martedì 29 settembre 2009

La sete di Dio

Nel corso di uno dei suoi sermoni sant’Agostino pone la domanda: «Chi ha sete di Dio?». Non dovevano essere molti quelli che rispondevano «Io!» senza esitazione. Eppure questa sete è universale. È come un seme che Dio stesso ha nascosto nel nostro cuore e che si manifesta in alcuni nostri comportamenti. La curiosità, per esempio: guardate i bambini e i loro incessanti «perché?». Se abbiamo il coraggio di rispondere a questa lista di «perché?» ci accorgeremo che la risposta ultima è Dio in persona. Perché Dio è la Luce. I «perché?» degli adulti si pongono soprattutto davanti alle grandi prove e alla morte. La sola risposta che possa soddisfare questa sete di comprendere è racchiusa in un nome: Gesù crocifisso e risorto.
La nostra sete di Dio si nasconde inoltre, e forse più profondamente, nella nostra paura della solitudine. Ben prima del peccato originale, vedendo Adamo, Dio ha detto che non è bene che l’uomo sia solo. E ha previsto tutto affinché noi possiamo colmare questa solitudine. Per il lavoro delle mani e dell’intelligenza, l’uomo era già assai meno solo. Ma ciò non fu abbastanza per placare la sete del suo cuore. Dio allora creò Eva. Fu così che Adamo intonò il primo canto di gioia di tutto il creato, un canto che esprimeva una reale pienezza umana. Adamo ed Eva devono essersi detti, quando si sono scoperti quel mattino del sesto giorno: «Ecco infine una creatura alla quale io possa consacrare tutta la mia vita».
Ma il cuore dell’uomo ha una sete ancor più profonda. L’autentica solitudine del cuore non può essere colmata che da Dio, il Bene supremo. Noi siamo stati creati per questo Bene. Nel nostro cuore, vi è una dimora nella quale può entrare solo Dio. Questa pienezza soprannaturale fu resa difficile dal peccato e dalle conseguenze che conosciamo.
Come fare quindi per coltivare la nostra sete di Dio? Possiamo riferirci all’immagine del cervo del Salmo 41, che comincia così: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio».
Il cervo è un animale che ha dei legni sulla testa, come se la sua intelligenza cercasse di raggiungere il cielo: non si può avere sete di Dio senza prima conoscerlo. «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo», ci ricorda san Girolamo. Abbiamo dunque sete di conoscere Dio.
Il cervo è un animale che brama, che lancia degli appelli amorosi nella profondità della foresta. È il simbolo della preghiera e della contemplazione del cuore umano che prende coscienza del fatto che la terra è un vasto deserto senza acqua né sentieri, e che non gli resta che la voce per raggiungere ciò che desidera. Impariamo a pregare alla scuola della santa liturgia della Chiesa e dei santi.
Il cervo è un animale che, secondo la mitologia, schiaccia i serpenti. Non si può avere sete di Dio se ci si lascia mordere dai serpenti, cioè dai vizi. D’altro canto, chi schiaccia i serpenti, modello di vita ascetica, è preso da una sete ancora più ardente per il Signore.
Il cervo è un animale che si sposta in gruppo e che, per attraversare i ruscelli, ha l’abitudine di appoggiare la propria testa appesantita dalle corna sulle spalle di un congenere, e così in fila. Non si va a Dio da soli. Non si può avere un’autentica sete di Dio se non si ha la carità fraterna. Non si ha davvero sete di Dio senza spirito missionario, che è la più grande carità.
Infine, il cervo è un animale rapido che nulla può fermare sul suo cammino per raggiungere la fonte d’acqua. Quindi, anche noi, non perdiamo tempo. È peraltro ciò che si propongono i monaci, i quali ritrovano pienamente nel cervo il loro ideale di vita. Essi fuggono il mondo per pregare, leggono e lavorano, fanno penitenza con l’aiuto di molti fratelli. Perché, molto semplicemente, hanno sete di Dio e desiderano che tutti gli uomini condividano questa sete, grazie al merito della loro vita.

[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, editoriale di Les amis du monastère, n. 131, 8 settembre 2009, pp. 1-2, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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