[L’11 settembre 2018, a Roma, presso Palazzo Montecitorio,
si è svolta una presentazione del volume di Rod Dreher, L’opzione Benedetto. Una
strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano (trad. it.,
Edizioni San Paolo, Milano 2018). Nel corso della conferenza, S.E. Mons. Georg
Gänswein, Prefetto della Casa Pontificia, ha svolto una relazione, il cui testo
in lingua italiana riproduciamo qui integralmente.]
Ringrazio
cordialmente per l’invito alla Camera, che ho accettato volentieri, a
presentare il volume di Rod Dreher che viene dall’America e del quale avevo già
sentito molto parlare. Benedetto da Norcia, il padre del monachesimo al quale
il libro deve il suo titolo programmatico, mi ha molto stimolato a venire qui
oggi. Ma mi ha anche molto toccato e commosso la data in cui ci incontriamo con
il valoroso autore qui a Roma.
Perché
oggi è l’11 settembre che in America, dall’autunno del 2001 in poi, viene
chiamato solo e semplicemente “Nine/Eleven”, per ricordare quella
sciagura apocalittica nella quale allora membri dell’organizzazione
terroristica Al Qaida, attaccarono gli Stati Uniti d’America a New York e a Washington
di fronte agli occhi del mondo intero, utilizzando come granate degli aerei di
linea dirottati in volo pieni di passeggeri.
Quanto
più, nel turbine di notizie delle ultime settimane, mi curvavo sul libro di Rod
Dreher, tanto più – a seguito della pubblicazione del rapporto del Grand Jury della Pennsylvania – in
questo nostro incontro non potevo non scorgere un vero e proprio atto della
Divina Provvidenza: oggi, infatti, anche la Chiesa cattolica guarda piena di
sconcerto al proprio “Nine/Eleven”, al proprio 11 settembre, anche se questa catastrofe non è purtroppo associata a
un’unica data, quanto a tanti giorni e anni, e a innumerevoli vittime.
Vi
prego di non fraintendermi: non intendo confrontare né le vittime né i numeri
degli abusi nell’ambito della Chiesa cattolica con le complessive 2.996 persone
innocenti che l’11 settembre persero la vita a seguito degli attentati
terroristici al World Trade Center e
al Pentagono.
Nessuno
(fino ad ora) ha attaccato la Chiesa di Cristo con aerei di linea pieni di passeggeri.
La Basilica di San Pietro è in piedi e così anche le cattedrali in Francia, in Germania
o in Italia che continuano a rappresentare l’emblema di molte città del mondo
occidentale, da Firenze a Chartres, passando per Colonia e Monaco di Baviera.
E
tuttavia, le notizie provenienti dall’America che ultimamente ci hanno
informato di quante anime sono state ferite irrimediabilmente e mortalmente da
sacerdoti della Chiesa cattolica, ci trasmettono un messaggio ancor più
terribile di quanto avrebbe potuto essere la notizia dell’improvviso crollo di
tutte le chiese della Pennsylvania, insieme alla
“Basilica del Santuario
Nazionale dell'Immacolata Concezione” a Washington.
Dicendo
questo, ricordo come se fosse ieri quando il 16 aprile 2008, accompagnando Papa
Benedetto XVI proprio in quel Santuario Nazionale della Chiesa cattolica negli
Stati Uniti d’America, egli in modo toccante cercò di scuotere i vescovi convenuti
da tutti gli Stati Uniti: parlava chino per la “profonda vergogna” causata “dall’abuso
sessuale dei minori da parte di sacerdoti” e “dell’enorme
dolore che le vostre comunità hanno sofferto quando uomini di Chiesa hanno
tradito i loro obblighi e compiti sacerdotali con un simile comportamento
gravemente immorale”.
Ma
evidentemente invano, come vediamo oggi. Il lamento del Santo Padre non riuscì
a contenere il male, e nemmeno le assicurazioni formali e gli impegni a parole
di una grande parte della gerarchia.
