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venerdì 14 maggio 2010

Il Rosario - Istruzioni ai novizi / ultima parte

La meditazione dei misteri

I misteri del Rosario sono dei quadri di storia nei quali si riflette e si contempla la vita di Cristo e di sua Madre. Ciascuno contiene una virtù guaritrice, un'immagine che s'imprime - seguendo il ritmo dei Pater e delle Ave - nella nostra immaginazione, nella nostra sensibilità e nel profondo dell'anima. Le scene della vita di Cristo e di sua Madre diventano un poco alla volta la nostra propria storia: siamo noi che, con Maria, cerchiamo e ritroviamo il piccolo Gesù che insegna al Tempio; siamo noi a ricevere i primi raggi della gloria della sua risurrezione; siamo noi ad ascendere con lui al Cielo; e noi a ricevere, con Maria, in mezzo agli apostoli, le lingue di fuoco della Pentecoste.
Meditazione è un termine ingannatore. Si tratterà meno di un discorso intellettuale a proposito delle scene della vita di Gesù, piuttosto che di uno sforzo d'imitazione e di comunione alla realtà dei misteri. Ascoltate cosa dice il grande cardinale [Pierre] de Bérulle [1575-1629]: "Sono al passato quanto all'esecuzione, ma sono al presente quanto alla virtù; e la loro virtù non ha mai fine, né l'amore - per mezzo dei quali sono stati operati - avrà mai fine, lo stato interiore del mistero esteriore, l'efficacia e la virtù che rende tale mistero vivo e operoso in noi; anche il gusto attuale, la disposizione viva con la quale Gesù ha operato questo mistero, è sempre vivo, attuale e presente a Gesù. Questo ci obbliga a trattare le cose e i misteri di Gesù non come delle cose passate ed estinte, ma come cose vive e presenti, addirittura eterne, e di cui dobbiamo raccogliere un frutto presente ed eterno".
Gli atti della vita di Cristo avendo tutti un valore redentore, ogni scena - nel dispiegarsi delle Ave Maria - purifica la nostra anima e le comunica una virtù corrispondente al mistero contemplato. Metodo semplice, quantunque ricco e sapiente, il Rosario deposita nella nostra anima, a vari livelli di profondità e secondo i bisogni, una grazia d'unione e di similitudine a Gesù. A un tempo di soggettivismo, il Rosario oppone il primato dell'oggetto (ob jacet), ciò che sta davanti. Frutto di una pietà oggettiva e teocentrica - quella del secolo XIII, che innalza la facciata di Notre Dame di Parigi -, il Rosario fa anzitutto l'onore a Dio e alla sua Madre di dire e di proclamare che esistono: oh santa realtà, voi siete! Anzitutto, che io mi interessi di voi senza interruzione. Voi siete, voi esistete al di fuori di me, prima di me, superiori a me. Così, contemplandovi, io lodo e scompaio! L'umile recitazione della corona mi obbliga a uscire dal piccolo mondo umano - nel quale non mi trovo così a mio agio, se non perché vi avete lasciato una traccia di voi -, ma questa storia narrata dal Rosario finisce per interessarmi più delle mie misere disgrazie: man mano che la ripetizione prosegue, il mio sguardo si adatta al mistero, si eleva e prende posto nell'ufficio di lode.

Preghiera potente

Dai tempi di Lepanto, la Chiesa non cessa di fare l'esperienza della potenza del Rosario; i Papi non terminano di raccomandarne la recita, e Leone XIII ha scritto non meno di undici encicliche sul soggetto. Una di esse osserva che le tre serie di misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi, corrisponde ai tre mali più diffusi nell'umanità: il disgusto per la santificazione del dovere di stato quotidiano, l'avversione per la sofferenza e l'oblio delle gioie future dell'eternità.
Voi stessi che siete novizi nell'arte della preghiera (ma lo siamo tutti, per tutta la nostra vita!) avete spesso notato la potenza del santo Rosario. La corona meditata trae la sua virtù dall'influsso esercitato sui sensi: mediante queste specie di quadri viventi, l'anima è condotta nella solitudine del faccia a faccia con "corde d'amore" (Osea 11,4). Meraviglioso equilibrio del Rosario, che ci solleva senza frantumarci e non offre nulla di troppo sublime ai terrestri che siamo: semplici pagine del Vangelo alla portata del più piccolo fra noi. Nulla di troppo terrestre, peraltro, giacché le sue immagini sono icone di Dio: ciascuna è una porta del Cielo che apre sulla storia della salvezza. Potente orchestrazione dei misteri, dei quali ciascuno è come il contrappunto di una o più delle sette domande del Padre nostro. Per esempio: l'Annunciazione esprime e illustra la terza domanda (fiat voluntas tua); la Natività è una realizzazione della seconda domanda (adveniat regnum tuum); la Pentecoste manifesta la santità del Nome divino (sanctificetur nomen tuum). Si nota così meglio la centralità del Padre nostro, contenente in lui tutte le armoniche che la meditazione sviluppa. Ma salutare Maria piena di grazia, anche indipendentemente da una meditazione dei misteri, non è già vedere riflettersi in essa la santità del Nome divino, la realizzazione del suo regno, il compimento della sua volontà? Quando recitate Ave Maria, sappiate che intraprendete il più profondo e il più ricco commentario al Padre nostro.
Chiamato salterio dei laici, il Rosario è una preghiera potente perché esprime, come i salmi, tutta la gamma dei sentimenti e le aspirazioni dell'anima fedele. Potente per la sua presa di forza e la sua semplicità, lo è inoltre per la sua corrispondenza con la celebrazione dei misteri liturgici e le sante immagini che circondano il culto cristiano.

