Non fu san Benedetto a inventare il cenobitismo. Ben prima di lui, al tempo di sant’Antonio, esisteva il costume di riunirsi fra discepoli attorno a un maestro al fine di cercare il cammino della perfezione nella vita comune. E negli Atti degli Apostoli percepiamo un affresco di tale cenobitismo primitivo: «Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2,44-47).
Non fu san Benedetto il primo a scrivere una regola per i monaci; prima di lui san Pacomio e san Basilio avevano già legiferato per alcune comunità religiose. Ma fu certamente san Benedetto a confermare il cenobitismo nei suoi fondamenti, così come esso si mantiene ancora al giorno d’oggi. Il commento alla Regola di san Benedetto mostra le tre caratteristiche di questa riforma.
Essa è anzitutto un’opera di precisione, perché la Regola è chiara e netta. Il postulante, sin dai primi giorni, apprende la legge sotto la quale va a militare: «Ecce lex sub qua militare vis» (RB LVIII,9). E così conosce le esigenze alle quali va a fare professione.
Il secondo elemento è la discrezione. San Benedetto non esige alcuna austerità straordinaria. Prevede gli alimenti, il sonno, e divide egli stesso l’orario della preghiera, del lavoro, della lettura. La Santa Regola non è concepita per degli eroi o campioni dell’austerità e della penitenza come accade in san Colombano, né per un’élite intellettuale come accade in Cassiodoro. Insomma, questa Regola non vuole prescrivere nulla di duro o penoso; l’abate deve avere coscienza della fragilità terrestre, disponendo le cose con moderazione e discernimento, in maniera tale che le anime si salvino, che i forti desiderino fare di più, e che i deboli non si scoraggino.
Ma ecco il terzo elemento segnalato nella Regola: la stabilità. Essa contraddistingue in maniera decisiva l’opera propria di san Benedetto. Sin dal primo capitolo della Regola, egli analizza le quattro categorie di monaci e fa l’elogio di quella fortissima e valorosa dei cenobiti, «che vivono in un monastero, militando sotto una regola e un abate» (RB I,2). In questa definizione sono già insiti gli elementi che costituiscono l’oggetto dei tre voti: la stabilità nel monastero, la conversione dei costumi, l’obbedienza. Si può tuttavia ritenere che il voto di stabilità sia la chiave del monachesimo occidentale.
[Gustave Corção (1896-1978), La stabilité bénédictine, in Itinéraires, n. 246, settembre-ottobre 1980, pp. 39-50 (qui pp. 44-45), trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]