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giovedì 23 novembre 2017

L’anima del monaco

Giovanni Nardini, L’anima del monaco. Vita nell’Eremo di Minucciano, Pezzini Editore, Viareggio (Lucca) 2017, 96 pp. in grande formato. Con testi di Fra Mario Rusconi, Don Mauro Lucchesi, Angela Rosi, Giovanni Nardini.

[Dalla presentazione redazionale:] Il libro, composto da 83 immagini, ci conduce in uno dei luoghi più suggestivi della Garfagnana: l’Eremo di Minucciano, l’ultimo eremo abitato da monaci eremiti che si ispirano alla regola benedettina dell’Ora et Labora. Nardini ha avuto il permesso/privilegio di entrare in questo luogo riservato e attraverso intensi scatti in bianco e nero ci rappresenta i momenti della vita di ogni giorno: la preghiera, la lettura, le varie attività lavorative, fino ai momenti di meditazione nelle celle dei monaci. Osservando i volti, i gesti di questi monaci, si avverte una luce particolare, che la foto mette in risalto, ma che è la luce della quiete e dell’interiorità, la luce dell’“anima del monaco”. Nardini è entrato con rispetto e delicatezza in questo mondo e con lo stesso rispetto e accortezza accompagna prendendo per mano chi questa realtà non la conosce e ha il piacere di scoprirla tramite l’incanto delle sue fotografie.








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martedì 17 aprile 2012

La preghiera liturgica

[Come abbiamo avuto occasione di dire all'uscita dell’opera di Dom Anselmo Stolz O.S.B. (1900-1942), Lo specchio del monaco, i monaci eremiti di Minucciano – la cui comunità abbiamo già presentato in precedenza, hanno intrapreso la lodevole iniziativa della riproposizione di libri non più presenti nel circuito editoriale, creando con alcuni amici l’associazione non commerciale “Laboratorio della Fede”. Il 21 marzo 2012, nella festa del Transito di san Benedetto, gli eremiti di Minucciano hanno pubblicato il quarto volume della loro fatica editoriale, dando alle stampe una preziosa opera di Madre Cécile J. Bruyère O.S.B. (1845-1909): La vita spirituale e l’orazione secondo la Sacra Scrittura e la tradizione monastica (312 pp.). Si tratta della famosa opera originariamente comparsa con il titolo La vie spiritelle et l’oraison, d’après la Sainte Écriture et la tradition monastique, la cui autrice – figlia spirituale di Dom Prosper Guéranger O.S.B. (1805-1875) – è la famosa prima abbadessa del monastero Sainte-Cécile di Solesmes, nonché figura di primissimo piano della spiritualità francese e monastica. Riproduciamo con piacere un brano del libro, in cui si tratta un tema che attraversa in filigrana l’intera opera, che espone il primato della liturgia nella vita religiosa, in particolare sviluppando la grazia che sgorga dal sacramento del battesimo. Ci sia permesso sollecitare i lettori di Romualdica a procurarsi con generosità copie del libro, per sé e i propri amici, che potrà essere richiesto allegando un’offerta, al seguente indirizzo: Eremo della Beata Vergine del Soccorso, Via dell’Eremo 2, 55034 Minucciano (Lucca)]

