[…] Alla luce degli auspici fondamentali dei Padri del
Concilio [Vaticano II] e delle varie situazioni che abbiamo visto affiorare
dopo il Concilio, vorrei presentare alcune considerazioni pratiche quanto al
modo di mettere in opera più fedelmente Sacrosanctum
Concilium nel contesto attuale. Sebbene io mi trovi alla guida della
Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, lo faccio in
tutta umiltà, come sacerdote e come vescovo, nella speranza che esse
susciteranno studi e riflessioni mature, come pure buone pratiche liturgiche,
ovunque nella Chiesa.
Non vi sorprenderete se raccomando che possiamo
anzitutto esaminare la qualità e la profondità della nostra formazione
liturgica, la maniera con cui abbiamo aiutato il clero, i religiosi e i laici a
impregnarsi dello spirito e della forza della liturgia. […] La formazione
liturgica è anzitutto ed essenzialmente un’immersione nella liturgia, nel
mistero profondo di Dio, nostro Padre beneamato. Si tratta di vivere la
liturgia in tutta la sua ricchezza, d’inebriarsene bevendo a una fonte che non
estingue mai la nostra sete per le sue delizie, le sue leggi e la sua bellezza,
il suo silenzio contemplativo, la sua esultazione e adorazione, il suo potere
di legarci intimamente a Colui che è all’opera nei e per i sacri riti della
Chiesa.
Ecco perché coloro che sono in “formazione” per il
ministero pastorale dovrebbero vivere la liturgia quanto più pienamente
possibile nei seminari e nelle case di formazione. I candidati al diaconato permanente dovrebbero essere immersi in un’intensa vita di preghiera liturgica
per un tempo prolungato. Aggiungo che la celebrazione piena e ricca della forma
antica del rito romano, l’usus antiquior,
dovrebbe costituire una parte importante della formazione liturgica del clero.
Senza di ciò, come iniziare a comprendere e a celebrare i riti riformati nell’ermeneutica
della continuità, se non si è mai fatta l’esperienza della bellezza della
tradizione liturgica che conobbero gli stessi Padri del Concilio e che ha
forgiato così tanti santi durante i secoli? Una saggia apertura al mistero
della Chiesa e alla sua ricca tradizione plurisecolare, e un’umile docilità a
ciò che lo Spirito Santo dice oggi alle Chiese, sono un vero segno che noi
apparteniamo a Gesù Cristo: “Ed egli disse loro: ‘Per questo ogni scriba,
divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che
estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche’” (Mt 13,52). […]
Secondariamente, ritengo si debba essere chiari a
proposito della partecipazione alla liturgia, la participatio actuosa come l’ha chiamata il Concilio. Ciò ha
generato molta confusione nel corso degli ultimi decenni. L’articolo 48 della
costituzione sulla sacra liturgia dice che “la Chiesa si preoccupa […] che i fedeli non assistano come
estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo
bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra
consapevolmente, piamente e attivamente”. Per il Concilio, la partecipazione è
anzitutto interiore, ottenuta “comprendendolo bene [il mistero dell’Eucaristia]
nei suoi riti e nelle sue preghiere”. La vita interiore, la vita sprofondata in
Dio e intimamente abitata da Dio, è la condizione indispensabile a una
partecipazione fruttuosa e feconda ai santi misteri, che celebriamo nella
liturgia. La celebrazione eucaristica dev’essere essenzialmente vissuta dall’interno.
