[Avvicinandosi il terzo anniversario, il prossimo 28 febbraio, della scomparsa di dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), riproduciamo con vero piacere – grazie alla cortese autorizzazione dell’autore – l’articolo in memoriam dedicato al fondatore e primo abate dell’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux da parte di P. Louis-Marie de Blignières (nella foto a fianco, scattata al priorato di Bédoin nel 1978, accanto a dom Gérard), Priore della Fraternité Saint-Vincent-Ferrier, una comunità d’ispirazione domenicana sorta nel 1979 ed eretta nel 1988 come istituto religioso di diritto pontificio]
Durante la sconvolgente cerimonia delle esequie, mentre sotto la volta romanica si levava il canto delle cinque assoluzioni riservate ai vescovi e agli abati, due parole si sono impresse nel mio cuore, volgendo lo sguardo al bel viso di colui che è stato per me un padre, poi un amico: «un contemplativo e un lottatore». Attraverso le lacrime rasserenanti che suscita la stupenda liturgia tradizionale dei defunti, mi sono detto: la sua contemplazione continua, è passata – lo speriamo – dalla notte dolorosa della fede alla felice incandescenza della visione; e la sua battaglia non è terminata, giacché quanti ha lasciato in questa valle di lacrime avranno l’onore di continuarla.
Rientrato in convento, ho ritrovato degli appunti di oltre trent’anni fa:
«Il più bel regalo che possiamo fare a dom Gérard lo troviamo in ciò che aveva egli stesso scritto in guisa di prefazione alla riedizione delle Istituzioni liturgiche di dom Guéranger: “Siamo in presenza di un contemplativo e di un lottatore: due caratteristiche che non si oppongono se non in apparenza, poiché l’oggetto della contemplazione, quaggiù, è continuamente minacciato. Il contemplativo deve acconsentire alla lotta, come il lottatore deve essere inabitato da una visione interiore”».
Queste parole di gratitudine, pronunciate nel giorno della mia ordinazione sacerdotale, mantengono la loro attualità, ora che il mio benefattore – nonché di tanti laici, preti, religiosi e religiose – se n’è andato verso l’eterno Padre.
Quanti ricordi che si affastellano, quando lo rivedo addormentato nella pace del suo ultimo sonno, con i suoi sobri ornamenti abbaziali, all’entrata del coro. Quel 7 marzo 1977, quando il suo sorriso accolse la mia tristezza nel suggestivo priorato di Bédoin, di cui diventai oblato regolare. Quei mesi soleggiati nella giovane comunità. La storica passeggiata sulla collina di Le Barroux, ricoperta da una vegetazione cespugliosa, con quel monaco faceto che saliva sulla cima di un albero e che annunciava al gruppo (stupefatto della scelta di quel luogo così arido): «La vista è magnifica!». L’ordinazione diaconale a Carpentras, il sacerdozio a Chatelperron, quando dom Gérard officiò in veste di prete assistente al fianco di mons. Lefebvre… I consigli, giusti e severi, prodigati per l’ardore indiscreto del giovane prete, durante i diciotto mesi di soggiorno in Provenza, a Fonsallette. L’incoraggiamento dell’uomo spirituale in occasione dei ritiri del Rosario e – dopo alcune legittime esitazioni – l’approvazione del superiore religioso finalmente data… a un fondatore di trent’anni! Si è detto che dom Gérard, nello slancio implacabile della sua carità per soccorrere tutte le angosce che gli giungevano, abbia commesso un certo numero d’imprudenze. In ogni caso, non sono nella posizione adatta per farne il computo e ancor meno il rimprovero…
