Nella Chiesa primitiva e durante il Medioevo, fu norma rivolgersi a
oriente durante la preghiera. Dice sant’Agostino: “Quando ci alziamo in piedi
per la preghiera, ci volgiamo a oriente, da dove s’innalza il cielo, non come
se ivi soltanto fosse Dio, e avesse abbandonato le altre parti del mondo (...),
ma perché lo spirito si innalzi a una natura superiore, ossia a Dio”.
Queste parole del Padre africano mostrano che i cristiani, dopo l’omelia,
si alzavano per la preghiera successiva e si volgevano a oriente. A quest’atto
allude sempre Agostino concludendo le sue omelie con la formula fissa conversi ad Dominum (“rivolti al Signore”).
Il Dölger, nel suo fondamentale Sol
salutis, ritiene che anche la risposta del popolo Habemus ad Dominum, all’invito
del celebrante Sursum corda,
implichi l’essere rivolti a oriente, tanto più che alcune liturgie orientali
esigono che ciò effettivamente sia, dopo l’invito del diacono.
Ciò vale per la Liturgia copta di Basilio, dove all’inizio dell’anafora
si dice: “Venite, uomini, state in adorazione e guardate a oriente”, e per la
Liturgia egiziana di Marco, dove un analogo invito – “Guardate a oriente” –
viene dato nel corso della Preghiera eucaristica, ossia prima del Sanctus.
Nella breve esposizione del rituale liturgico contenuta nel libro II
delle Costituzioni apostoliche (fine del secolo IV), è prescritto di
alzarsi in piedi per la preghiera e di volgersi a oriente. Nel libro VIII viene
riportato un equivalente invito del diacono: “State in piedi rivolti al Signore”.
Nella Chiesa primitiva, pertanto, volgersi al Signore e guardare a oriente
erano la stessa cosa.
L’usanza di pregare rivolti al punto in cui sorge il sole è
antichissima, come il Dölger ha dimostrato, e comune a ebrei e gentili. I
cristiani l’adottarono ben presto. Già nel 197, la preghiera verso oriente è
per Tertulliano una cosa normale. Nel suo Apologeticum (cap. XVI), egli riferisce che i
cristiani “pregano nella direzione in cui sorge il sole”.
Allora nelle case si indicava la direzione della preghiera a mezzo di
una croce incisa nel muro. Una croce del genere è stata ritrovata a Ercolano in
una camera al primo piano di una casa sepolta dall’eruzione del Vesuvio nell’anno
79.
Ora esaminiamo l’orientamento del celebrante e dei fedeli durante la
messa. In fondo si tratta del problema se è mai esistita, agli albori del
cristianesimo, una celebrazione versus
populum (verso il popolo)
come oggi si pretende di sostenere.
O. Nußbaum, dopo un lungo esame dedicato alla questione in Il posto del liturgo all’altare
cristiano (1965) espone così
il problema: “Coll’erezione di edifici specialmente riservati al culto, non si
è adottata alcuna regola severa per stabilire da quale parte dell’altare doveva
trovarsi il posto del liturgo. Succedeva che l’occupava spesso davanti all’altare
e anche spesso dietro” (p. 408). Nußbaum nutre tuttavia la convinzione che si
preferiva la celebrazione verso il popolo fino al VI secolo. Ma questa sua
opinione è talmente errata che non è possibile sostenerla né accettarla.
Egli infatti non distingue la differenza che esiste fra le chiese dall’abside
verso l’est e altre che hanno l’abside diretta verso ponente e, quindi, l’ingresso
dalla parte orientale. Quest’ultimo orientamento si trova per di più soltanto
in basiliche del IV secolo e anche qui in primo luogo in quelle edificate da
Costantino o da sua madre Elena.
Già all’inizio del V secolo san Paolino da Nola chiama usuale (usitatior)
le abside dalla parte orientale (ep. 32,15).
Troviamo basiliche con ingresso verso oriente soprattutto a Roma (il
Laterano e S. Pietro) e nell’Africa del nord, mentre esse scarseggiano in
Oriente. Trattandosi di edifici con la porta di ingresso rivolta verso oriente,
si può dire che essi seguivano l’esempio del Tempio di Gerusalemme e dei
maggiori templi antichi.
