete una razza scelta, un sacerdozio regale, una nazione santa, un popolo di acquisto per cantare le lodi di Colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce mirabile» (1 Pt 2,9). E ancora: «Voi stessi, come pietre vive, dovete prestarvi alla costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, allo scopo di offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio, per Gesù Cristo» (1 Pt 2,5).
E San Paolo agli Efesini: «È in Lui che siamo stati separati, designati a priori secondo il piano prestabilito da Colui che guida ogni cosa secondo il beneplacito della sua volontà, per essere a lode della sua gloria» (1,11). Ogni cristiano è dunque un consacrato, e quindi ogni cristiano è, per così dire, chiamato a dare un tono di sacralità a tutte le sue azioni, a tutta la sua vita e, sempre secondo la Costituzione predetta «deve cercare il regno di Dio, trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (Cost. dogm. Lumen Gentium, n. 31).
Ma, mentre ben pochi sono quelli che lo sanno e ci pensano almeno qualche volta, l’Oblato è un laico che sa e vuole vivere con piena coscienza e coerenza il proprio battesimo; perciò alla semplice professione cristiana vuole aggiungere un impegno nuovo: quello della sua Oblazione.
Quando San Benedetto nel Prologo della sua Regola vuole che apertis oculis ad deificum lumen adtonitis auribus [«aprendo gli occhi a quella luce divina ascoltiamo con trepidazione»] ascoltiamo la voce divina, che cosa ci chiede se non che prendiamo coscienza della nostra dipendenza da Dio e dell’obbligo di vivere in modo adeguato?
La scuola del servizio divino – così San Benedetto chiama il Monastero e noi potremmo chiamare le adunanze degli Oblati – vuole precisamente ricordarci che alla consacrazione battesimale un’altra se ne aggiunge per noi liberamente e volontariamente scelta.
Gli Oblati non sono consacrati come i Monaci, legati con voti, costretti ad una separazione anche materiale dal proprio ambiente; ma sono anch’essi dei consacrati, nel senso che debbono dare a Dio il tributo libero e volontario di una vita cristiana concreta e generosa, che, secondo quanto si ricava dalla Regola, è imperniata su due princìpi basilari: il primo, che Dio è tutto ed ha perciò tutti i diritti; l’altro, che l’Oblato, come dice il nome stesso, è offerto al servizio di Dio nella Chiesa. Egli non deve perciò ricercare nulla di speciale, ma deve vivere in perfezione quello che è il dovere di ogni cristiano. La Regola ci parla infatti di un servizio e di un amore: servizio a Dio Padre, amore a Cristo al quale nulla deve essere preposto, ed ai fratelli.
Servizio a Dio nel posto in cui la sua volontà ci ha collocato: tutto deve essere offerto e vissuto in piena adesione ai nostri impegni; tutto deve assumere la forma di una volontaria consacrazione.
Amore a Cristo, nostro fratello primogenito, nostro modello e causa efficiente della nostra santità; in Lui e per Lui carità fattiva e generosa verso i nostri fratelli.
Essere consacrati vuol dire semplicemente ricordarsi della nostra condizione di creature che in tutto dipendono dalla onnipotenza e dalla misericordia divina, e perciò tutto riferiscono, tutto offrono al Padre celeste, tutto compiono in docile dipendenza dalla sua legge.
E poiché Dio è qualche volta troppo lontano e inaccessibile per noi, San Benedetto ci indica la via più sicura, quella della umanità di Cristo, il Verbo fatto carne.
In ogni creatura c’è una traccia del volto divino, c’è una goccia del Sangue di Nostro Signore.
Saperle riconoscere, saperle raccogliere e custodire con vigile fedeltà, nel dovere di ogni giorno, nell’ambiente familiare e sociale che è il nostro, comportandoci sempre da figli di Dio, ecco la nostra consacrazione.
L’Oblazione compiuta e vissuta da anime aperte, che sanno discernere l’intima voce della coscienza nel tumulto e nel chiasso della vita moderna, è un grande aiuto. Il nome stesso volontariamente assunto dice all’Oblato che egli è offerto, dato, immerso nel divino, perché da lui povera creatura, il divino si riverserà nel mondo.
Un programma semplice, lineare, unitario, come è il programma che San Benedetto offre a tutti i suoi figli; un programma che potrebbe cambiare tante cose in questo nostro povero mondo di cui si dice tanto male.
Se ogni Oblato invece di lamentarsi, vivesse in pieno la sua oblazione e nel mondo si moltiplicassero questi consacrati nascosti, la misericordia divina troverebbe in essi i vasi mondi in cui riversarvi, e allora molte cose assumerebbero un volto nuovo.

[M. Emmanuella Moretti O.S.B. (1892-1972), estratto da L’oblato benedettino: lineamenti di spiritualità, Scuola tipografica benedettina, Parma 1969, qui in L’Eco dell’Eremo, bollettino agli oblati della Comunità degli Eremiti della Beata Vergine del Soccorso, n. 1, 1997, pp. 10-11]

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