E
ora Rod Dreher è qui fra noi e inizia il suo libro con queste parole: “Nessun
vide arrivare l’alluvione, un autentico diluvio universale”. Nei suoi
ringraziamenti, egli esprime particolare gratitudine a Benedetto XVI. E a me
sembra che abbia scritto ampie parti del libro quasi in un dialogo silenzioso
con il Papa emerito che tace, rifacendosi alla sua forza profetico-analitica, come
ad esempio quando scrive:
“Nel 2012 l’allora Pontefice
disse che la crisi spirituale che sta colpendo l’Occidente è la più grave dalla
caduta dell’Impero Romano, occorsa verso la fine del V secolo. La luce del
cristianesimo sta spegnendosi in tutto l’Occidente.”
Perciò
vi prego di permettere di seguito anche a me di accompagnare la presentazione
dell’“Opzione Benedetto” di Rod
Dreher con parole prese dalla bocca di Papa Benedetto XVI, pronunciate durante
il suo ministero, che per me sono rimaste indimenticabili e che nel corso della
lettura del libro mi sono via via ritornate in mente: ad esempio quelle dell’11
maggio 2010, quando durante il volo papale verso Fatima egli confidò ai
giornalisti:
“Il Signore
ci ha detto che la Chiesa sarebbe stata sempre sofferente, in modi diversi,
fino alla fine del mondo. [...] Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire
(in questo terzo segreto del messaggio di Fatima), vi è anche il fatto che non
solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della
Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella
Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente
terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici
fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa.”
In
quel momento egli era Papa già da cinque anni. E più di cinque anni prima – il
25 marzo 2005 – nel corso della Via
Crucis al Colosseo, di fronte a Giovanni Paolo II morente, nella
meditazione della nona stazione, il Cardinale Ratzinger aveva già trovato le
seguenti parole:
“Che cosa può dirci la terza
caduta di Gesù sotto il peso della croce? Forse ci fa pensare alla caduta
dell’uomo in generale, all’allontanamento di molti da Cristo, alla deriva verso
un secolarismo senza Dio. Ma non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba
soffrire nella sua stessa Chiesa? Quante volte si abusa del santo sacramento della
sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante
volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui!
Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in
tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio
anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a
lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Tutto ciò è presente nella sua
passione. Il tradimento dei discepoli, la ricezione indegna del suo Corpo e del
suo Sangue è certamente il più grande dolore del Redentore, quello che gli
trafigge il cuore. Non ci rimane altro che rivolgergli, dal più profondo
dell’animo, il grido: Kyrie,
eleison – Signore, salvaci!”
In
precedenza, Giovanni Paolo II ci aveva insegnato che il vero e compiuto
ecumenismo è l’ecumenismo dei martiri, per il quale nelle nostre angustie possiamo
invocare santa Edith Stein, accanto a Dietrich Bonhoeffer, quali nostri
intercessori in Cielo. Ma, come nel frattempo sappiamo, esiste anche un
ecumenismo delle difficoltà e della mondanizzazione, e un ecumenismo
dell’incredulità e della comune fuga da Dio e dalla Chiesa che attraversa tutte
le confessioni. E un ecumenismo del generale oscuramento di Dio. Per questo quello
che oggi viviamo è solo il crinale di un cambiamento d’epoca che Dreher
profeticamente già un anno fa aveva presentato in America. Aveva visto arrivare
la grande alluvione!
E
tuttavia egli è anche fermo sul fatto che eclissi di Dio non significa affatto
che Dio non c’è più, ma che molti non riconoscono più Dio perché di fronte al
Signore si sono frapposte delle ombre che lo oscurano. Oggi sono le ombre dei
peccati, dei misfatti e dei delitti dall’interno della Chiesa a oscurare a
molti la vista della sua luminosa presenza.
