Lo scorso 24 giugno abbiamo circondato Dom Marc, in occasione della sua benedizione come primo abate di Sainte-Marie de la Garde. Tutti noi, vescovi, sacerdoti, monaci, fedeli, profondamente uniti nell’affascinante bellezza della liturgia, conserveremo nel cuore una certa esperienza “di Tabor”. L'architettura romanica della chiesa di Moirax, il rito antico, il canto gregoriano, si sono uniti per fare scendere dal cielo una grazia del soprannaturale che non dimenticheremo e ancor meno getteremo nelle tenebre della storia. Vi confesso molto semplicemente che ho avuto come una piccola fitta al cuore, perché questi tre giorni di festa sono stati così luminosi, così caritatevoli, così pieni di speranza, che ho presagito che presto sarebbe stato necessario scendere a valle per affrontare la croce. Due settimane dopo, Papa Francesco ha pubblicato il motu proprio che conoscete. Lo choc è stato terribile per tutti. Che cambiamento dal 1988, quando il Papa san Giovanni Paolo II scriveva:
“A tutti questi fedeli cattolici, che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina, desidero manifestare anche la mia volontà – alla quale chiedo che si associno quelle dei Vescovi e di tutti coloro che svolgono nella Chiesa il ministero pastorale – di facilitare la loro comunione ecclesiale, mediante le misure necessarie per garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni” (Motu proprio Ecclesia Dei, 5, c).
Nella lettera che accompagna il motu proprio, non ci siamo affatto riconosciuti nelle accuse mosse di strumentalizzare il messale di san Giovanni XXIII per opporci al Concilio Vaticano II e al magistero successivo, o di crederci la “vera Chiesa”. Tutt’altro. Diversi vescovi si sono chiesti di chi stesse parlando il Papa, perché gli unici che corrispondono a queste rimostranze sono dei chierici o delle comunità che non hanno riconoscimento canonico nella Chiesa. Anche la partecipazione attiva del popolo santo e fedele di Dio non è in discussione. Non ho mai visto una participatio actuosa così intensa come nella prima Messa di Dom Marc: una sacra liturgia di un intero popolo, sacerdoti, monaci, fedeli e angeli discesi dal cielo. E senza alcun merito da parte nostra, quanti fedeli ci testimoniano la loro gratitudine per la bellezza della nostra liturgia.
Finalmente, mi sembra che la questione risieda in due ermeneutiche della riforma della Chiesa. Quella propugnata dal Papa emerito Benedetto XVI, ovvero l’ermeneutica della riforma nella continuità, e quella di Papa Francesco, che è l’ermeneutica della novità. Due parole del Signore le riassumono bene.
“Nova et vetera” per la prima e “vino nuovo in otri nuovi” per la seconda. La Chiesa deve sia mantenere la sua identità di popolo eletto con la sua fede, la sua morale, la sua speranza soprannaturale, sia andare avanti adattandosi il più possibile a ogni situazione. È una vera sfida per coloro che hanno ricevuto il sacro ministero, “l’arte delle arti”, come diceva san Gregorio Magno. Perché il pastore deve al contempo custodire fedelmente i princìpi del Signore e i suoi sviluppi, e adattarsi a ciascun caso. Su questi due grandi impegni – che non sono che uno solo – si presentano due grandi tentazioni: quella del custode del museo e quella del rivoluzionario. Gustave Thibon ha sintetizzato queste due insidie come “il caravanserraglio progressista dove tutto si fonde e l’urna integrista dove tutto si separa”. Benedetto XVI, che è il Papa dell’alleanza, aveva trovato una soluzione molto innovativa per resistere a questa confusione, che altro non è se non un’apostasia silenziosa. Ecco perché, su incitamento della Madre Abbadessa Placide, abbiamo lanciato una novena dal 14 al 22 agosto, festa del Cuore Immacolato di Maria, radicandoci nell’atto di consacrazione composto da Dom Gérard:
“Facciamo nostro per sempre il desiderio dei nostri fondatori di considerare come nostro modello il vostro Cuore Immacolato, ‘perché è il tipo compiuto dei due caratteri dell’Opera: la vita interiore e l’immolazione’.
“Vi supplichiamo perciò di allontanare da noi il male dell’orgoglio, la sete di potere, l’attrazione delle grandezze di questo mondo.
“Il diavolo non semini mai fra noi la zizzania della discordia o della gelosia, ma che regnino incessantemente nelle fila della nostra famiglia monastica la pace soprannaturale, lo spirito di sacrificio, l’umiltà del cuore e il perdono delle offese.
“O dolce Vergine Maria, fate che i poveri siano sempre accolti nei nostri monasteri con tenerezza come inviati di Dio, e che lo spirito del secolo, gli assalti dello scisma e dell’eresia si sbriciolino contro le nostre mura, senza mai penetrare fino a noi”.
[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, editoriale di Les amis du monastère, n. 179, 3 settembre 2021, pp. 1-2, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]