Fin dai primissimi tempi la liturgia della Chiesa si espresse in due forme, tra loro connesse, in modo che l’una sia l’estensione e l’approfondimento dell’altra. Si tratta della liturgia ordinaria del popolo di Dio e, al suo interno, quella più specifica degli asceti e delle vergini. La prima celebra i divini misteri nel tessuto della vita di ogni giorno, seguendo i ritmi e le situazioni in cui si trova la comunità cristiana, l’altra prepara e prolunga nei tempi e approfondisce nei contenuti i misteri celebrati nella riunione domenicale e feriale, che tutti accomuna. Questa due modalità, che rispondono a specifiche sensibilità spirituali e a diversa disponibilità di tempo e di lavoro, convivono dentro la comunità cristiana e si intrecciano, come espressioni legittime e complementari della liturgia quotidiana e settimanale della Chiesa locale. In tal modo l’intera assemblea liturgia riceve permanentemente il beneficio e la testimonianza di una dedizione cultuale più intensa ed estesa, a contatto con la vita della comunità, che gli asceti offrivano a Dio per il bene e il progresso di tutti i fratelli nella fede. Essi, infatti, anticipavano nella lode e nella meditazione, la convocazione di tutto il popolo con i suoi pastori, e la estendevano poi in altre ore del giorno e della notte, impossibili a chi viveva nei normali ritmi giornalieri. Gli asceti e le vergini non vivevano quindi da estranei alla loro comunità cristiana, ma erano pienamente inseriti in essa e stavano in primo piano nella comune celebrazione dei divini Misteri, dai quali i fedeli laici attingevano la forza per il loro impegno secolare e gli asceti la luce per una vita spirituale più intensa e fervente.
Con l’avvento della libertà religiosa queste pratiche ulteriori, che nei primi secoli erano per lo più facoltative e fatte solo dai più zelanti, ricevono una più precisa organizzazione sia nei riti, come nelle persone che le assolvono e si avviano verso una forma sempre più istituzionalizzata. Questa situazione, più evoluta, è già evidente nella Chiesa di Gerusalemme del IV secolo, secondo il noto diario della pellegrina spagnola Egeria. Ebbene, queste due diverse intensità nell’esercizio del culto sono all’origine della due fondamentali forme liturgiche, comuni in Oriente e in Occidente, designate oggi come: la liturgia cattedrale e la liturgia monastica. La prima scaturisce dal modulo tipico dei riti rivolti all’assemblea di tutto il popolo, la seconda deriva da quelle forme supplementari, consentite solo ad alcuni, gli asceti e le vergini. Un esempio di composizione di queste due forme lo si può individuare nella Liturgia delle Ore, dove, le Lodi, i Vespri e la Veglia domenicale, si ritengono appartenenti all’antico ufficio cattedrale, mentre le Ore minori diurne (Terza, Sesta, Nona, Compieta) e l’Ufficio notturno feriale si configurano come sviluppi successivi dell’Ufficiatura monastica.
In seguito, con la nascita e la crescente affermazione del monachesimo e soprattutto col passaggio dalla forma eremitica a quella cenobitica, la liturgia monastica tende a separarsi notevolmente dal seno della Chiesa locale e ad esprimersi sempre più in ambienti diversi e con forme proprie, più consone al carisma specificatamente contemplativo. Si giungerà così, nell’alto medioevo, alla realizzazione matura di quelli che saranno i due luoghi precipui della vita della Chiesa e dell’irradiazione evangelica: la città con la liturgia della sua cattedrale e il monastero con la liturgia abbaziale. Qui le due forme liturgiche potranno percorrere strade distinte in strutture rispettivamente più adatte e con un diverso tipo di assemblea liturgica: quella del popolo e quella dei monaci. Questa opportunità consentirà alle due forme – cattedrale e monastica – di raggiungere una maggiore identità e di esprimersi con una propria genialità, ma produrrà anche una più profonda divaricazione tra monaci e laici.
In questo quadro storico i due grandi, Benedetto e Gregorio, emergono quali personalità rappresentative delle due forme liturgiche: Benedetto è il simbolo della liturgia monastica, Gregorio è il simbolo della liturgia cattedrale.
In verità essi assurgono anche ad essere i paladini dell’intera vita ecclesiale dell’Occidente. Infatti, la loro persona è strettamente collegata alle due Regole, che essi hanno donato alla Chiesa. La Regola monastica di san Benedetto organizza il monachesimo occidentale e pone le basi costitutive delle abbazie; La Regola pastorale di san Gregorio Magno, imposta la pastorale occidentale e pone le basi della vita diocesana e dei suoi pastori.