Quella
Chiesa popolare nel cui seno ancora noi stessi nascemmo e che così come si ebbe
in Europa non ci fu in America, nell’avanzare di questo processo di oscuramento
è morta da tempo. Il tono vi sembra eccessivamente drammatico?
Drammatici
sono i numeri relativi alle uscite dalla Chiesa. Ma ancor più drammatico è un
altro dato ancora: secondo gli ultimi rilevamenti, dei cattolici in Germania che
ancora non sono usciti dalla Chiesa, solo il 9,8% la domenica si incontra nelle
rispettive Case di Dio per la comune celebrazione della santissima Eucaristia.
Ancora
una volta questo mi riporta alla mente le parole di Benedetto XVI pronunciate
durante il primo Viaggio dopo la sua elezione. Era il 29 maggio 2005 quando, sulle
rive del mar Adriatico, rivolgendosi a un pubblico prevalentemente di giovani
venuti ad ascoltarlo, ricordò che la domenica, quale “Pasqua settimanale”, è “espressione
dell’identità della comunità cristiana e centro della sua vita e della sua
missione”. Il tema scelto dal Congresso eucaristico (“Senza la domenica non possiamo
vivere”) lo riportava però indietro, disse il Papa, all’anno 304, quando l’imperatore Diocleziano proibì ai cristiani,
sotto pena di morte, di possedere le Scritture, di riunirsi la domenica per
celebrare l’Eucaristia e di costruire luoghi per le loro assemblee. E proseguì:
“Ad Abitene, una piccola località nell’attuale Tunisia, 49 cristiani
furono sorpresi una domenica mentre, riuniti in casa di Ottavio Felice,
celebravano l’Eucaristia sfidando così i divieti imperiali. Arrestati, vennero
condotti a Cartagine per essere interrogati dal Proconsole Anulino.
Significativa, tra le altre, la risposta che un certo Emerito diede al
Proconsole che gli chiedeva perché mai avessero trasgredito l’ordine severo
dell'imperatore. Egli rispose: "Sine dominico non
possumus": cioè senza riunirci in assemblea la domenica per
celebrare l’Eucaristia non possiamo vivere. Ci mancherebbero le forze per
affrontare le difficoltà quotidiane e non soccombere. Dopo atroci torture,
questi 49 martiri di Abitene furono uccisi. Confermarono così, con l’effusione
del sangue, la loro fede. Morirono, ma vinsero: noi ora li ricordiamo nella
gloria del Cristo risorto”.
Che significa?
Significa che quello che noi ancora da bambini, nelle così
dette Chiese popolari, avevamo conosciuto come il così detto “obbligo
domenicale”, in realtà è il più prezioso segno distintivo dei cristiani. E che
è più antico di tutte le Chiese popolari. È dunque veramente una vera crisi
degli ultimi tempi quella nella quale la Chiesa cattolica si trova immersa ormai
da tempo; una crisi, però, che credettero di percepire nei loro giorni anche
mia madre e mio padre – “vedere l’abominio della desolazione stare nel luogo santo” – e che d’altronde forse ogni generazione
nella Storia della Chiesa ha scorto al proprio orizzonte.
Ultimamente, però, ci sono stati giorni in cui mi sono sentito
come riportato indietro ai giorni della mia fanciullezza – nella fucina di mio
padre nella Foresta nera, al suono dei colpi di martello sull’incudine che
sembravano non finire mai, e tuttavia questa volta senza mio padre, delle cui
mani sicure mi fidavo come di quelle di Dio.
In questa sensazione evidentemente non sono solo. In maggio,
infatti, anche Willem Jacobus Eijk, cardinale arcivescovo di Utrecht, ha
ammesso che, guardando all’attuale crisi, pensa alla “prova finale che dovrà
attraversare la Chiesa” prima
della venuta di Cristo – descritta dal paragrafo 675 del Catechismo
della Chiesa cattolica – e che
“scuoterà la fede di molti
credenti”. “La persecuzione –
continua il Catechismo – che accompagna il pellegrinaggio della Chiesa sulla
terra svelerà il ‘mistero di iniquità’.”