La lode ufficiale e sociale che la Chiesa militante rende a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, cioè l’insieme di formule, cerimonie e canti che fanno da accompagnamento necessario al sacrificio eterno, costituisce certamente la parte più alta del culto divino, che è essenzialmente tributo di adorazione, di ringraziamento, di lode e di impetrazione.
Nonostante l’avvolgesse di simboli, la Legge antica non ignorava l’importanza della preghiera liturgica, le cui parole sono state per la maggior parte ispirate da Dio e le cui formulazioni generiche sono state fissate dalla Chiesa; sarebbe quasi impossibile notare tutti i passi della Scrittura nei quali lo Spirito Santo rivendica su di essa i propri diritti divini. Mosè fa dipendere le benedizioni del cielo dalla fedeltà del popolo di Israele non solo ai comandamenti di Dio ma anche ai minimi particolari del culto: “Osserva i precetti del tuo Dio, le prescrizioni e le cerimonie che ti ha date”. Il libro dell’Ecclesiastico, quando loda qualche personaggio, rivela come suo merito precipuo la sollecitudine dimostrata verso il culto del vero Dio. E anche Ester, quando cerca di commuovere la misericordia divina, fa valere questo argomento decisivo: “Essi vogliono smentire le tue promesse, vogliono distruggere la tua eredità, chiudere le bocche che lodano il tuo nome, mandare in rovina la gloria del tuo tempio e del tuo altare”.
Nostro Signore stesso, durante tutta la sua vita mortale, ha riaffermato con l’esempio l’importanza della preghiera pubblica e sociale. Le sue frequenti visite a Gerusalemme non avevano altro scopo; l’esattezza con la quale adempiva alle prescrizioni della legge mosaica fin nei minimi particolari indica chiaramente quale posto la preghiera della Chiesa debba occupare nei nostri pensieri e nelle nostre azioni. I primi cristiani, a loro volta, hanno ampiamente dimostrato che Nostro Signore non era venuto ad abolire i riti della Sinagoga ma a realizzare ciò che in essi era in figura, e a procurare al Padre suo adoratori in spirito e in verità. Le lettere e gli Atti degli Apostoli indicano come i primi cristiani praticassero e stimassero la preghiera comunitaria. Successivamente i Padri ci hanno tramandato nei loro scritti, assieme al ricordo dell’importanza attribuita dalle anime fedeli alla preghiera comunitaria, le forme che essa ha successivamente assunto; la santa Chiesa, obbligando i chierici alla recita dell’Ufficio divino, dimostra a sufficienza l’intenzione dello Spirito Santo che la regge e la anima incessantemente.
Il Vangelo però, riferendo certi atteggiamenti severi di Nostro Signore nei confronti dei giudei, ci fa capire fino a qual punto Dio abbia a cuore la purezza di questo omaggio ufficiale che egli si attende dalle sue creature. Il Salvatore, riprendendo un’espressione del profeta Isaia, dice: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. È vano il culto che mi rendono, insegnando dottrine che sono precetti umani”. Sulle labbra del divino Maestro questo rimprovero assume un accento di particolare gravità; esso è rivolto alle anime affette di fariseismo, a quelle anime che fanno consistere tutto in un culto puramente esteriore e che con molta ostentazione donano a Dio solo la minima parte dell’uomo.

[Madre Cécile J. Bruyère O.S.B., La vita spirituale e l’orazione secondo la Sacra Scrittura e la tradizione monastica, trad. it., Laboratorio della Fede, Eremo della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano (Lucca) 2012, pp. 97-98]