Nelle basiliche dall’ingresso verso oriente il celebrante era
costretto a tenersi regolarmente dalla parte di dietro dell’altare per
garantire l’orientamento verso est durante l’offerta del santo sacrificio; al
contrario nelle chiese dall’abside verso l’est, il sacerdote doveva
necessariamente tenersi davanti l’altare (ante altare) volgendo le
spalle ai fedeli. Ora la nostra domanda deve porsi così: dov’era il posto dei
fedeli nelle basiliche (costantiniane) con l’abside rivolto verso ponente?
Durante il Canone della messa, non solo il sacerdote ma anche i fedeli
stavano rivolti verso oriente. Vale a dire che i fedeli stavano anch’essi
rivolti verso oriente, guardando in direzione delle porte della chiesa, tenute
aperte, attraverso le quali filtrava la luce del sole simbolo di Cristo
risorto.
Durante la celebrazione della eucaristia, nemmeno nelle basiliche
menzionate il popolo e il sacerdote non stavano mai di faccia. I fedeli –
separati gli uomini dalle donne – prendevano posto nelle navate laterali. Le
grandi basiliche ne possedevano fino a sei (il Laterano e S. Pietro ne hanno
quattro). Questa disposizione corrisponde ai posti a sedere che si trovano
nelle piccole chiese paleocristiane, un uso che continua a esistere ancora
nelle chiese dell’Oriente. Anche qui la navata centrale rimane libera, i fedeli
anziani siedono sui sedili lungo le pareti laterali e nelle navate mentre la
maggior parte dei fedeli rimane in piedi.
Nelle basiliche costantiniane, e qualche volta anche nelle chiese
africane, tutta quanta la navata centrale serviva allo svolgimento delle funzioni
ed era a disposizione del sacerdote e della schola
cantorum, come dimostrano gli scavi e anche un mosaico a Thabarca (Africa
del nord), che data al IV secolo. L’altare ornato di un baldacchino, si erigeva
all’incirca al centro della chiesa ed era circondato da balaustre. Lo stesso
ordine viene ritrovato nell’Italia settentrionale nelle basiliche più antiche
ad esempio ad Aquileia e Ravenna, sebbene l’abside si trovi in direzione dell’oriente.
Nella basilica costantiniana di S. Pietro l’altare non era collocato
sopra la tomba dell’Apostolo ma bensì nel centro della navata. Nella nuova
attuale basilica, l’altare papale si trova invece sulla tomba dell’Apostolo,
ma, come nell’antichità, è ancora circondato da un’isola che gli conserva l’ubicazione
centrale di una volta.
I fedeli, perciò, nelle basiliche in cui l’ingresso e non l’abside era
situato a oriente, se non guardavano l’altare nemmeno voltano a esso le spalle:
cosa inammissibile, data la santità dell’altare stesso. Poiché erano nelle
navate laterali, avevano l’altare rispettivamente alla loro destra o alla loro
sinistra, e formavano un semicerchio aperto a oriente col celebrante e gli
assistenti all’incrocio del transetto con l’asse longitudinale della chiesa.
Nelle chiese con l’abside a oriente, tutto dipendeva da come si
disponevano i fedeli. Se formavano un ampio semicerchio davanti all’altare
situato nella parte absidale della chiesa o presbiterio, anche in questo caso
il semicerchio era aperto a oriente; il celebrante non era più all’incrocio dei
bracci, bensì nel punto focale, più lontano dai fedeli.
Nel Medioevo, invece, quasi ovunque i fedeli prendono posto nella
navata centrale, mentre le navate laterali servono per la processione d’ingresso.
In tal modo, dietro al celebrante si snoda il viaggio del popolo di Dio verso
la Terra promessa. Meta del viaggio è l’oriente: là è il paradiso, perduto, a
cui l’uomo agogna di tornare (cfr. Gen 2,8). Testa di questa teoria sono il
celebrante e i suoi assistenti.