Con
questo “mysterium iniquitatis” Rod Dreher ha la familiarità di un’esorcista,
come ha dimostrato con le sue ricostruzioni degli ultimi mesi, con le quali
anch’egli ha favorito – forse come nessun altro giornalista più di lui – la
rivelazione dello scandalo dell’ex arcivescovo di Newark e Washington. E
tuttavia Dreher non è un giornalista investigativo. E nemmeno un visionario, ma
un sobrio analista che da tempo segue in modo vigile e critico la condizione
della Chiesa e del mondo, ma nonostante questo mantenendo comunque sul mondo lo
sguardo amorevole di un bambino.
Per
questo Dreher non presenta un romanzo apocalittico come il famoso “Signore del
mondo” con il quale nel 1906 il presbitero inglese Robert Hugh Benson scosse il
mondo anglosassone. Il libro di Dreher, invece, assomiglia più a delle
istruzioni pratiche e praticabili per la costruzione di un’arca: perché egli sa
che non c’è alcuna diga con la quale si possa ancora arginare la grande
alluvione; un’alluvione che non solo da ieri è in procinto di inondare l’antico
Occidente cristiano al quale per lui è ovvio che appartiene anche l’America.
Da
qui emerge subito con chiarezza una triplice differenza fra Dreher e Benson: in
primo luogo, da americano autentico qual è, Dreher è più pratico dell’alquanto
bizzarro britannico di Cambridge nell’epoca precedente alla Prima guerra
mondiale. Inoltre, da cittadino della Louisiana, Dreher è per così dire a prova
di uragano. E infine egli non è affatto un religioso, ma un laico che cerca di
conquistare anime al Regno di Dio che Gesù Cristo ha annunciato per noi non
sulla base di un incarico ingiuntogli da altri, quanto sulle ali di un entusiasmo
e di una volontà assolutamente personali. In questo senso è un uomo che
corrisponde completamente al desiderio e al gusto di Papa Francesco, perché
nessun altro a Roma quanto lui sa che la crisi della Chiesa, nel suo nocciolo,
è una crisi del clero.
E
che dunque è scoccata l’ora dei laici forti e decisi, soprattutto nei nuovi
mezzi di comunicazione cattolici indipendenti, esattamente come incarnati da Rod
Dreher.
La
leggerezza del suo stile narrativo va evidentemente ricondotta all’universo
della più nobile tradizione degli Stati Uniti dell’America meridionale ai quali Mark Twain ha conferito un rango
universale. Prima ho detto che ultimamente mi sono sentito più volte rivisto
nella fucina di mio padre, al suono dei suoi colpi di martello sull’incudine: e
devo ammettere a riguardo che la lettura semplice e scorrevole di questo libro
importante e significativo mi ha di continuo riportato al mondo avventuroso
della mia fanciullezza, quando bambino sognante correvo dietro a Tom Sawyer e
al suo amico Huck’ Finn.
In
Rod Dreher, al contrario, non si tratta di sogni, ma di fatti e analisi che
egli condensa in una frase come questa: “L’Uomo
psicologico… ora è padrone della cultura – come senza dubbio gli Ostrogoti, i
Visigoti, i Vandali e altri popoli conquistatori si impadronirono di ciò che
restava dell’Impero Romano.”
Oppure
in quest’altra: “I nostri scienziati, i
nostri giudici, i nostri principi e i nostri scribi – sono tutti quanti
all’opera per demolire la fede, la famiglia, il genere, persino quel che
significa essere umani. I nostri barbari hanno barattato le pelli animali e le
lance del passato in cambio di vestiti firmati e telefoni cellulari.”
Il
terzo capitolo inizia con queste parole: “Tornare indietro nel tempo non si
può, ma tornare a Norcia sì”.