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mercoledì 22 giugno 2011

Aspetti della spiritualità romualdina

Intendo illustrare tre aspetti che appaiono evidenti leggendo e meditando i documenti originali della spiritualità romualdina.
1. Il primo aspetto è la solitudine. Per S. Romualdo la solitudine interna ed esterna è condizione necessaria per vivere una vera vita contemplativa e “cercare Dio” e si concretizza nell’Eremo. S. Pier Damiani biografo di S. Romualdo scrive così di lui: “Ovunque in mezzo ai boschi avesse scorto qualche luogo ameno, sentiva accendersi nell’animo il desiderio della solitudine”.
S. Pier Damiani scrive “Alla vita solitaria sono particolarmente necessarie tre cose che debbono essere praticate con cura speciale e cioè: il ritiro in cella, il silenzio, il digiuno”.
S. Bruno Bonifacio, discepolo amatissimo di S. Romualdo, gli mette in bocca queste parole: «Stattene in cella come in paradiso! Gettati dietro le spalle il ricordo del mondo e sii attento ai pensieri come un buon pescatore ai pesci».
Il B. Paolo Giustiniani emulo di S. Romualdo e di S. Pier Damiani e riorganizzatore della vita eremitica camaldolese scrive pagine bellissime, quasi un inno alla solitudine e ne delinea l’assoluta necessità per i pellegrini dell’assoluto che sono i monaci.
2. Un secondo aspetto della spiritualità romualdina è questo: S. Romualdo tendeva a creare amicizie spirituali con i suoi discepoli. Il padre degli eremiti d’occidente, da vero figlio di S. Benedetto, si era formato sulle collazioni dei Padri del deserto, come consiglia il capitolo 73° della Regola, e, uomo di tradizione, mosso dallo Spirito del Signore, fra i suoi eremiti attuò la consuetudine antica che l’eremita anziano accogliesse nella sua cella il discepolo giovane. La vita esemplare dell’anziano era la prima e più importante lezione formativa per il giovane novizio. Accanto a ciò, S.Romualdo coltivava il colloquio spirituale tra padre e figlio oppure tra amici carissimi.
Questo aspetto della spiritualità romualdina, definito da uno storico laico “privilegium amoris” non è che l’attuazione perfetta del comando di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.
3. Un ultimo aspetto che emerge dalla figura di S. Romualdo è l’unione profonda e mistica con Dio, cercata e attuata con tenacia tra le bellezze silvestri dei monti, delle grotte e delle valli solitarie.
S. Romualdo e S. Pier Damiani con l’esasperata sete di penitenza, di solitudine, con il colloquio di anime con eccezionale potenza d’amore ed una inestinguibile sete di pianto giustificano la vita eremitica come vetta della perfezione monastica. Rimangono i figli legittimi di S. Benedetto.
Nelle esperienze vissute nel primo ambiente romualdino si vede con chiarezza che la contemplazione non è soltanto ispirazione intellettualistica e visione, ma carità ardente e commozione affettiva.
Concludendo, il fulcro della spiritualità romualdina è il primato dell’amore, questa è la meta dell’ascesi eremitica, questo ne è il frutto maturo. Il discepolo di S. Romualdo si apparta dal mondo per amore di Dio, stringe amicizie spirituali profonde per ricevere e comunicare l’amore di Dio, piange i suoi peccati e quelli dell’umanità per amore di Dio e ne è ricolmo di gioia.

[Estratto dall'articolo di Fra Mario Rusconi, fratello anziano della Comunità degli Eremiti della Beata Vergine del Soccorso, Aspetti della Spiritualità Romualdina, in L'Eco dell'Eremo, trimestrale curato dall'Eremo di Minucciano per la formazione degli Oblati, n. 9, settembre 1999, pp. 13-17]

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giovedì 9 giugno 2011

Lo specchio del monaco

[I monaci eremiti di Minucciano, la cui comunità abbiamo già presentato in precedenza, hanno intrapreso la lodevole iniziativa della riproposizione di libri non più presenti nel circuito editoriale, creando con alcuni amici l’associazione non commerciale “Laboratorio della Fede”. Mentre è attualmente in fase di elaborazione un testo sulla liturgia, è appena stata pubblicata la riedizione (la prima trad. it. risale al 1943, per i tipi di Morcelliana) di un classico della spiritualità cristiana – Lo specchio del monaco, di dom Anselmo Stolz O.S.B. (1900-1942) –, in cui l’insigne autore – professore all'Anselmianum di Roma dal 1928 alla sua morte, noto per le sue opere L’ascesi cristiana e soprattutto Teologia della mistica, il cui insegnamento è segnato dall’importanza accordata alla spiritualità patristica e ai temi biblici utilizzati per esporla, nonché all’unità che egli mantiene tra Sacra Scrittura, liturgia, teologia, vita di preghiera e pratica dell'ascesi – unisce alla meditazione prolungata, tipicamente benedettina, della Parola di Dio, una profonda conoscenza della Tradizione monastico-patristica, il tutto distillato in una vita di continua ricerca di Dio. Ci accontentiamo di riprodurre un breve brano del libro, sollecitando i lettori di Romualdica a procurarsi copia del libro, per sé e i propri amici, che potrà essere richiesto allegando un’offerta, al seguente indirizzo: Eremo della Beata Vergine del Soccorso, 55043 Minucciano (Lucca)]

