Voi siete, secondo la volontà del vostro fondatore, il Patriarca dei monaci, una «scuola al servizio del Signore»: Dominici schola servitii. Fra le varie famiglie religiose della Chiesa, la vostra originalità consiste nell’esservi votati solo al Signore. Lo servite nella Lode, che san Benedetto chiama Opus Dei; e non vi è sufficiente che la Lode sia pura: volete che sia bella. Voi osservate alla lettera la parola del salmista – «Sette volte al giorno io ti lodo» – e date alla vostra lode le ali del canto. Nel nostro secolo trepidante, in cui tutta l’attività si sviluppa sotto il segno dell’utile, è bello che vi siano ancora uomini e donne che si consacrano a lodare Dio, che per fare questo abbandonano varie volte al giorno tutte le occupazioni e si dedicano alla Lode con gravità, con semplicità, per doversi occupare di una funzione sacra. In questo avete un’incontestabile vocazione nel nostro tempo. Mentre attorno a noi, e anche all’interno della Chiesa, siamo testimoni di un’incredibile svalutazione del sacro, voi soli rendete ancora il sacro sensibile. Lo rendete sensibile per la vostra attitudine, il vostro abito, il vostro incedere quando entrate in coro, mediante i saluti che vi scambiate mutualmente, e che distinguono così bene la dignità dell’uomo attore di un dramma sacro, attraverso l’economia così perfettamente calcolata dei gesti liturgici in cui non c’è alcun spazio per l’improvvisazione, ma che tutto significano, con l’armonia coreografica che presiede alle evoluzioni dell’officiante all’altare. Quando assisto a una Messa conventuale, la più semplice che sia – non dico un pontificale –, preferibilmente quando l’organo si ferma e lascia dei lunghi silenzi prima e dopo la consacrazione, Dio è per me più presente e la mia fede trova una certezza particolare. Quando vi si guarda, quando vi si ascolta, si ha la sensazione che ognuno dei vostri gesti e ogni vostra parola corrispondano a una realtà spirituale. Tali gesti e tali parole s’inscrivono in un insieme liturgico che è il mezzo scelto dalla Chiesa per elevare l’anima dei fedeli alla santità, per «rigenerare alla vita celeste», secondo la bella espressione di Pio XII nell’enciclica Mediator Dei. Questa elevazione per la quale una realtà naturale assume un senso sacro non è possibile che per la vostra fedeltà al principio di san Benedetto: «che l’intima disposizione dell’animo si armonizzi con la nostra voce». Perché è tramite il canto che si traduce la vostra lode. Per dare all’Ufficio divino tutta la sua purezza e perfezione, avete ristabilito le melodie sacre nel loro testo autentico, ciò che sarà l’onore del vostro Ordine in questo secolo. Senza dubbio voi portate il culto liturgico a un grado di perfezione che è difficile raggiungere in una qualsiasi parrocchia; ma non vi sono due liturgie, una per i monaci e un’altra per il popolo cristiano: tutto il popolo è stato invitato ad abbeverarsi alla medesima fonte di santità. Alcune parrocchie hanno dimostrato che, anche con mezzi ristretti, si può dare alla liturgia la grandezza e la nobiltà che essa richiede, ciò che è semplicemente una questione di educazione e di formazione dei fedeli. Noi che apparteniamo al popolo cristiano delle parrocchie, abbiamo certamente seguito in maniera inadeguata le vostre lezioni; ciò nonostante anche noi abbiamo la nostra esperienza e sappiamo senza dubbio che la grazia di Dio agisce per mezzo della preghiera liturgica, che agisce mediante il canto della Chiesa.
[André Charlier (1895-1971), Aux moines et aux moniales de l'Ordre de saint Benoît, articolo-appello del 1967 comparso nel volume Le chant grégorien edito da Dominique Martin Morin (Bouère), di cui una prima versione risale al marzo 1965 (Itinéraires, n. 91), poi in Itinéraires, n. 246, settembre-ottobre 1980, pp. 78-84 (qui pp. 79-80), trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. - 1 / continua]