lunedì 7 febbraio 2011

Die 7 februarii - S. Romualdi Abbatis

Intercessio nos, quæsumus, Domine, beati Romualdi Abbatis commendet: ut, quod nostris meritis non valemus, eius patrocinio assequamur. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum, qui tecum vivit et regnat, in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia sæcula sæculorum. Amen.

Romualdo, poi, abitando per tre anni entro il territorio della città di Parenzo, nel primo anno costruì il monastero e negli altri due vi rimase recluso. Lì la compassione divina lo spinse al culmine di una grande perfezione al punto che, ispirato dallo Spirito santo, poteva sia prevedere alcune cose future, sia penetrare con i raggi della propria intelligenza molte cose nascoste dell’Antico e del Nuovo Testamento. […] Spesso, infatti, lo rapiva una tale contemplazione della divinità che, come sciogliendosi interamente in lacrime, bruciando dell’ardore di un inenarrabile amore divino gridava: «Gesù amato, o amato, mio dolce miele, desiderio ineffabile, dolcezza dei santi, soavità degli angeli», e altre espressioni simili. E noi, con la nostra capacità umana, non siamo in grado di esprimere le parole che, dettategli dallo Spirito santo, egli pronunciava nel giubilo. […] E allora Romualdo non voleva mai celebrare la Messa davanti a più persone, poiché non poteva trattenersi dall’essere inondato da lacrime. […] E, dovunque il santo decidesse di abitare, dentro la sua cella costruiva anzitutto un oratorio con un altare, poi vi si rinchiudeva e ne serrava l’accesso. […]
E così, dopo aver abitato in tutti quei luoghi, vedendo ormai imminente la propria fine, ritornò, da ultimo, al monastero che aveva costruito in Val di Castro e lì, attendendo senza alcun dubbio la morte che si avvicinava, comandò che gli venisse edificata una cella con un oratorio nella quale potesse rinchiudersi e custodire il silenzio fino alla morte. […] E così, edificato il reclusorio, mentre nel suo animo già pensava che vi si sarebbe rinchiuso presto, il suo corpo cominciò a essere sempre più appesantito da vari fastidi e a declinare verso il peggio, e ciò non tanto per malattia quanto per la longevità di una vecchiaia assai avanzata. […] Un giorno, dunque, cominciò poco a poco a essere abbandonato dalle forze fisiche e a essere pesantemente fiaccato da un fastidio che lo assalì. E così, mentre ormai il sole volgeva al tramonto, comandò a due fratelli che erano presenti di uscire, di chiudere dietro di sé la porta della cella e di ritornare da lui all’alba per celebrare con lui gli inni mattutini. Essi, turbati per la sua fine, uscirono controvoglia, ma non si recarono subito a riposare, bensì, in ansia temendo che il maestro morisse, nascondendosi vicino alla cella custodivano il talento di un tesoro così prezioso. Dopo un po’ di tempo che rimanevano lì, siccome ascoltando ben attentamente con orecchi aperti non sentivano nessun movimento del corpo né alcun suono di voce, immaginando ormai senza ingannarsi ciò che era accaduto, spingendo la porta si precipitarono velocemente a entrare, accesero la lampada e trovarono il santo cadavere che giaceva supino, mentre la beata anima era stata rapita in cielo. Giaceva, così, come gemma abbandonata, da riporsi con onore nel tesoro del sommo Re. Colui, infatti, che se n’era andato come aveva predetto, migrò là dove aveva sperato.
Quest’uomo beatissimo visse centoventi anni, di cui ne trascorse venti nel mondo, tre li visse in monastero e novantasette li passò nella forma di vita eremitica. Ora, perciò, brilla di luce ineffabile tra le pietre vive della Gerusalemme celeste, esulta con le schiere infuocate degli spiriti beati, è rivestito della candidissima veste dell’immortalità ed è incoronato dallo stesso Re dei re con un diadema che brilla in eterno.

[San Pier Damiani (1007-1072), Vita beati Romualdi, trad. it. in I Padri camaldolesi, Privilegio d'amore. Fonti camaldolesi. Testi normativi, testimonianze documentarie e letterarie, Edizioni Qiqajon, Magnano (Biella) 2007, pp. 65-155 (pp. 111-112 e pp. 151-153)]

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