La liturgia monastica, in primo luogo, privilegia il monito evangelico del pregare incessantemente (1Ts 5,17) e si impegna ad una assolvenza tendenzialmente piena dell’intero salterio e di un più ampio lezionario biblico. Ciò è reso possibile da un regime di vita consono alla contemplazione, diurna e notturna, e si può realizzare solo in ambienti adatti a questo scopo, col supporto di una comunità che condivida preghiera, lavoro e riposo. Gli Angeli che contemplano sempre il volto di Dio ne sono icona e la vita celeste ne è modello. L’intimità totale con Dio e l’olocausto della verginità, la fusione sinfonica nella comunità, unita all’abnegazione di se stessi, delineano il cuore del monaco e offrono il clima spirituale più idoneo per l’attuazione del canto corale e regolare delle lodi divine. Soprattutto dopo la fine della grandi persecuzioni si sentì l’esigenza di non rinunciare a quella radicalità evangelica che era caratteristica delle origini eroiche del cristianesimo e, di fronte all’inevitabile allentamento della preghiera in un popolo cristiano sempre più numeroso, ma con conversioni talvolta sommarie, si intese conservare la generosità degli inizi con una vigorosa proposta esistenziale, che tenesse vivo lo spirito della primitiva comunità cristiana. In tal senso la liturgia monastica, in tutte le sue variabili, costituisce un bacino di spiritualità irrinunciabile per la santità e l’elevazione qualitativa dell’intero popolo di Dio. San Benedetto è l’interprete insuperato della liturgia monastica occidentale e il suo carisma è descritto con rara eloquenza in uno dei responsori più belli dell’Ufficio Romano, che si canta proprio nella sua festa dell’11 luglio:
San Benedetto, lasciando la casa e l’eredità paterna per essere gradito a Dio, si consacrò interamente a lui nella vita monastica.La liturgia cattedrale, invece, si cura prevalentemente di introdurre il popolo nei misteri e di disporlo a riceverne con frutto la grazia. Elevare il popolo alla liturgia e portare la liturgia al popolo è la preoccupazione del pastore. Il popolo nella sua globalità e nelle situazioni ordinarie di vita è il referente fondamentale di questa forma liturgica. E il genio specifico del pastore vigilante sta nel coniugare con equilibrio l’integrità del mistero con la sua trasmissione, senza ridurre o eliminare uno dei due termini. L’intento pastorale ricerca nella continuità della tradizione l’impiego migliore di formule, preci, simboli e riti verificando con responsabilità e competenza la loro abilità a comunicare quella grazia, che devono poter esprimere in modo adeguato. Per questo la liturgia cattedrale tende ad essere breve, incisiva, semplice, elastica. Essa segue il ritmo diversificato delle categorie comuni dei cristiani, che vivono nella società e sono impegnati nel lavoro quotidiano. Tuttavia non è priva di fascino, di sacralità e di solennità, come dimostra la liturgia della Chiesa Romana, che da sempre si esprime con riti brevi, lineari, nobili e solenni. È, infatti, la nobile semplicità (SC 34) il carisma di questa Chiesa con la quale tutte le Chiese devono concordare. E dalla nobiltà della forma romana spira un senso del sacro essenziale ed eccelso e, proprio per questo, incisivo nella pastorale. San Gregorio Magno è il modello della liturgia cattedrale romana. Egli, come risulta dal suo Sacramentario, ha fatto sintesi delle migliori tradizioni liturgiche precedenti e, da buon pastore, ha consegnato al suo popolo una liturgia capace di coinvolgerlo con efficacia nei misteri salvifici. La sua opera liturgica ebbe una tale diffusione e una così vasta recezione nella Chiesa latina da varcare i secoli, fino a giungere ai nostri tempi. Il suo genio pastorale lo raccomanda quale referente per ogni successiva riforma della liturgia, che, mediante uno sviluppo organico dell’ininterrotta Tradizione, immette nel popolo cristiano, che si diversifica nelle culture, quell’unica energia divina che non può mai essere corrotta. Anche Gregorio trova nel meraviglioso responsorio della sua memoria liturgica del 3 settembre, una mirabile sintesi dell’intera sua opera pastorale e in particolare del suo splendido genio liturgico:
* Abitò solo con se stesso, sotto gli occhi di colui che vede tutto.
Si ritirò dal mondo, con l’ignoranza di chi sa troppo bene, e con la sapienza di chi non vuol sapere.
* Abitò solo con se stesso, sotto gli occhi di colui che vede tutto.
Dalle profondità delle Scritture trasse norme di azione e contemplazione, e immise nella vita del popolo l’acqua viva del Vangelo.Il mutuo legame tra le due forme liturgiche – cattedrale e monastica – è ancora assicurato da Gregorio e Benedetto. Infatti, Benedetto – monaco – assume come base liturgica per le sue comunità monastiche il rito dell’Urbe – sicut psallit Ecclesia Romana – e così salva la forma romana antica e classica e la trasmette ai posteri. Gregorio – vescovo – adatta alle esigenze del suo popolo la liturgia di sempre, ma sempre col cuore legato al monastero e con un continuo riferimento alla sua personale esperienza di monaco. In tal modo, né manca a Benedetto la comunione con la liturgia cattedrale, né manca a Gregorio la comunione con la liturgia monastica. Si ritorna così a quel nesso indissolubile delle origini, quando popolo e asceti, condividevano nell’unica Chiesa locale le due anime della liturgia. Un legame che mai dovrebbe essere perduto per l’edificazione dell’unico popolo di Dio. Benedetto e Gregorio, non solo affermano la legittimità e la ricchezza delle due forme liturgiche, ma al contempo ne proclamano l’unità indissolubile e il comune orientamento al servizio dell’unica Chiesa di Dio.
* La sua voce continua a risuonare nella Chiesa.
Come aquila colse dall’alto il senso delle cose; con la forza della carità provvide agli umili e ai grandi.
* La sua voce continua a risuonare nella Chiesa.
[Don Enrico Finotti, La centralità della Liturgia nella storia della salvezza. Le sorti dell’uomo e del mondo tra il primato della Liturgia e il suo crollo, Fede & Cultura, Verona 2010, pp. 96-100]