[Ricorre in questi giorni, precisamente il 31 gennaio, il centesimo anniversario della nascita di dom Jean Leclercq O.S.B. (1911-1993), francese d’origine, monaco dell’abbazia di Clervaux – nel Lussemburgo –, studioso universalmente noto del monachesimo medievale, curatore dell’Opera omnia di san Bernardo e di altri testi fondamentali, tra cui quello che è considerato il suo capolavoro, L’amour des lettres et le désir de Dieu – pubblicato a Parigi nel 1957 e che ha conosciuto molteplici traduzioni –, la cui attualità e importanza è stata a più riprese messa in luce da Benedetto XVI, che in molti interventi ha fatto riferimento agli scritti di questo monaco dai tratti eccezionali: solo per citarne uno su tutti, si veda il discorso pronunciato, il 12 settembre 2008, al Collège des Bernardins di Parigi. «Il suo grande merito – ha affermato il discepolo e curatore di molte sue opere, dom Gregorio Penco O.S.B. – è stato quello di indicare nella teologia monastica la diretta continuatrice ed erede della teologia patristica. Prima di lui tutta una tradizione culturale ispirata ai canoni dell’illuminismo aveva rigettato come insignificanti molti scritti di spiritualità monastica, che in seguito, grazie alla sua scrupolosa ricerca, sono apparsi una delle espressioni più alte di una civiltà posta al servizio della fede e della contemplazione di Dio». Ebbe a dire dell’esperienza monastica benedettina, in un’intervista del 27 febbraio 1986: «La libertà benedettina è la libertà cristiana. Essa consiste primariamente in un consenso all’essere, a Dio, così come fa Cristo nel Getsemani. La vita monastica, improntata alla Regola di san Benedetto, è una scuola di vita in cui si è educati a essere liberi. Liberi dentro un’obbedienza. Questo è infatti il mistero della vita cristiana: più si obbedisce più si è liberi». Per ricordare il centenario della nascita di dom Leclercq Romualdica propone in questi giorni alcuni estratti dalla sua celebre opera L’amour des lettres et le désir de Dieu.]
La vita cristiana, secondo S. Gregorio, è una progressione che va dall’umiltà all’umiltà, si potrebbe quasi dire: dall’umiltà acquisita all’umiltà infusa; umiltà custodita dal desiderio di Dio in una vita di tentazione e di distacco, approfondita e confermata dalla conoscenza amorosa nella contemplazione. Queste fasi successive S. Gregorio le richiama in descrizioni continuamente rinnovate. Egli non le analizza in termini astratti, filosofici, ma prende dalla Bibbia le immagini concrete che permettono a ciascuno di riconoscere in queste esperienze la propria avventura personale. Per questo il suo insegnamento risponde al bisogno di generazioni che nascevano dal mondo barbarico, dopo le invasioni: a queste anime semplici e nuove, egli offriva una descrizione consolante ed accessibile a tutti, della vita cristiana. Questa dottrina, molto umana, era fondata su una conoscenza realistica dell’uomo così com’è, corpo ed anima, carne e spirito; senza illusione ma senza disperazione, era animata da una visione di fede; da una reale fiducia nell’uomo in cui Dio dimora e in cui opera mediante la prova. E questa lettura comunicava pace, grazie alla pacatezza del suo linguaggio. Quest’uomo che descrive continuamente il conflitto interiore dell’uomo lo fa con parole che sono pacificanti. Si trova ad ogni pagina l’alternarsi della miseria umana e dell’esperienza di Dio, ma anche la loro conciliazione, la loro sintesi nella carità.