Una vita di preghiera personale basata sull’idea fondamentale della liturgia non è possibile senza una conoscenza profonda dello stato attuale, concreto, dell’umanità e del mondo sotto l’influsso del peccato. La mentalità nostra ha bisogno di essere formata a questo riguardo. Gli antichi asceti arrivavano a conseguirla per mezzo di una continua meditazione dei Libri sacri: sarà anche per noi la Sacra Scrittura il mezzo più adatto per introdurci nelle idee del mondo soprannaturale tanto necessarie per lo sviluppo della vita di preghiera. Ma la Sacra Scrittura potrà esercitare questo influsso soltanto se alimenta costantemente, giorno per giorno, la nostra anima, come il pane eucaristico.
Già gli antichi autori vedevano infatti una relazione intima tra l’Eucarestia e la Sacra Scrittura. Origene, per esempio, dice: «Voi che siete abituati ad assistere ai divini misteri, sapete bene come conservare il corpo di Nostro Signore che ricevete, con ogni cura e venerazione affinché nessuna particella si perda, affinché, niente del dono consacrato cada per terra… Pensate forse che sia minor delitto essere negligente nel trattamento della Parola di Dio che nel trattamento del suo corpo?» (In Exod. 13,3). La Sacra Scrittura dovrà essere certamente di una dignità speciale, se viene così paragonata con l’Eucarestia, se esige una simile riverenza, come il corpo del Nostro Signore. Una breve esposizione di alcuni pensieri dei Santi Padri farà meglio capire questa dignità della Sacra Scrittura, la necessità e l’utilità della sua lettura per la nostra vita interiore […]

[Dom Anselmo Stolz O.S.B., Lo specchio del monaco, trad. it., Laboratorio della Fede, Eremo della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano (Lucca) 2011, p. 127]

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venerdì 21 gennaio 2011

I monaci eremiti di Minucciano





[Ci siamo già occupati in passato della Comunità degli Eremiti della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano (Lucca), che dal 1982 conduce in Garfagnana un’esperienza monastica d’impronta benedettina vissuta nello spirito degli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona. In questa occasione offriamo una trascrizione dell’auto-presentazione che i monaci hanno dato di sé, tratta da un pieghevole disponibile tramite il sito dell’arcidiocesi di Lucca. Le fotografie sono di fr. Francesco di Paola, oblato di questa comunità monastica]