In contrasto con la dinamica del viaggio, il semicerchio aperto attua
un principio statico durante la preghiera: l’attesa del Signore che, asceso in
cielo a oriente (cfr. Ps 67,34), da oriente ritornerà (cfr. At 1,11). Qui, la
disposizione a semicerchio aperto è dunque, per così dire, naturale. Quando si
aspetta un’alta personalità, si apre un varco e si forma un semicerchio per
ricevere nel mezzo la persona attesa.
Analogo pensiero esprime san Giovanni Damasceno (De fide orthod. IV 2): “Nella sua ascensione al cielo,
Egli si levò verso oriente. Così Lo adorano gli Apostoli, e ritornerà come essi
Lo videro andare verso il cielo. Dice infatti il Signore: Come il lampo parte
da oriente e illumina fino a occidente, tale sarà anche la venuta del Figlio
dell’uomo. Poiché l’aspettiamo, adoriamo rivolti a oriente. Degli Apostoli,
questa è una tradizione non scritta”.
Partendo da questa veduta, a cominciare pressappoco dal VI secolo, si
cominciò a rappresentare l’ascesa del Signore sullo sfondo dell’abside
ricordando in tal modo anche la sua gloria nel cielo e la sua seconda parusia
(At 1,11). Più tardi il Cristo in trono nella mandorla venne staccato da quella
composizione per divenire quale maiestas
Domini, circondato dai quattro animali, il quadro absidiale romanico.
Erano presenti nella prima composizione anche gli Apostoli e nel loro
mezzo Maria che alzava le mani al cielo in posizione orante. Ancora più tardi
si dipingeva sotto la cupola principale il Pantocrator,
oppure l’ascesa del Signore, sopra l’altare, senza però unirvi la Madre di Dio
che continuava a ornare l’abside.
Può darsi che un passo dell’Apocalisse ne abbia dato l’ispirazione, là
dove si legge: “E si aprì il tempio di Dio nel cielo e apparve l’arca del
testamento nel tempio (come sappiamo l’arca sta sull’altare nelle chiese d’oriente)
... e un segno grande apparve nel cielo: una donna vestita di sole con la luna
ai piedi e sul capo dodici stelle” (Ap 11,19-12,1). È degno di nota il fatto
dell’avvicinamento nell’Apocalisse di Maria-Ecclesia con l’arca del testamento,
ma colpisce anche che la tenda del tempio, che copre il luogo più sacro, non si
apre che in determinate occasioni. Il mistero, il tremendum esige che lo si nasconda, solo in tal
modo si risveglia la nostalgia di poterlo contemplare.
“Adesso vediamo come in uno specchio, nell’enigma, ma poi faccia a
faccia” (1Cor 13,12).
Lo sguardo levato verso l’oriente non cerca soltanto la gloria di
Cristo in cielo e il suo ritorno, ma esprime anche il desiderio della visione
che si svelerà alla fine dei giorni, nella gloria avvenire. È quello il
significato della prece che si innalza nella Didaché (X 6) Maranatha! che ripete il Veni, Domine Iesu! dell’Apocalisse.
In questo breve studio si è soltanto tenuto conto di alcuni punti
importanti che riguardano l’orientamento verso l’est durante la preghiera e il
posto del celebrante nella Chiesa dei primi secoli.
Altri dati importanti archeologici sono esposti nel mio libro Liturgie und Kirchenbau (“Liturgia e architettura religiosa”)
che fornisce anche le prove necessarie.
È vero che l’uomo moderno non sa più capire bene il significato dell’orientamento
della preghiera verso l’est. Per lui il sole che sorge non ha più la forza
simbolica che aveva per l’uomo antico. Però, al di sopra dei tempi storici, sta
l’importanza della preghiera ad
Dominum, verso il Signore da parte del celebrante e dei fedeli, che esprime
l’orientamento verso la croce dell’altare e verso l’immagine di Cristo nell’abside,
da parte di tutti i presenti, sacerdote e fedeli.
[Klaus Gamber (1919-1989), “Verso il Signore”,
trad. it. in Notizie. Periodico dell’associazione italiana Una Voce per la
salvaguardia della liturgia latino-gregoriana, edito dalla Sezione di Torino, n.
116, gennaio 1987, pp. 1-4]
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