Infine questa dottrina è una vera teologia: essa implica una teologia dogmatica, sviluppa una teologia della vita morale e della vita mistica e queste sono pure l’oggetto della teologia. Questa teologia non è meno esplicita per il fatto di essere distribuita nel corso di lunghi commentari. Oserebbe qualcuno dire che non vi è della filosofia in Platone perché essa è sparsa nei dialoghi e che vi è invece una filosofia in Wolff perché qui è esposta sistematicamente? S. Gregorio riflette sulle realtà della fede per meglio comprenderle; non si limita a formulare delle direttive pratiche sul modo di vivere conformemente a queste realtà. Egli ne cerca e ne propone una conoscenza profonda: la ricerca di Dio, l’unione con Dio, sono da lui inserite in una dottrina complessiva dei rapporti dell’uomo con Dio. Su questa dottrina e sui testi che la esprimono, il monachesimo medioevale non ha cessato, a sua volta, di riflettere. Esso l’ha perciò arricchita, ma non rinnovata. Péguy diceva: «Nessuno ha superato Platone». Sembra che nell’analisi teologica dell’esperienza cristiana, non sia stato aggiunto nulla di essenziale a S. Gregorio. Ma perché le idee antiche rimangano giovani, è necessario, ad ogni generazione, pensarle e scoprirle come se fossero nuove; la tradizione benedettina non è venuta meno a questo dovere.
[Dom Jean Leclercq O.S.B., Cultura umanistica e desiderio di Dio. Studio sulla letteratura monastica del Medioevo, trad. it., Sansoni, Milano 2002, pp. 41-42]
La vita cristiana, secondo S. Gregorio, è una progressione che va dall’umiltà all’umiltà, si potrebbe quasi dire: dall’umiltà acquisita all’umiltà infusa; umiltà custodita dal desiderio di Dio in una vita di tentazione e di distacco, approfondita e confermata dalla conoscenza amorosa nella contemplazione. Queste fasi successive S. Gregorio le richiama in descrizioni continuamente rinnovate. Egli non le analizza in termini astratti, filosofici, ma prende dalla Bibbia le immagini concrete che permettono a ciascuno di riconoscere in queste esperienze la propria avventura personale. Per questo il suo insegnamento risponde al bisogno di generazioni che nascevano dal mondo barbarico, dopo le invasioni: a queste anime semplici e nuove, egli offriva una descrizione consolante ed accessibile a tutti, della vita cristiana. Questa dottrina, molto umana, era fondata su una conoscenza realistica dell’uomo così com’è, corpo ed anima, carne e spirito; senza illusione ma senza disperazione, era animata da una visione di fede; da una reale fiducia nell’uomo in cui Dio dimora e in cui opera mediante la prova. E questa lettura comunicava pace, grazie alla pacatezza del suo linguaggio. Quest’uomo che descrive continuamente il conflitto interiore dell’uomo lo fa con parole che sono pacificanti. Si trova ad ogni pagina l’alternarsi della miseria umana e dell’esperienza di Dio, ma anche la loro conciliazione, la loro sintesi nella carità.
Infine questa dottrina è una vera teologia: essa implica una teologia dogmatica, sviluppa una teologia della vita morale e della vita mistica e queste sono pure l’oggetto della teologia. Questa teologia non è meno esplicita per il fatto di essere distribuita nel corso di lunghi commentari. Oserebbe qualcuno dire che non vi è della filosofia in Platone perché essa è sparsa nei dialoghi e che vi è invece una filosofia in Wolff perché qui è esposta sistematicamente? S. Gregorio riflette sulle realtà della fede per meglio comprenderle; non si limita a formulare delle direttive pratiche sul modo di vivere conformemente a queste realtà. Egli ne cerca e ne propone una conoscenza profonda: la ricerca di Dio, l’unione con Dio, sono da lui inserite in una dottrina complessiva dei rapporti dell’uomo con Dio. Su questa dottrina e sui testi che la esprimono, il monachesimo medioevale non ha cessato, a sua volta, di riflettere. Esso l’ha perciò arricchita, ma non rinnovata. Péguy diceva: «Nessuno ha superato Platone». Sembra che nell’analisi teologica dell’esperienza cristiana, non sia stato aggiunto nulla di essenziale a S. Gregorio. Ma perché le idee antiche rimangano giovani, è necessario, ad ogni generazione, pensarle e scoprirle come se fossero nuove; la tradizione benedettina non è venuta meno a questo dovere.
[Dom Jean Leclercq O.S.B., Cultura umanistica e desiderio di Dio. Studio sulla letteratura monastica del Medioevo, trad. it., Sansoni, Milano 2002, pp. 41-42]