[Domani, sabato 26 ottobre 2013, alle ore
16:30, presso la chiesa del Monastero San Benedetto di Bergamo - di cui ci siamo già occupati in altre occasioni (cfr. per esempio qui) -, sarà presentato
il volume Architettura e Arte
(Edizioni del Soncino, 2013, 436 pp.), volto a presentare il ricco tesoro artistico del
monastero. Siamo lieti di offrire ai lettori in anteprima la pregevole Presentazione al volume del Vescovo di
Bergamo, S.E. Mons. Francesco Beschi. Si tratta di un’opera meritoria che
costituisce un contributo culturale di primissimo piano, di cui caldeggiamo l’attenta
lettura e una capillare diffusione. Chi ne fosse interessato si potrà rivolgere
al seguente indirizzo: Monastero San Benedetto, Via Sant’Alessandro 51, 24122
Bergamo (e-mail: monsanben.bg@tiscali.it)]
Lo confesso: lo sguardo che ho potuto dare al bel
volume Architettura e Arte presentatomi in bozza, mi ha riempito di
nostalgia verso la bellezza e di ammirazione per “questa” bellezza. Si vorrebbe
avere più tempo per la bellezza, e sfogliare con calma maggiore, quasi a tempo
pieno “questa bellezza”, raccolta con cura amorevole dalle monache di San
Benedetto, custodi non di un edificio, ma di una casa che vive da secoli, la
loro casa, la casa delle loro sorelle che da più di cinquecento anni, di
generazione in generazione, qui hanno dimorato.
E
ci si vorrebbe fermare con tutta la cura possibile sulle descrizioni dei
diversi studiosi che hanno steso i contributi con la competenza profonda e propria
di ciascuno. Anche una rapida scorsa del “farsi” man mano delle costruzioni,
regala al lettore gli elementi fondamentali della vita monastica: anzitutto la
“chiesa in quadratura”, che dal secolo XVI al XVIII obbedisce prima al cammino
liturgico dettato dalla riforma di Trento e poi al gusto estetico che muta, per
essere il luogo fondamentale dell’opus
divinum, cioè la preghiera, fulcro
costitutivo della vita monastica. E poi il chiostro. L’eleganza del chiostro isabelliano
nel monastero di S. Benedetto è di una bellezza limpida, essenziale, purissima.
Il chiostro è spazio architettonico che caratterizza ogni monastero ed ha una
ragione funzionale, raccordando i diversi momenti della vita monastica
quotidiana. L’accurato racconto delle fasi di progettazione e di costruzione
del chiostro del monastero di San Benedetto e le belle immagini che ne
presentano il risultato a chi non potrà mai ammirarlo de visu,
offrono allo spirito il grande significato simbolico del chiostro stesso, che
lo fa assurgere a emblema della vita monastica: camminare sulla terra nella
consapevolezza che la nostra esistenza è spalancata sul cielo, che il Cielo
stesso anzi si affaccia alla nostra vita; lavorare, pregare, vivere
fraternamente, vivere nella solitudine della cella sotto lo sguardo del Signore,
così ben simboleggiato dal cielo azzurro che tutto con delicatezza sovrasta,
avvolge, accarezza.E accanto alla chiesa e al chiostro sembra di veder crescere
piano piano l’insieme degli altri edifici necessari alla vita monastica,
attraverso la minuziosa descrizione delle diverse fasi dei lavori. Colpiscono in
particolare le celle monastiche cinquecentesche, sobrie ed eleganti: fatte per
il riposo notturno e per la preghiera personale, per il necessario
raccoglimento e per il silenzio riempito del desiderio del Signore, esse sono
davvero quella “anticamera del Paradiso” che prepara qui sulla terra la visione
del Signore e Maestro Gesù, che sarà concessa in Cielo.
Il
refettorio, le scale, i corridoi, i disimpegni, le cantine, i diversi luoghi
necessari alla vita comunitaria e quotidiana delle monache vengono narrati nel
loro costituirsi, non come parti di un monumento, ma come possibilità concreta
per una vita dedicata al Signore, impegnata nella ricerca di una perfezione non
fine a se stessa, non compiaciuta nella contemplazione di sé, ma purificata
dall’Amore, resa autentica dal soffio dello Spirito. Mi accorgo di sprecare
forse, ripetendoli, i vocaboli: “sobrietà” e “bellezza”: ma la sintesi della
vicenda costruttiva del monastero di S. Benedetto sta proprio nel coniugarsi continuo,
nel momento della edificazione della parte più cospicua e costitutiva di esso,
ed anche negli elementi aggiuntisi nel tempo, di questi due elementi. Una
dimora di bellezza e di sobrietà: questo è il monastero di S. Benedetto.
“Architettura ed Arte” si sono plasmati e tradotti in un edificio affascinante
per la sua sobria bellezza. L’arredo liturgico e pittorico, la suppellettile di
mobili e di sculture di cui è dotato il monastero, analizzati con l’accuratezza
che è oggi tanto preziosa perché supportata da ricerche d’archivio e da
comparazioni opportune, sono presentati in modo da offrirci veramente l’idea che
nulla sia stato trascurato, nulla sia stato lasciato al caso, e
contemporaneamente nulla sia stato posto in dovizioso e ridondante eccesso o in
vuoto affastellarsi di vistose quanto inutili decorazioni: tutto è nella misura
giusta perché la vita monastica giunga al buon fine di dar gloria al Signore
attraverso la vita di donne consacrate proprio per questo servizio in ogni
gesto di preghiera e di lavoro a Lui.