La Comunità degli Eremiti della Beata Vergine del Soccorso, vive nell’Eremo Santuario mariano, da cui prende il nome, dal 1982, inserendosi in una secolare tradizione eremitica che ebbe origine in Garfagnana verso la fine del XVI secolo e il maggior incremento nei secoli XVIII e XIX.
L’attuale fratello anziano (così si chiama il superiore) della Comunità, fece ancora in tempo a conoscere l’ultimo l’eremita solitario, fra Marco, morto il lunedì Santo del 1982, per raccogliere il suo mantello e mantenere viva la tradizione.
Unico dei 16 eremi sorti nei secoli in terra di Garfagnana a rimanere ancora custodito, oggi è abitato da 3 fratelli di cui uno è sacerdote.
La piccola Comunità osserva la Regola di San Benedetto, vissuta nello Spirito degli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona (riforma dell’antico Ordine Camaldolese, sorto a seguito della figura di quell’eremita-profeta che fu Romualdo di Ravenna, promossa nel 1500 dal nobile veneziano Paolo Giustiniani), e ha ottenuto il riconoscimento canonico, dall’Arcivescovo Bruno Tommasi, l’11 novembre 1994, come associazione pubblica maschile non clericale. Contemporaneamente venivano approvati anche lo Statuto e le Costituzioni proprie.
Il 10 ottobre 1997 la Congregazione degli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona ha riconosciuto un rapporto di filiazione spirituale alla nostra Comunità, fatto che ci ha permesso di inserirci nell’alveo di quel grande fiume di spiritualità cristiana che ha le sue sorgenti in S. Benedetto e S. Romualdo.
Il monaco è così chiamato perché notte e giorno conversa con Dio e contempla solamente le cose sue, non possedendo niente sulla terra; non ha nessuna preoccupazione che quella di attendere la venuta di Cristo, la venuta dello Sposo che viene all’improvviso «come un ladro di notte» (1 Ts 5,2) e che per questo invita a vegliare nella preghiera (cfr. Mt 25,13 - 26,41).
Il monaco ricorda tutto questo ai fratelli che facilmente si fanno prendere dal sonno dell’oblio e della negligenza, dispersi e agitati in molte cose.
Questa missione viene realizzata non attraverso prediche e attività pastorali, ma con la vita stessa: «Vieni e vedi» (cfr. Gv 1,39); situandosi nel cuore stesso della Chiesa e rimanendovi immobile e tranquillo come se fosse già nell’eternità.
Il monaco giunge così anche ad indicare quello che è il fine di ogni fratello: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino» (Mc 1,15); là dove si sarà tutti come angeli nel cielo immersi nell’eterna beatitudine.
Questo compito, risposta alla chiamata di Dio, e quindi con l’aiuto indispensabile della sua grazia, l’eremita della Beata Vergine del Soccorso si sforza di realizzarlo attraverso cinque elementi: la preghiera, la solitudine e il silenzio, la carità fraterna e la vita comunitaria, il lavoro intellettuale e manuale, l’austerità (Costituzioni degli Eremiti della Beata Vergine del Soccorso, n. 3).

La preghiera

Occupa un’ampia parte della notte e del giorno. Inizia alle 3,45 con l’Ufficio delle Letture e si dispiega per circa 7/8 ore alternando momenti di preghiera comune (Ufficio divino, S. Messa) ad altri di preghiera solitaria (lectio divina, orazione mentale, Rosario).
La Comunità celebra la liturgia delle Ore monastica, recitando tutto il salterio ogni settimana. Centro della preghiera è la celebrazione eucaristica quotidiana.

La solitudine e il silenzio

Elementi indispensabili per creare il clima della preghiera e della vita monastica. L’Eremo è abbastanza isolato (il paese è distante 2 km) ed è circondato da boschi di castagno. Per accentuare questa dimensione la cena è, ordinariamente, sempre solitaria e, nelle quaresime, anche il pranzo per quattro giorni la settimana.

La carità fraterna e la vita comunitaria

È forse il segno dell’autenticità della nostra vita, la testimonianza che più commuove i nostri ospiti. Quante volte abbiamo sentito ripetere quella frase: Come si vede che vi volete bene!

Il lavoro intellettuale e manuale

Come insegna la S. Regola: l’oziosità è nemica dell’anima. Per questo i fratelli devono essere occupati, in tempi determinati, nel lavoro manuale e in altre ore alla lettura divina (RB 48,1). Il lavoro manuale varia a seconda delle stagioni: in primavera-estate il lavoro nei campi per le coltivazioni delle verdure, in autunno-inverno il taglio della legna e la pulizia dei boschi.