Come recitare il Rosario?

Semplice corona o Rosario meditato, poco importa, si tratterà sempre di accedere alla visione che feconda l'azione e dà un senso alla vita. Per arrivare a tale fine, alcune indicazioni non saranno di troppo.
Anzitutto, non cercare di pesare ogni parola; lasciare scorrere la recitazione, mantenendo lo sguardo sulla Santissima Vergine, su Nostro Signore o sull'insieme del mistero, con dolcezza e perseveranza.
Evitare di analizzare e discorrere; non sforzarsi di gustare, di sentire o immaginare; tutto ciò induce agitazione e violenza, poi fatalmente scoraggiamento. Mi ha detto un novizio: "Io mi unisco sempre al comportamento di Maria nel mistero in questione". Ecco in effetti un modo molto buono e assai semplice.
Consentire, nei giorni di aridità, a lasciare che la nostra recita ci sembri materiale, meccanica; umiliarsi senza dispetto, pazientare e rimanere pacificamente tesi verso Dio, al quale s'indirizza la nostra preghiera.
Considerare la ripetizione dei nomi benedetti di Gesù e di Maria come il rimedio più efficace contro le nostre miserabili inclinazioni: un semplice sguardo di fede sui misteri equivale a toccare il lembo del mantello di Cristo. "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata [Mt 9,21]... da lui usciva una forza che guariva tutti [Lc 6,17].
Amare la regolarità: per ogni giorno vi è un gruppo di cinque misteri che si possono distribuire nelle ventiquattr'ore. Per ogni decina occorrono due minuti e mezzo: chi dunque non può donare nella propria giornata cinque volte due minuti e mezzo alla Santissima Vergine?
Infine e soprattutto, la migliore disposizione per recitare bene il Rosario è evidentemente la fede; fede nella realtà contemplata, fede e confidenza in una preghiera che la Santissima Vergine ha così spesso raccomandato. Fede, desiderio e amore. Fiducia filiale, contemplazione ammirativa verso questo mondo di bellezza virginale che si staglia sull'orizzonte del nostro universo cattolico.

[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), Le Rosaire. Instructions aux novices du monastère Sainte-Madeleine, in Itinéraires, n. 295, luglio-agosto 1985, pp. 146-154 (qui pp. 150-154), trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. - 2 / fine]

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martedì 4 maggio 2010

Il Rosario - Istruzioni ai novizi / prima parte

[Iniziato il mese di maggio, tradizionalmente dedicato a Maria, offriamo una traduzione d'istruzioni sul Rosario di dom Gérard Calvet, offerte nel 1985 ai novizi del monastero benedettino Sainte-Madeleine di Le Barroux]