Ho
chiuso la bozza del volume che mi aveva comunicato contemporaneamente nostalgia
e ammirazione per la bellezza, proponendomi di sfogliarlo con accuratezza al
momento della sua imminente pubblicazione. Quali altri pensieri si affacciavano
al mio spirito? Ho sentito la profonda gioia di sapere che quell’edificio fatto
di bellezza e di sobrietà è ancora vivo: non è un museo, una dimora storica, un
luogo da visitare per una ricerca culturale, per un compiacimento meramente
estetizzante. Ho gustato la gioia del pastore che sa di avere nella sua diocesi
una comunità monastica vivente, che abita uno spazio reso prezioso
dall’intelligenza degli uomini che seppero costruire con ardimento e grazia; uno
spazio prezioso perché “scuola del Vangelo”. Non ho potuto trattenermi
dall’impiegare ancora un po’ di tempo a scorrere le poche, densissime pagine
della Regola di san Benedetto. Sapevo bene che nella Regola Benedetto
non si sofferma per nulla sul monastero come edificio, ma desideravo trovare
qualche accenno a quell’“edificio spirituale” che è il vero monastero, fatto di
persone, di anime, di cuori raccolti dal desiderio della sequela al Signore
Gesù. M’è sembrato d’averlo incontrato in alcune espressioni del Prologo, che
mi piace condividere con voi: interroghiamo
il Signore, dicendogli con le parole del profeta: “Signore, chi abiterà nella
tua tenda e chi dimorerà sul tuo monte santo?”. E dopo questa domanda,
fratelli, ascoltiamo la risposta con cui il Signore ci indica la via che porta
a quella tenda: “Chi cammina senza macchia e opera la giustizia; chi pronuncia
la verità in cuor suo e non ha tramato inganni con la sua lingua; chi non ha
recato danni al prossimo, né ha accolto l’ingiuria lanciata contro di lui”; chi
ha sgominato il diavolo, che malignamente cercava di sedurlo con le sue
suggestioni, respingendolo dall’intimo del proprio cuore e ha impugnato coraggiosamente
le sue insinuazioni per spezzarle su Cristo al loro primo sorgere; gli uomini timorati
di Dio, che non si insuperbiscono per la propria buona condotta e, pensando
invece che quanto di bene c’è in essi non è opera loro, ma di Dio, lo esaltano
proclamando col profeta: “Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà
gloria!”. Come fece l’apostolo Paolo, che non si attribuì alcun merito della
sua predicazione, ma disse: “Per grazia di Dio sono quel che sono” e ancora:
“chi vuole gloriarsi, si glori nel Signore”. Perciò il Signore stesso dichiara
nel Vangelo: “Chi ascolta da me queste parole e le mette in pratica, sarà
simile a un uomo saggio il quale edificò la sua casa sulla roccia. E vennero le
inondazioni e soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non
cadde, perché era fondata sulla roccia”. Dunque, fratelli miei, avendo chiesto
al Signore a chi toccherà la grazia di dimorare nella sua tenda, abbiamo
appreso quali sono le condizioni per rimanervi, purché sappiamo comportarci nel
modo dovuto. Bisogna dunque istituire una scuola del servizio del Signore nella
quale ci auguriamo di non prescrivere nulla di duro o di gravoso (nella
certezza che) ... man mano si avanza nella vita monastica e nella fede, si
corre per la via dei precetti divini col cuore dilatato dall’indicibile soavità
dell’amore.
A
chiunque sfoglierà le pagine di questo volume cariche di bellezza auguro quanto
è capitato a me: possa essere rimandato al desiderio di ciò che quella bellezza
racchiude e significa. Possa passare al desiderio di abitare nella tenda che il
Signore prepara per chi lo cerca con purezza di cuore; possa abitare nella casa
solida costruita sulla roccia della sua Parola; possa cercare di vivere nella
Scuola del Vangelo. Il Monastero è questo anzitutto e soprattutto. Architettura ed Arte sono un segno e uno spiraglio attraverso i quali
gustare qualcosa dell’essere figli amati dal Padre in Gesù, invitati ad abitare
già da adesso e per sempre nella casa che è Lui. Le monache ce lo insegnano con
la loro testimonianza quotidiana. Anch’io, come tutti coloro che visitano la
chiesa del Monastero di S. Benedetto, sono stato colpito dal bastone dipinto da
Giuseppe Porri accanto all’acquasantiera, nel lussureggiante parato di affresco
che contorna la porta prospiciente la via S. Alessandro. L’ho sentito come un
invito ad appoggiare di tanto in tanto il mio bastone di pastore e di
pellegrino, per sostare un poco a condividere con le monache la bellezza e la
fatica della lode divina, della vita fraterna e laboriosa: nella “scuola del
servizio del Signore” e “sotto la sua tenda” c’è posto per quanti, affascinati dalla
bellezza dell’Arte e dell’Architettura, sentono la nostalgia della Bellezza
unica ed autentica, il Signore Gesù.