L’austerità

Nell’Eremo abbiamo tre quaresime durante le quali ci asteniamo dalle uova, dal latte e dal formaggio.
L’astinenza dalla carne è di tutto l’anno. Le tre quaresime sono: dal 12 novembre al Natale; dal mercoledì delle Ceneri alla S. Pasqua e dal 20 agosto ai primi Vespri di S. Michele Arcangelo il 29 settembre. La veglia mattutina alle 3,45.
L’esclusione dall’Eremo dei mezzi di comunicazione sociale: televisione, radio, giornali. Tutto questo vissuto in un clima di semplicità e di serenità.
Nell’Eremo pratichiamo anche una discreta ospitalità, accogliendo non più di due o tre ospiti per volta, per persone che desiderano condividere con noi, seppur per pochi giorni, il santo viaggio alla ricerca del volto del Signore.
Per concludere dobbiamo aggiungere la presenza, dal 1998, di oblati e oblate. Amici e amiche, laici, sacerdoti, diaconi permanenti che abbiamo aggregato alla nostra famiglia costituendo con loro un vero e proprio legame spirituale. L’oblato è colui che desidera condividere la nostra spiritualità all’interno della sua condizione esistenziale perché trova in essa un aiuto per vivere meglio la sua consacrazione battesimale in un impegno più forte di vita cristiana.

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giovedì 16 settembre 2010

Due passi nell'eternità

[Grazie alla cortese autorizzazione dell'Autore - di cui abbiamo già pubblicato una recensione al libro di Dom Cassingena-Trévedy, La bellezza della liturgia - trascriviamo una suggestiva cronaca sulla Comunità degli Eremiti della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano (Lucca), che dal 1982 conduce in Garfagnana un'esperienza monastica d'impronta benedettina vissuta nello spirito degli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona (riforma del secolo XVI della famiglia che ha le sue origini in san Romualdo)]


“Nel tetro e soffocante edificio del mondo, il chiostro è lo spazio aperto al sole e all’aria”
(Nicolás Gómez Dávila)