Il cielo dei nostri trent’anni di amicizia è stato certamente attraversato da tempeste memorabili. Nella tempesta che infuriava nella Chiesa, ci siamo trovati a più riprese – ritengo in buona fede – in opposizione, quanto alle analisi teologiche della situazione e alle scelte prudenziali che esse esigevano. Se dom Gérard mi ha fatto l’insigne carità di rimproverarmi quelli che egli reputava essere – e che erano – i miei errori, se ho ritenuto – talora temerariamente – di dovere agire con lui in tal modo, ci siamo tuttavia sempre considerati con una stima reciproca, e non abbiamo mai rotto i rapporti. Lui che detestava le mezze tinte e aborriva l’unzione ecclesiastica, approverebbe che io abbozzassi il chiaroscuro in cui s’inscrive la sua paternità su di me e poi la nostra virile amicizia. Controversie, scuse offerte e accettate, riconciliazioni e poi – particolarmente a far data dall’anno «climaterico» 1988 – una feconda e duratura fraternità d’azione, specialmente nei tentativi in comune con don Bisig, primo superiore della Fraternità San Pietro, presso la Santa Sede. Conservo ancora nello spirito i nostri incontri a tre dal cardinale Ratzinger, durante quegli anni in cui la commissione Ecclesia Dei era così contestata e fragile. Rivivo riunioni di lavoro, a Roma o a Le Barroux, scambi di richieste comuni al Magistero su punti delicati, come la – troppo – famosa dichiarazione sulla libertà religiosa. Dom Gérard mi aveva in un primo momento scritto le sue obiezioni alla nostra interpretazione sulla Dignitatis humanæ; ma qualche anno dopo presentammo assieme alcuni dubia sul tema alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che forse un giorno saranno utili per un’interpretazione autentica nella direzione dell’«ermeneutica della continuità».
Durante gli ultimi anni della sua vita, particolarmente dopo il suo emeritato abbaziale, i nostro scambi sono proseguiti. Era una meraviglia vedere il monaco così erudito ricorrere con semplicità ai pareri dei più giovani di lui, in particolare di Padre Dominique-Marie de Saint-Laumer, per il quale aveva un affetto singolare. Amava – tramite un biglietto o una telefonata – consultarsi e interloquire, sui temi più disparati di dottrina o di liturgia, con la curiosità di un contemplativo di gran classe, al quale non era indifferente nulla di ciò che riguarda la vita della grazia (e la coerenza dell’ordine naturale, giacché era visceralmente ostile a tutto ciò che è disincarnato!). Autorizzò Sedes Sapientiæ a riprodurre la sua «Lettera ai Fratelli di Magdala», su alcuni rischi della corrente carismatica. Più volte si è felicitato con noi per alcuni articoli e ne ha fatti riprodurre taluni sulla lettera Les amis du monastère. Chi conosce la solitudine di colui che scrive potrà misurare quanto tali incoraggiamenti potevano risultarci preziosi. Mi pare che, durante quest’ultimo periodo, la nostra intesa su vari argomenti si sia pacificamente approfondita, fino ad arrivare a quell’armonia interiore che è come un discreto preludio alla comunione celeste.
«L’oggetto della contemplazione, quaggiù, è ininterrottamente minacciato»: dalla Luce in cui è entrato – o entrerà ben presto –, dom Gérard c’insegnerà a non addormentarci mai in una sicurezza ingannevole! Per la nostra vita interiore turbata dalla mediocrità, per le nostre relazioni sociali minacciate dallo spirito mondano, per le nostre battaglie politiche in pericolo di disperazione, per le nostre istituzioni religiose da proteggere dalla rilassatezza, per una carità apostolica al riparo dal silenzio dei cani muti, per il dinamismo della liturgia tradizionale – che egli amava precisamente per la sua capacità senza pari di «esprimere chiaramente il contenuto della fede» –, dom Gérard ci è d’insegnamento, mediante i suoi scritti e il suo esempio. Conservo in particolare ciò che scrisse, nel 1989, al suo antico priore in Brasile: «Si tratta di un rito, senza dubbio, ma tutte le guerre di religione sono guerre di rito. Nessuno fa la guerra se non per delle specie che hanno preso corpo». Il contemplativo e il lottatore, come pure l’artista dal tratto sicuro nella scelta delle parole, sono pienamente in queste parole.
A Dio, carissimo Padre, a ben presto, quando l’Ora sarà giunta, anche per noi.
[P. Louis-Marie de Blignières, Un contemplatif et un lutteur, in Sedes Sapientiæ, anno 26, n. 103, marzo 2008, pp. 17-20, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]