giovedì 16 settembre 2010

Due passi nell'eternità

[Grazie alla cortese autorizzazione dell'Autore - di cui abbiamo già pubblicato una recensione al libro di Dom Cassingena-Trévedy, La bellezza della liturgia - trascriviamo una suggestiva cronaca sulla Comunità degli Eremiti della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano (Lucca), che dal 1982 conduce in Garfagnana un'esperienza monastica d'impronta benedettina vissuta nello spirito degli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona (riforma del secolo XVI della famiglia che ha le sue origini in san Romualdo)]


“Nel tetro e soffocante edificio del mondo, il chiostro è lo spazio aperto al sole e all’aria”
(Nicolás Gómez Dávila)


La Garfagnana è uno dei luoghi più simili alla tolkieniana Terra di Mezzo: una sequenza di verde e tronchi, tronchi e verde, solo saltuariamente interrotta da chiese romaniche e da piccoli borghi di case in pietra, senza tempo, in cui non ti stupiresti di trovare l’Osteria del Drago Verde o la Locanda del Puledro Impennato. Man mano che ci avviciniamo il bosco si infittisce, i rami degli alberi invadono la strada e sembra quasi di intravedervi il volto di Barbalbero, come se anch’essi avessero assunto la fisionomia dei tre “Gandalf” che abitano in cima a questa lunga teoria di salite e curve, curve e salite sempre più strette. Finalmente arriviamo in cima e parcheggiamo vicino alla casetta adibita a foresteria. Le auto già presenti ci ricordano che nei giorni di festa la solitudine degli eremiti è “violata” da numerose persone che vanno a cercare Dio fin lassù, dove si sentono solo i cinguettii degli uccelli e gli inni sacri dei monaci, che si fondono per unirsi al canto degli angeli.
Entriamo nella chiesetta che - nonostante manchi più di un’ora alla messa - è già piena per i secondi vespri dell’Ascensione. L’altare è quello antico, rivolto ad Deum. Al centro c’è il trono del Re, il tabernacolo, cuore pulsante dell’edificio e della vita dei tre barbuti monaci che siedono ai lati con il breviario tra le mani, avvolti nel loro saio: da un lato fra’ Mario, il superiore, e dall’altro gli altri due, fra’ Claudio (il creativo del gruppo) e padre Lorenzo – quest’ultimo è l’unico sacerdote dei tre, per assicurare i sacramenti ai fratelli. La loro Madre e Regina, la Vergine del Soccorso, è raffigurata sulla pala d’altare nell’atto di percuotere il demonio e così pure nella statua che per il mese mariano ha abbandonato la sua nicchia per mettersi in bella vista ed essere ricoperta di preghiere e omaggi floreali in prossimità del presbiterio - alla nostra sinistra, ma alla destra del Re come la regina del Salmo 44: astitit regina a destris tui, in vestitu deaurato, circumdata varietate. Padre Lorenzo va al centro del presbiterio: nelle sue mani il turibolo oscilla continuamente a destra e a sinistra, in un singolare contrasto con la ieratica immobilità del monaco che sembra appena uscito da un’icona bizantina. A forza di contemplare le realtà celesti sembra fatto d’incenso anche lui. È una scena letteralmente dell’altro mondo, che nessuno potrebbe contemplare restando indifferente; è di una bellezza che non si spiega senza Dio.
Tra il canto di salmi e inni si distingue la voce più “musicale” di tutte, quella di fra’ Claudio: in effetti parliamo di un professionista, visto che - ironia della sorte -, prima di farsi eremita cantava nel gruppo rock-folk “Biglietto per l’inferno” – ma Dio fa nuove tutte le cose (Ap 21,5)...
Terminati i vespri, c’è la piccola cerimonia dell’imposizione dello scapolare del Carmelo ad alcuni fedeli. Fra’ Mario dice che è un giorno propizio per coloro che lo ricevono, poiché oltre alla solennità dell’Ascensione è anche la memoria di san Simone Stock, generale dei Carmelitani che in una situazione angosciante per il suo ordine chiedeva un segno alla sua celeste patrona. La Vergine gli apparve nel 1251 consegnandogli lo scapolare (attualmente due quadrati di stoffa uniti da due lacci), segno e pegno della Sua materna protezione. Quindi don Giovanni, che ha facoltà di imporlo, procede al breve rito e poi va a chiudersi nel confessionale durante la recita del santo rosario.
Una volta la settimana (il giovedi mattina) la messa è celebrata secondo la "forma straordinaria", in rito antico, ma qui è straordinaria anche la messa "ordinaria". Anche oggi la messa è in italiano, la stessa che troviamo in tutte le parrocchie, eppure sembra di trovarsi in un altro mondo. Nell’una o nell’altra forma del rito, nella vita e nella preghiera, nell’ora et labora, a Minucciano viene concretamente applicata quella “ermeneutica della riforma nella continuità” raccomandata da Papa Benedetto XVI.
Padre Lorenzo si reca all’altare rivestito dei paramenti sacerdotali, accompagnato da due oblati – cioè laici che vivono nel mondo la spiritualità degli eremiti – che servono la messa. Incensa ripetutamente e abbondantemente l’altare, un rito nel rito, uno spreco secondo qualche prete che predica e razzola “a cielo chiuso”– può darsi, ma è uno spreco sublime che solo la follia o l’amore possono spiegare. Uno spreco però gradito a Dio, come l’unguento sparso dalla donna ai piedi di Gesù, che solo un cuore chiuso come quello di Giuda poteva criticare… L’eremita invece sparge il sacro fumo senza misura, così come senza misura ha offerto la sua vita a Dio. Del resto, dopo la gioia del tempo pasquale – dice nell’omelia, con il consueto tono di voce in grado di placare qualsiasi tempesta dell’anima – oggi dobbiamo addirittura esultare perché la risurrezione di Cristo culmina nella Sua – e nella nostra! - ascesa alla destra del Padre. Bisogna credergli, anche perché descrive quel Cristo tanto concretamente – “luminoso”, lo definisce – come se parlasse di qualcuno che conosce da tempo. E, in effetti, è così...
Durante la prima metà del Canone, fino alla consacrazione, si interrompe continuamente: un silenzio ogni tre-quattro parole… Non sapremo mai se si stia commuovendo, se si sia fermato a meditare oppure se – perché no? – abbia visto “qualcosa”.
Sappiamo però che questi tre monaci, amici della terra come gli Hobbit e amici del cielo stellato come gli Elfi, vivono il mistero dell’Ascensione nella loro stessa vita. Ancora qui tra le fatiche del mondo e contemporaneamente già proiettati nelle Terre immortali, alla destra del Padre insieme alla celeste Regina, agli angeli e ai santi. Solo così si spiega la perenne giovinezza dei loro occhi - puri e acuti come quelli dei bambini – che dopo un po’ diventano ben più visibili delle lunghe e folte barbe. Quanti anni avranno? Da quanto tempo sono qui? Quanto sarà durata la liturgia? Né troppo tempo, né poco, anzi non è affatto durata: perché a Minucciano abbiamo fatto due passi nell’eternità...
Stefano Chiappalone

Share/Save/Bookmark