La Garfagnana è uno dei luoghi più simili alla tolkieniana Terra di Mezzo: una sequenza di verde e tronchi, tronchi e verde, solo saltuariamente interrotta da chiese romaniche e da piccoli borghi di case in pietra, senza tempo, in cui non ti stupiresti di trovare l’Osteria del Drago Verde o la Locanda del Puledro Impennato. Man mano che ci avviciniamo il bosco si infittisce, i rami degli alberi invadono la strada e sembra quasi di intravedervi il volto di Barbalbero, come se anch’essi avessero assunto la fisionomia dei tre “Gandalf” che abitano in cima a questa lunga teoria di salite e curve, curve e salite sempre più strette. Finalmente arriviamo in cima e parcheggiamo vicino alla casetta adibita a foresteria. Le auto già presenti ci ricordano che nei giorni di festa la solitudine degli eremiti è “violata” da numerose persone che vanno a cercare Dio fin lassù, dove si sentono solo i cinguettii degli uccelli e gli inni sacri dei monaci, che si fondono per unirsi al canto degli angeli.
Entriamo nella chiesetta che - nonostante manchi più di un’ora alla messa - è già piena per i secondi vespri dell’Ascensione. L’altare è quello antico, rivolto ad Deum. Al centro c’è il trono del Re, il tabernacolo, cuore pulsante dell’edificio e della vita dei tre barbuti monaci che siedono ai lati con il breviario tra le mani, avvolti nel loro saio: da un lato fra’ Mario, il superiore, e dall’altro gli altri due, fra’ Claudio (il creativo del gruppo) e padre Lorenzo – quest’ultimo è l’unico sacerdote dei tre, per assicurare i sacramenti ai fratelli. La loro Madre e Regina, la Vergine del Soccorso, è raffigurata sulla pala d’altare nell’atto di percuotere il demonio e così pure nella statua che per il mese mariano ha abbandonato la sua nicchia per mettersi in bella vista ed essere ricoperta di preghiere e omaggi floreali in prossimità del presbiterio - alla nostra sinistra, ma alla destra del Re come la regina del Salmo 44: astitit regina a destris tui, in vestitu deaurato, circumdata varietate. Padre Lorenzo va al centro del presbiterio: nelle sue mani il turibolo oscilla continuamente a destra e a sinistra, in un singolare contrasto con la ieratica immobilità del monaco che sembra appena uscito da un’icona bizantina. A forza di contemplare le realtà celesti sembra fatto d’incenso anche lui. È una scena letteralmente dell’altro mondo, che nessuno potrebbe contemplare restando indifferente; è di una bellezza che non si spiega senza Dio.
Tra il canto di salmi e inni si distingue la voce più “musicale” di tutte, quella di fra’ Claudio: in effetti parliamo di un professionista, visto che - ironia della sorte -, prima di farsi eremita cantava nel gruppo rock-folk “Biglietto per l’inferno” – ma Dio fa nuove tutte le cose (Ap 21,5)...
Terminati i vespri, c’è la piccola cerimonia dell’imposizione dello scapolare del Carmelo ad alcuni fedeli. Fra’ Mario dice che è un giorno propizio per coloro che lo ricevono, poiché oltre alla solennità dell’Ascensione è anche la memoria di san Simone Stock, generale dei Carmelitani che in una situazione angosciante per il suo ordine chiedeva un segno alla sua celeste patrona. La Vergine gli apparve nel 1251 consegnandogli lo scapolare (attualmente due quadrati di stoffa uniti da due lacci), segno e pegno della Sua materna protezione. Quindi don Giovanni, che ha facoltà di imporlo, procede al breve rito e poi va a chiudersi nel confessionale durante la recita del santo rosario.
Una volta la settimana (il giovedi mattina) la messa è celebrata secondo la "forma straordinaria", in rito antico, ma qui è straordinaria anche la messa "ordinaria". Anche oggi la messa è in italiano, la stessa che troviamo in tutte le parrocchie, eppure sembra di trovarsi in un altro mondo. Nell’una o nell’altra forma del rito, nella vita e nella preghiera, nell’ora et labora, a Minucciano viene concretamente applicata quella “ermeneutica della riforma nella continuità” raccomandata da Papa Benedetto XVI.
Padre Lorenzo si reca all’altare rivestito dei paramenti sacerdotali, accompagnato da due oblati – cioè laici che vivono nel mondo la spiritualità degli eremiti – che servono la messa. Incensa ripetutamente e abbondantemente l’altare, un rito nel rito, uno spreco secondo qualche prete che predica e razzola “a cielo chiuso”– può darsi, ma è uno spreco sublime che solo la follia o l’amore possono spiegare. Uno spreco però gradito a Dio, come l’unguento sparso dalla donna ai piedi di Gesù, che solo un cuore chiuso come quello di Giuda poteva criticare… L’eremita invece sparge il sacro fumo senza misura, così come senza misura ha offerto la sua vita a Dio. Del resto, dopo la gioia del tempo pasquale – dice nell’omelia, con il consueto tono di voce in grado di placare qualsiasi tempesta dell’anima – oggi dobbiamo addirittura esultare perché la risurrezione di Cristo culmina nella Sua – e nella nostra! - ascesa alla destra del Padre. Bisogna credergli, anche perché descrive quel Cristo tanto concretamente – “luminoso”, lo definisce – come se parlasse di qualcuno che conosce da tempo. E, in effetti, è così...
Durante la prima metà del Canone, fino alla consacrazione, si interrompe continuamente: un silenzio ogni tre-quattro parole… Non sapremo mai se si stia commuovendo, se si sia fermato a meditare oppure se – perché no? – abbia visto “qualcosa”.
Sappiamo però che questi tre monaci, amici della terra come gli Hobbit e amici del cielo stellato come gli Elfi, vivono il mistero dell’Ascensione nella loro stessa vita. Ancora qui tra le fatiche del mondo e contemporaneamente già proiettati nelle Terre immortali, alla destra del Padre insieme alla celeste Regina, agli angeli e ai santi. Solo così si spiega la perenne giovinezza dei loro occhi - puri e acuti come quelli dei bambini – che dopo un po’ diventano ben più visibili delle lunghe e folte barbe. Quanti anni avranno? Da quanto tempo sono qui? Quanto sarà durata la liturgia? Né troppo tempo, né poco, anzi non è affatto durata: perché a Minucciano abbiamo fatto due passi nell’eternità...
Stefano Chiappalone

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