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martedì 10 febbraio 2015

Preghiera a santa Scolastica

Santa Scolastica,
ricordati dell’albero sotto i cui rami si rifugiò la tua vita. Il chiostro benedettino t’invoca non solo come la sorella, ma anche come la figlia del suo augusto Patriarca. Dall’alto dei cieli contempla i resti dell’albero, un tempo così vigoroso e fecondo, all’ombra dei quale le nazioni dell’Occidente si riposarono per lunghi secoli. In ogni parte la scure distruggitrice dell’empietà si divertì a colpire: rami e le radici. Ovunque sono rovine, che coprono il suolo dell’Europa intera.
Ciò nonostante, sappiamo ch’esso dovrà rivivere e che germoglierà di nuovi rami, perché il Signore ha voluto legare la sorte di questo antico albero agli stessi destini della Chiesa. Prega, affinché riviva in esso la prima linfa, proteggi con materne cure le tenere gemme che produce; difendile dalle tempeste, benedicile e rendile degne della fiducia che in esse ripone la Chiesa.
Amen.

[Preghiera a santa Scolastica per l'ordine benedettino e per l'Europa di Dom Prosper Guéranger O.S.B. (1805-1875)]





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lunedì 15 novembre 2010

La medaglia di san Benedetto

Oltre all’immagine della Croce e a quella di san Benedetto, la medaglia presenta un certo numero di lettere, le quali rappresentano ciascuna un termine latino. Una volta riunite, queste parole assumono un significato che manifesta l’intenzione della medaglia. Il loro fine è di esprimere i rapporti del santo Patriarca dei monaci d’Occidente con il sacro segno di salvezza degli uomini, e di fornire al contempo ai fedeli un mezzo d’impiegare la virtù della santa Croce contro gli spiriti della malizia.
Queste lettere misteriose sono disposte ai bordi della medaglia in cui compare la Croce. Si osservino anzitutto le quattro lettere poste a fianco delle braccia della Croce:

C S
P B

Esse significano Crux Sancti Patris Benedicti, ovvero Croce del Santo Padre Benedetto. Queste parole spiegano già il fine della medaglia.
Sul braccio verticale della Croce si legge:

C. S. S. M. L.

Ciò che significa Crux Sancta Sit Mihi Lux, ovvero La Santa Croce sia la mia luce.
Sul braccio orizzontale della stessa Croce si legge:

N. D. S. M. D.

Ciò che significa Non Draco Sit Mihi Dux, ovvero Non sia il demonio mio condottiero.
Una volta riunite, queste due righe compongono un versetto [La Santa Croce sia la mia luce - Non sia il demonio mio condottiero] il cui significato è una richiesta del cristiano la quale esprime la sua confidenza nella santa Croce e la sua resistenza al giogo che il demonio gli vorrebbe imporre.
Attorno alla medaglia si trova un’iscrizione più lunga che mostra anzitutto il santo nome di Gesù, trascritto mediante il monogramma IHS [*]. La fede e l’esperienza c’insegnano l’onnipotenza di questo Nome divino. A seguire, cominciando da destra, troviamo i seguenti caratteri:

V. R. S. N. S. M. V. S. M. Q. L. I. V. B.

Le iniziali rappresentano questi due versetti:
Vade Retro Satana - Numquam Suade Mihi Vana
Sunt Mala Quae Libas - Ipse Venena Bibas
In libera traduzione, ciò significa:
Fatti indietro, Satana - Non mi attirare alle vanità
Sono mali le tue bevande - Bevi tu stesso il tuo veleno
Si reputa che queste parole siano state pronunciate da san Benedetto; quelle del primo versetto in occasione della tentazione che provò e sulla quale trionfò con il segno della Croce; quelle del secondo versetto quando i suoi nemici gli presentarono una bevanda mortale che egli scoprì una volta fatto il segno della Croce sul vaso che la conteneva.
Il cristiano può appropriarsi di queste parole tutte le volte che è in preda alle tentazioni e agli insulti del nemico invisibile della salvezza. Anche il Nostro Signore ha santificato le parole Vade retro, Satana. Il loro valore è dunque provato ed è garantito dallo stesso Vangelo. Le vanità che il demonio ci consiglia sono le disobbedienze alla legge di Dio, le pompe e le massime fasulle del mondo. La bevanda che ci offre l’angelo delle tenebre è il peccato che dà la morte all’anima. Anziché accettarla noi dobbiamo rifiutarla, come pure ciò che è in sua compagnia.
Non è necessario spiegare lungamente al lettore cristiano la forza della congiura che oppone agli artifici e alle violenze di Satana ciò che egli teme di più: la Croce, il santo nome di Gesù, le parole pronunciate dal Salvatore nella tentazione, e infine il ricordo delle vittorie che il grande Patriarca san Benedetto ha ottenuto sul dragone infernale. Basta pronunciare queste parole con fede per sentirsi immediatamente fortificati e per scoraggiare le trappole dell’inferno. Quando conoscessimo i fatti che dimostrano a qual punto Satana teme questa medaglia, il solo apprezzamento di ciò che essa rappresenta ed esprime sarebbe sufficiente per farcela considerare una delle armi più potenti che la bontà di Dio abbia messo nelle nostre mani contro la malizia dei demoni.