È all’interno di noi che Dio desidera incontrarci. […]
Se comprendiamo la priorità d’interiorizzare
la nostra partecipazione liturgica, eviteremo il rumoroso e pericoloso
attivismo liturgico che s’incontra troppo spesso negli ultimi decenni. Non
andiamo alla Messa per dare spettacolo, ma per unirci all’azione di Cristo
attraverso un’interiorizzazione dei riti, preghiere, segni e simboli che fanno
parte dei riti esteriori. Noi sacerdoti, potremmo ricordarcene più spesso degli
altri, visto che la nostra vocazione è il servizio liturgico! Noi dobbiamo
altresì formare gli altri, in particolare i bambini e i giovani, all’autentico
significato della partecipazione, al modo di pregare la liturgia. […]
In terzo luogo […], io non ritengo che si possa
squalificare la possibilità o l’opportunità di una riforma ufficiale della
riforma liturgica. I suoi promotori avanzano delle considerazioni giudiziose
nel loro tentativo di essere fedeli all’auspicio del Concilio espresso nell’articolo
23 della costituzione, in cui si propone di “conservare la sana tradizione e aprire nondimeno la via ad un
legittimo progresso”. Occorrerà sempre iniziare con un accurato studio
teologico, storico, pastorale, affinché “non si introducano innovazioni se non
quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l’avvertenza
che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle
già esistenti”.
Onde supportare quanto detto, desidero aggiungere
che quando sono stato ricevuto in udienza dal Santo Padre lo scorso aprile,
Papa Francesco mi ha chiesto di studiare la questione di una riforma della
riforma e il modo in cui le due forme del rito romano si possono arricchire
reciprocamente. Sarà un lavoro lungo e delicato e vi chiedo la pazienza e l’assistenza
delle vostre preghiere. Se vogliamo mettere in opera più fedelmente Sacrosanctum Concilium, se vogliamo
realizzare ciò che il Concilio auspicava, è una questione che dev’essere
studiata con attenzione ed esaminata con la chiarezza e la prudenza richieste,
nella preghiera e nella sottomissione a Dio. […]
Voglio lanciare un
appello a tutti i sacerdoti. Forse avete letto il mio articolo su L’Osservatore Romano di un anno fa (12
giugno 2015) o la mia intervista al giornale Famille Chrétienne nel mese di maggio di quest’anno. In ogni
occasione, ho detto che è di primaria importanza ritornare il più presto
possibile a un orientamento comune dei sacerdoti e dei fedeli, rivolti insieme nella
medesima direzione – verso Est, o perlomeno verso l’abside –, verso il Signore
che viene, in tutte le parti del rito in cui ci si rivolge al Signore. Questa
pratica è permessa dalle regole liturgiche attuali. Ciò è perfettamente
legittimo nel nuovo rito. In effetti, penso che una tappa cruciale è di fare in
modo che il Signore sia al centro delle celebrazioni.
Pertanto, cari
fratelli nel sacerdozio, vi chiedo umilmente e fraternamente di mettere in
opera questa pratica ovunque sia possibile, con la prudenza e la pedagogia
necessarie, ma anche con la certezza, in quanto preti, che è una buona cosa per
la Chiesa e per i fedeli. La vostra valutazione pastorale determinerà come e
quando ciò sarà possibile, ma perché eventualmente non cominciare la prima
domenica di Avvento di quest’anno, quando noi attendiamo il “Signore [che]
viene senza tardare” (cfr. l’introito del mercoledì della prima settimana di
Avvento)? Cari fratelli nel sacerdozio, prestiamo orecchio alle lamentazioni di
Dio proclamate dal profeta Geremia: “A me rivolgono le spalle, non la faccia” (Ger 2,27). Rivolgiamoci di nuovo verso
il Signore! Dal giorno del suo battesimo, il cristiano non conosce che una
direzione: l’Oriente. Ci ricorda sant’Ambrogio: “Tu sei dunque entrato per
guardare il tuo avversario, al quale hai deciso di rinunciare faccia a faccia,
e ora ti volgi verso l’Oriente (ad
Orientem); poiché colui che rinuncia al diavolo si volge verso il Cristo,
lo guarda dritto negli occhi” (Sant’Ambrogio, De Mysteriis). […]
[Estratto della conferenza di S.Em. il card. Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, “Towards an Authentic Implementation of Sacrosanctum Concilium” (versione ufficiale in lingua francese della conferenza qui), svolta il 5 luglio 2016 nel corso del Convegno Sacra Liturgia 2016 (Londra, UK, 5-8 luglio 2016), trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]