Uno sguardo su Maria

Voi siete giovani e il Rosario è una preghiera antica. Ma se prendete l'abitudine di recitare il Rosario quotidianamente, tutta la vostra esistenza ne risulterà come profumata. Ciò che è capitale, è anzitutto di gustare la bellezza essenziale delle prime parole dell'Ave Maria; la loro efficacia, la loro virtù propria. Da dove proviene la forza sconcertante di queste parole, il cui brusio riempirà il mondo fino alla fine dei tempi?
Quando Bernadette Soubirous ricevette, di pieno peso, lo choc della visione celeste, estrasse immediatamente la sua corona e recitò il Rosario assieme alla Vergine, che si univa alla veggente al momento dei Gloria Patri. Sembra che Bernadette non sia stata formata in maniera sistematica alla meditazione dei misteri. Piccola giovinetta, rapita diciotto volte in una contemplazione del Cielo, ella rimarrà per tutta la vita fissa su questo avvenimento, dimenticando le ombre terrestri che l'avrebbero sviata dalla bellezza della sua Madre, riflesso della bellezza infinita di Dio.
Cosa faceva Bernadette recitando la sua corona? Nel corso delle sue visioni ci dice essa stessa cosa faceva: guardava. Come dirà più tardi: "La guardavo quanto più potevo... la grotta, era il mio cielo". E ancora, ciò che misura l'importanza di uno sguardo: "Quando si è vista una volta la Santa Vergine, si vorrebbe morire per rivederla!". Poi sarà il sentiero oscuro nei semplici sentieri della fede - per simplices fidei semitas -: guardare, nella fede, colei che un giorno l'aveva rapita dalle cose della terra, promettendole di renderla felice, non in questo mondo, ma nell'altro.
Sapere guardare! Sapere guardare Maria come lo faceva santa Bernadette; ah!, si tratta probabilmente della grazia essenziale che bisognerebbe domandare, quando si prega alla grotta di Lourdes. Ed è la grazia stessa del Rosario.

Una preghiera litanica

La ripetizione di una formula appartiene all'arte di pregare di tutti i tempi; essa non ha altro oggetto che di calmare i sensi e di fissare con dolcezza lo sguardo sulle cose invisibili. Risulta difficile arrestare il proprio sguardo su un oggetto senza esserne affaticati o distratti dalla mobilità dello spirito. L'Ave Maria, nella sua ripetizione semplice e regolare, è paragonabile a quanto compie nel mondo fisico un vettore d'onda. Il suo ruolo consiste meno nell'istruire, piuttosto che a captare e a sostenere un movimento dell'anima. Si tratta di poca cosa, non è vero? Ma ditemi: cosa si ripetono ininterrottamente i fidanzati della terra? Le povere parole di cui si accontentano i cuori amanti, non sono forse cariche di una realtà che oltrepassa i termini? Pervenuti a un certo livello di verità, le parole non vanno più cercate; sanno di essere impotenti, e accettano di essere ripetetute.
René Descartes ci ha giocato un brutto scherzo con le sue idee chiare e distinte. Capite bene che il tutto della vita soprannaturale oltrepassa di un bel po' il quadro delle classificazioni dello spirito! Il moto d'ammirazione per il quale l'anima è condotta da un grande spettacolo; il dolce trasporto del canto più banale; le intuizioni del cuore e quelle dell'universo poetico; tutto questo, e ben altro, rifiuta di lasciarsi rinchiudere nelle idee chiare e facilmente enunciabili.
Per dirla tutta, la recita del Rosario, come dei salmi, come le litanie del Santo Nome di Gesù, sono apparentate più al canto e all'effusione, piuttosto che all'insegnamento didattico. Ecco perché vi esorto ad apportarvi soprattutto la semplicità del cuore e lo spirito d'infanzia.

I due volti della salutazione

Avete già notato che nella salutazione angelica vi sono due parti che inclinano diversamente il movimento della preghiera. La prima implica un moto completamente d'ammirazione e di lode; la seconda è un'umile supplica. Tutti i movimenti dell'anima si riconducono a questi due tempi essenziali. Lo si nota in maniera manifesta nella preghiera di Gesù cara agli orientali: Gesù, Figlio di Dio - abbi pietà di me, peccatore.
La parte ammirativa unisce le parole di Gabriele a quelle di Elisabetta, ma le primissime parole, Ave gratia plena, meritano la nostra attenzione. Perché? Perché vengono da Dio; Missus est angelus a Deo. L'angelo è inviato da Dio; parla a nome del suo Signore; Dio è Egli stesso l'inventore di queste parole benedette, che attraversano il nostro cuore e lo trasformano giorno dopo giorno. Ammirando questo mondo di bellezza che è la pienezza della grazia, l'anima userà le stesse parole di cui Dio si serve, e per le quali Egli ci garantisce che l'interiore di Maria oltrepassa in bellezza soprannaturale tutto ciò che porteranno mai in sé stessi gli eletti e gli angeli del Paradiso.
L'altra parte dell'Ave Maria ci ricorda il nostro stato di peccatori e la fragilità della nostra condizione terrestre: nunc et in hora mortis! L'alternanza di queste due parti ricorda il paradosso della nostra vocazione: siamo interamente formati da una mescolanza di fango e di luce, di vita e di morte, di gemito e di allegria, di ammissione della nostra miseria e di contemplazione gioiosa.

[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), Le Rosaire. Instructions aux novices du monastère Sainte-Madeleine, in Itinéraires, n. 295, luglio-agosto 1985, pp. 146-154 (qui pp. 146-150), trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. - 1 / continua]
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