[* ndT: il santo nome di Gesù espresso dal monogramma IHS, abitualmente riprodotto sul verso della medaglia, non è obbligatorio affinché la medaglia sia completa e valida, e in effetti non figura nella descrizione della medaglia che compare nel Breve di Benedetto XIV del 12 marzo 1742; al suo posto talora compare la dicitura PAX, o altro ancora]

[Dom Prosper Guéranger O.S.B. (1805-1875), Essai sur l’origine, la signification et les privilèges de la médaille ou croix de saint Benoît, Oudin, Poitiers 1862, riedizione integrale con il titolo La Médaille ou Croix de Saint Benoît. Son origine, sa signification, ses privilèges, Éditions D.F.T., Argentré-du-Plessis 2001, pp. 23-26, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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venerdì 29 ottobre 2010

D.N. Iesu Christi Regis

[Avvicinandosi la solennità di Cristo Re, che nella forma straordinaria del Rito romano si celebra l'ultima domenica di ottobre, riproduciamo la presentazione che ne offre dom Prosper Guéranger O.S.B. (1805-1875) nell’opera L’anno liturgico]

Due feste della regalità di Cristo

Trovammo già all’inizio dell’Anno Liturgico una festa della Regalità di Cristo: l’Epifania. Gesù, nato da poco, si manifestava ai Re dell’Oriente e al popolo d’Israele come «il Signore, che tiene nella sua mano il regno, la potenza, l’impero» (Introito della Messa dell’Epifania). Accogliemmo allora «il Salvatore, che veniva a regnare su di noi» (ibidem) e con i Magi gli offrimmo i nostri doni, fede e amore.
Perché la Chiesa al declinare dell’Anno Liturgico ci fa celebrare un’altra festa della Regalità di Cristo, della sua regalità sociale e universale?
Il giorno dell’Epifania noi abbiamo conosciuto la natura della regalità, non meno della dignità del neonato Bambino. Ma, forse, ci siamo lasciati affascinare dalla stella che, brillando nel cielo di Betlemme, ci recava la luce della fede e ci faceva sperare più vivo splendore per l’eternità. Cantammo allora la venuta dei gentili alla fede nella persona dei Magi, giunti dal lontano Oriente ai piedi del Re dei Giudei.

Il laicismo

Oggi la Chiesa ci fa riflettere sulle conseguenze della chiamata universale alla fede in Cristo. Le nazioni si sono convertite nel complesso al Signore, che con le conoscenze soprannaturali ha portato loro i benefici di una civiltà sempre ignorata dal mondo antico. Purtroppo, ormai da due secoli, un errore perniciosissimo tutte le rovina […]: il Laicismo. Consiste nella negazione dei diritti di Dio e di nostro Signore Gesù Cristo sulla società umana, sia privata e familiare che sociale e politica. Gli apostoli della nuova eresia […] con l’abilità, la tenacia e l’audacia dei figli delle tenebre si sono sforzati di cacciare Cristo da ogni luogo, […] e hanno infine dichiarato intangibili le loro leggi, facendo dello Stato un Dio.

