
La mia conversione è lontana nel tempo. Avevo ventitré anni e ora ne ho cinquantasei. Avevo praticamente tutto dalla vita. Sposato da pochi mesi con la mia ragazza di sempre, un posto di assistente universitario appena laureato, un grande futuro apparentemente davanti a me. Invece, in una settimana – la settimana di Natale – per un’influenza che fece riesplodere una malattia renale che mi aveva tenuto a letto da bambino, passai dalla salute al coma, da un brillante sorridente futuro alla prospettiva di vivere soltanto grazie alla continua purificazione del sangue da parte di una macchina, tre volte alla settimana (grazie alla dialisi, ma allora la parola era quasi sconosciuta e il trattamento praticamente agli inizi). Venivo da una famiglia moderatamente cattolica e praticante, avevo una modesta cultura cattolica verso la quale non provavo avversione, avevo avuto un tranquillo allontanamento dalla pratica religiosa. Ora, dovevo decidermi: alle domande sulla vita e sulla morte che un giovane tendeva a rinviare dovetti rispondere subito. Credetti, mi convertii. Ho fede, una fede razionale e razionalmente tranquilla. Le cose che dico nel Credo non mi pongono problemi, sono facili da credere. La fede mi ha aiutato a sopportare una lunghissima e drammatica storia sanitaria che il poco spazio mi impedisce di accennare. Mi ha salvato dalla disperazione. So di avere avuto molto dalla vita, e quindi dalla provvidenza: una moglie straordinaria, una bella famiglia, carissimi amici, tre splendide figlie adottive ruandesi, una brillante carriera accademica. Ma sarei bugiardo se non dicessi che questa fede ha vacillato e vacilla di fronte alla grande tentazione della domanda «perché a me, Signore?» «Tu vuoi certamente il bene, ma anche il “mio” bene?» «Tu sei certamente amore, ma a me perché “mi” ami così?» «Quando ti chiedo sollievo nei dolori a volte insopportabili, perché non “mi” ascolti?» «Quando, Madonnina mia, prima di un esame clinico per sapere se devo sottopormi all’ennesima operazione (la venticinquesima o la trentesima) e ti prego intensamente, e mi pare che mi sorridi, perché poi la risposta è sconfortante?». Insomma, la mia vera conversione deve ancora venire, finché non dirò, in modo pieno, continuo, sempre: «sia fatta la tua volontà».
[Marco Tangheroni, Parole mie che per lo mondo siete, Pacini Editore, Pisa 2004, pp. 31-32]
[Marco Tangheroni, Parole mie che per lo mondo siete, Pacini Editore, Pisa 2004, pp. 31-32]