Assunta la carica episcopale, non è nelle nostre capacità illustrare a sufficienza le sue qualità e la grandezza del suo comportamento. Egli, infatti, restò sempre l'uomo che era stato prima: la sua umiltà di cuore rimase inalterata, identica anche la povertà del suo abbigliamento; e così, ripieno di autorità e di grazia, aveva tutta la dignità di un vescovo senza abbandonare il genere di vita e la virtù di un monaco. Per qualche tempo, dimorò in una cella attigua alla chiesa, poi, poiché non poteva sopportare il disagio che gli causavano i visitatori, decise di trasferirsi in un monastero distante circa due miglia dalla città. La località era così appartata e sperduta, che egli non aveva da desiderare la solitudine di un eremo. Infatti, da un lato, era cinto dalle rocce a picco di un'alta montagna, dall'altro lato, la pianura era chiusa da una piccola ansa della Loira. L’unica via d’accesso era costituita da una sola strada, e per giunta molto stretta. Martino occupava una cella fatta di legno come del resto molti dei suoi confratelli: i più avevano scavato la roccia della montagna sovrastante e ne avevano ricavato le loro celle. Circa ottanta erano i discepoli che si uniformavano all'esempio del loro beato maestro. Nessuno possedeva niente in proprio, tutto era messo in comune. A nessuno era lecito acquistare o vendere alcunché, come sono soliti fare certi monaci. Nell’eremo non si esercitava nessuna arte, eccetto quello del copista, ma questo lavoro era riservato ai più giovani, i più anziani invece trascorrevano il loro tempo in preghiera. Raramente uscivano dalla propria cella, eccetto quando si riunivano nel luogo dove avveniva la preghiera in comune. Quando non digiunavano, mangiavano tutti quanti insieme; non si conosceva il vino, salvo quando qualcuno era ammalato. La maggior parte erano vestiti di pelle di cammello; là, era considerato peccato indossare abiti delicati. Questo rigore era tanto più ammirevole per il fatto che molti monaci erano, a quanto si diceva, dei nobili, allevati in maniera assai ben diversa, si erano assoggettati a questa vita fatta di umiltà e di privazioni. Parecchi di essi, in seguito, li abbiamo visti vescovi. Difatti, quale città o quale chiesa non avrebbe desiderato un vescovo proveniente dal monastero di Martino?
[Sulpicio Severo (360 ca.-420 ca.), Vita Martini, cap. X, "Fondazione del monastero di Marmoutier nei pressi di Tours"]