Scopo della festa

Di fronte a «questa peste dei nostri tempi», i Papi hanno alzata la loro voce. Ma continuando la marea a crescere, Pio XI approfittò dell’anno giubilare, per ricordare in modo solenne al mondo, con l’enciclica Quas primas del giorno 11 dicembre 1925, il pieno e totale potere di Cristo, Figlio di Dio, Re immortale dei secoli, su tutti gli uomini e tutti i popoli, in tutti i tempi. Perché l’insegnamento tanto necessario non fosse troppo presto dimenticato il Papa istituì, in onore della universale regalità di Cristo, una festa liturgica, che fu ad un tempo solenne ammonimento e riparazione per l’apostasia delle nazioni e degli individui, che all’insegna del laicismo tende a manifestarsi nella dottrina e nella vita. In tale festa, per disposizione del Sommo Pontefice, si rinnova la consacrazione del genere umano al Sacro Cuore.
I fedeli trovano nel Breviario o, in modo più semplice, nel Messale l’insegnamento della Chiesa sulla regalità sociale di Cristo, insieme ad incomparabili formule di preghiera, di lode, di riparazione e di domanda da usarsi nella festa. Ma l’enciclica del Papa espone l’insegnamento in tutta la sua ampiezza e noi la riassumeremo, invitando a leggere il testo integrale, affinché, conosciuti i diritti del Signore, si respinga il veleno del laicismo e si vada con confidenza al Cuore di Gesù, che nella sua regalità è soltanto amore e misericordia.

La triplice regalità

I fedeli potranno vedere nella enciclica come Cristo è Re delle intelligenze, dei cuori e delle volontà; chi sono i sudditi di questo Re; il triplice potere che la regalità comporta e la natura spirituale della regalità stessa.
In senso metaforico si è stabilito da molto tempo l’uso di attribuire a Cristo il titolo di Re, per l’eccellenza ed eminenza delle sue singolari perfezioni, per le quali sorpassa tutte le creature. Ci si esprime così, per dire che egli è il Re delle intelligenze umane, non tanto per la penetrazione della sua intelligenza umana e della vastità della sua scienza, ma piuttosto perché è la Verità stessa e gli uomini devono cercare in lui la verità e da lui riceverla con sottomissione. Egli poi è detto Re delle volontà non solo perché alla santità assoluta della divina volontà corrisponde l’integrità e la sottomissione perfetta della sua volontà umana, ma anche perché, attraverso la mozione e l’ispirazione della grazia, sottomette la nostra libera volontà, facendo sì che il nostro ardore si infiammi per le azioni più nobili. Infine Cristo è Re dei cuori, a causa della sua carità, che sorpassa qualsiasi immaginazione, nonché della dolcezza e della bontà, che attirano le anime. Di fatto, nessun uomo fu mai amato, né lo sarà mai, come Cristo Gesù da tutto il genere umano.

Regalità, conseguenza dell’unione ipostatica

«Ma, per addentrarci di più nell’argomento, tutti possono vedere che il nome e il potere di Re spettano a Cristo nel senso proprio del termine. È nella qualità d’uomo che Cristo ha ricevuto dal Padre la potenza, l’onore, la regalità, perché il Verbo di Dio, che è consustanziale al Padre, tutto possiede in comune col Padre e, per conseguenza il potere sovrano e assoluto su tutte le cose... La Regalità di Cristo poggia sopra l’unione mirabile che vien detta unione ipostatica. Ciò posto, gli angeli e gli uomini devono adorare Cristo in quanto è Dio, ma devono obbedire a lui e manifestargli sottomissione anche in quanto uomo, cioè, per il solo motivo dell’unione ipostatica Cristo ha avuto potere su tutte le creature...».

Il triplice potere

«La regalità di Cristo comporta un triplice potere: legislativo, giudiziario, esecutivo. Senza questi poteri non si concepisce alcuna regalità. I Vangeli non solo ci assicurano che Cristo ha confermato delle leggi, ma ce lo presentano mentre stabilisce delle leggi... Gesù dichiara inoltre che il Padre gli ha concesso un potere giudiziario... e il potere giudiziario implica il diritto di decretare per gli uomini pene e ricompense anche in questa vita. Il potere esecutivo deve poi essere attribuito a Cristo, perché l’obbligo di obbedire ai suoi ordini è per tutti necessario, avendo egli stabilito pene alle quali nessuno che sia colpevole potrà sottrarsi».

Carattere della Regalità di Cristo

«Che la Regalità di Cristo sia spirituale e si riferisca soprattutto alle cose spirituali... il modo stesso di agire di Cristo l’ha confermato... Davanti a Pilato Gesù dichiarò che il suo regno non è di questo mondo e, nel Vangelo, questo regno ci è presentato come un regno nel quale ci si prepara ad entrare con la penitenza e si entra soltanto per la fede e per il battesimo. Il Salvatore inoltre oppone il suo regno soltanto al regno di Satana e alla potenza delle tenebre; chiede ai suoi discepoli non solo di distaccarsi dalle ricchezze e da tutti i beni della terra, di praticare la dolcezza, di aver fame e sete di giustizia, ma anche di essere pronti alle rinunce e di portare la croce. Se Cristo Redentore si è comprata la Chiesa a prezzo del suo sangue e Cristo Sacerdote si offre perpetuamente vittima per i peccati degli uomini, chi non vede che la sua dignità regale deve avere il carattere spirituale di queste due funzioni di Sacerdote e di Redentore?
Sarebbe tuttavia errore negare che la regalità di Cristo si estenda alle cose civili, perché egli ha ricevuto dal padre un dominio assoluto, tale che si estende a tutte le cose create, le quali tutte sono sottomesse al suo dominio».

Messa

Mentre in cielo gli Angeli e i Santi adorano l’Agnello immolato proclamandolo Re, noi ci raccogliamo nella Chiesa, per rinnovare il mistero della immolazione di questo Agnello e per proclamare anche noi la sua universale regalità nella vita individuale, familiare, sociale e politica, in terra e nell’eternità.
L’Epistola è un cantico vero e proprio in cui l’Apostolo san Paolo, rapito, proclama che cosa è Cristo per Dio, per la creazione e per la Chiesa. Il Padre è invisibile, abita in una luce, in una inaccessibile regione; ma ecco appare in mezzo a noi, perché si fa uomo come noi, versa il suo sangue per noi, Colui che è sua immagine, che è nato da Lui, che è Dio come Lui.
Dio: La creazione è opera sua, tutto per Lui sussiste, in Lui noi abbiamo vita, il movimento e l’essere, tutto esiste per Lui.
Capo della creazione, è capo ancora della Chiesa, che è il suo corpo, la sua Sposa. Tra essi vi è unità di vita e la vita egli l’ha nella pienezza e la pienezza si dispensa senza esaurirsi. Viene da Lui ogni bellezza, viene da Lui ogni santità, come dalla sua sorgente.
Il Padre lo volle così, nel suo disegno volto a ricondurre tutte le cose all’unità primitiva e a pacificare, nel sangue del suo Figlio, tutto quanto esiste in cielo e in terra.

Epistola (Col 1,12-20). - Fratelli: Ringraziamo Dio Padre, il quale ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce, e, liberandoci dall’impero delle tenebre, ci ha trasportati nel regno del suo diletto Figlio, nel quale, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati. Egli è l’immagine dell’invisibile Dio, il primogenito di tutte le creature, perché in lui sono state fatte tutte le cose, in cielo e in terra, visibili e invisibili, i Troni, le Dominazioni, i Principati, le Potestà; tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è avanti a tutte le cose e tutto sussiste in lui. Egli è il capo del corpo della Chiesa, lui che è il principio e il primogenito tra i morti, in ogni cosa, affinché sia il primo. Infatti piacque (al Padre) che in lui abitasse ogni pienezza (della divinità) e, facendo la pace mediante il sangue della sua croce, per mezzo di lui ha voluto riconciliare con sé tutte le cose, quelle che sono sulla terra e quelle che sono in cielo, in Gesù Cristo, Nostro Signore.

Vangelo (Gv 18, 33-37). - In quel tempo: Pilato domandò a Gesù: Sei tu il Re dei Giudei? Gesù rispose: dici questo da te stesso, oppure altri te l’hanno detto di me? Disse Pilato: Sono forse Giudeo? La tua nazione e i grandi sacerdoti ti han messo nelle mie mani: che hai fatto? Rispose Gesù: Il mio regno non è di questo mondo; se fosse di questo mondo il mio regno, i miei ministri, certo, avrebbero combattuto perché non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma il regno mio non è di quaggiù. Dunque tu sei Re? gli chiese allora Pilato. Gesù rispose: Tu lo dici, io sono Re. Sono nato per questo, e per questo sono venuto al mondo, a rendere testimonianza alla verità. Chi è per la Verità ascolta la mia voce.

Il dialogo tra Gesù e Pilato ci rivela il carattere spirituale e universale della Regalità del Messia, la sua origine e il suo fine: «Io sono nato e sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità: chi è per la verità ascolta la mia voce». Commentando questo testo, sant’Agostino ci rivela il disinteresse e la bontà del nostro Re: «Che cosa era per il Signore essere re d’Israele? Era forse qualcosa di grande per il Re dei secoli diventare re degli uomini? Cristo non è re d’Israele per esigere tributi, per armare di ferro dei battaglioni e per domare visibilmente i suoi nemici, ma è re d’Israele per governare le anime, per vegliare su di esse nell’eternità, per condurre al regno dei cieli quelli che credono, che sperano, che amano».
Facciamo dunque vedere che siamo suoi sudditi dando a lui l’omaggio della nostra fede, della nostra confidenza e del nostro amore.
Meglio che nelle altre preghiere del santo sacrificio, nel Prefazio è proposta alla fede e alla pietà dei credenti l’esatta nozione teologica della regalità di Cristo. Come Figlio unico del Padre, al quale è coeterno e consustanziale, il Verbo incarnato comunica alla sua santa umanità, in virtù dell’unione ipostatica, la doppia unzione divina del Sacerdozio e della Regalità. «In virtù del sacrificio redentore sull’altare della Croce, come per la nascita eterna, egli sottomette al suo indistruttibile imperio tutte le creature in un regno di Verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore, di pace» (P. de la Brière, Études, t. 186, p. 358).

Prefazio - È cosa davvero degna e giusta, equa e salutare renderti grazie in ogni tempo e in ogni luogo, o Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno, che ungesti con l’olio della letizia il tuo unico Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, Sacerdote eterno e Re dell’Universo, perché immolando se stesso sull’altare della Croce, ostia immacolata e pacifica, compì il mistero sacro della redenzione dell’uomo e, sottomesse al suo impero tutte le creature, procurò alla tua immensa maestà un regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santificazione e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. Per questo...

Preghiamo - O Dio onnipotente ed eterno che volesti restaurare ogni cosa nel tuo diletto Figlio, Re dell’universo, fa’ che tutte le famiglie del mondo, disgregate a causa del peccato, si sottomettano alla sua soavissima autorità.

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mercoledì 23 dicembre 2009

O Emmanuel, Rex et legifer noster...

La serie settenaria dei giorni che precedono la Vigilia di Natale è celebrata nella Liturgia con il nome di Ferie maggiori. Tutti i giorni, ai Vespri, si canta una grande Antifona che è un grido verso il Messia e nella quale gli si dà ogni giorno uno dei titoli che gli sono attribuiti nella Scrittura. Queste Antifone sono dette “antifone O dell'Avvento”, perché cominciano tutte con l’esclamazione “O”. Riportiamo di seguito la meditazione sull’antifona del 23 dicembre, come proposta dal celebre abate benedettino di Solesmes, dom Prosper Guéranger (1805-1875), nell’opera L’anno liturgico.

O Emmanuel, Rex et legifer noster, exspectatio gentium, et Salvator earum: veni ad salvandum nos Domine Deus noster.
[O Emmanuele, nostro Re e nostro Legislatore, attesa delle genti e loro salvatore, vieni a salvarci, Signore Dio nostro!]

O Emmanuele!, Re di Pace! Tu entri oggi in Gerusalemme, la città da te scelta, perché è là che hai il tuo Tempio. Presto vi avrai la tua Croce e il tuo Sepolcro; e verrà il giorno in cui costituirai presso di essa il tuo terribile tribunale. Ora tu penetri senza rumore e senza splendore in questa città di David e di Salomone. Essa non è che il luogo del tuo passaggio, mentre ti rechi a Betlemme. Tuttavia, Maria tua madre e Giuseppe suo sposo, non l'attraversano senza salire al Tempio per offrire al Signore i loro voti e i loro omaggi; e si compie allora, per la prima volta, l'oracolo del Profeta Aggeo il quale aveva annunciato che la gloria del secondo Tempio sarebbe stata maggiore di quella del primo. Quel Tempio, infatti, si trova in questo momento in possesso di un'Arca dell'Alleanza molto più preziosa di quella di Mosè, e soprattutto non paragonabile a nessun altro santuario e anche al cielo, per la dignità di Colui che essa racchiude. Vi è lo stesso Legislatore, e non più soltanto la tavola di pietra su cui è scritta la Legge. Ma presto l'Arca vivente del Signore discende i gradini del Tempio, e si dispone a partire per Betlemme, dove la chiamano altri oracoli. Noi adoriamo, o Emmanuele!, tutti i tuoi passi attraverso questo mondo, e ammiriamo con quanta fedeltà osservi quanto è stato scritto di te, affinché nulla manchi ai caratteri di cui devi essere dotato, o Messia, per essere riconosciuto dal tuo popolo. Ma ricordati che sta per suonare l'ora, tutto è pronto per la tua Natività, e vieni a salvarci. Vieni, per essere chiamato non più soltanto Emmanuele, ma Gesù, cioè Salvatore.

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