Poco
dopo prosegue così, in modo profeticamente attuale e tuttavia per nulla
malizioso: “La leggenda vuole che, in una
disputa con un cardinale, Napoleone gli avesse fatto notare che aveva il potere
di distruggere la Chiesa.
‘Maestà’, replicò il
cardinale, ‘noi, il clero, abbiamo fatto del nostro meglio per distruggere la
Chiesa negli ultimi milleottocento anni. Non ci siamo riusciti noi, e non ce la
farete nemmeno voi’”.
“Quattro anni dopo aver
cacciato i Benedettini da quella che era la loro casa da quasi un millennio,
l’impero di Napoleone era in rovina, e lui era in esilio. Oggi si può
nuovamente sentire il suono del canto gregoriano nella città natale del santo.”
In
quella stessa Norcia però si udì anche il boato profondo del grande terremoto
che nell’agosto del 2016 scosse la città e che in pochi secondi ridusse in
macerie la Basilica di san Benedetto, ad eccezione della facciata. Pressappoco
nello stesso periodo violenti nubifragi inondavano la città natale di Rod Dreher
sul corso superiore del Mississippi. Due drammatiche scene chiave che, come in
una sceneggiatura divina, stanno rispettivamente all’inizio e alla fine del suo
libro, quasi fossero illustrazioni di un’unica tesi che Dreher nel primo
capitolo formula così: “La realtà della
nostra situazione è davvero allarmante, ma non ci è concesso di vedere
istericamente tutto nero. In questa crisi è iscritta una benedizione nascosta,
se vogliamo aprire gli occhi per vederla. [...] La tempesta incombente potrebbe
essere un mezzo attraverso il quale Dio ci libera.”
Negli
ultimi giorni spesso all’interno della Chiesa si è sentito ripetere il concetto
di terremoto associandolo a quel crollo per il quale, come affermo, ora anche
la Chiesa ha sperimentato il suo “Nine/Eleven”,
il suo 11 settembre.
Rod
Dreher invece descrive la risposta dei monaci di Norcia alla catastrofe che ha
ridotto in macerie il monastero nel luogo di nascita di san Benedetto con poche
parole che sento l’obbligo di leggervi, per quanto sono significative ed
eloquenti:
“I monaci benedettini di
Norcia sono diventati un segno per il mondo in tanti modi che non prevedevo,
quando cominciai a scrivere questo libro. Nell’agosto 2016, un terremoto
devastante scosse la loro regione. Quando la scossa arrivò nel bel mezzo della
notte, i monaci erano svegli a pregare il mattutino e fuggirono dal monastero
riparando per sicurezza nella piazza aperta.
Più tardi, padre Cassiano
rifletté che il terremoto simboleggiava lo sbriciolarsi della cultura cristiana
dell’Occidente, ma che c’era un secondo simbolo di speranza quella notte: ‘Il
secondo simbolo erano le persone raccolte attorno alla statua di san Benedetto,
in piazza, per pregare’, scrisse ai sostenitori. ‘È l’unico modo di
ricostruire’”.
Dopo
questa testimonianza di padre Cassiano vorrei confidarvi che anche Benedetto XVI dal momento della sua rinuncia si
concepisce come un vecchio monaco che, dopo il 28 febbraio 2013, sente come suo
dovere dedicarsi soprattutto alla preghiera per la Madre Chiesa, per il Suo
successore Francesco e per il Ministero petrino istituito da Cristo stesso.
Perciò,
con riguardo all’opera di Dreher, quel vecchio monaco dal monastero Mater Ecclesiae dietro la Basilica di
San Pietro rimanderebbe a un discorso che l’allora Papa in carica tenne al Collège des Bernardins di Parigi il 12 settembre 2008 – cioè esattamente
domani di dieci anni fa – di fronte alla élite
intellettuale di Francia. Per queste ragioni vorrei presentarvi brevemente
questo discorso citandone alcuni passi.
Nel
grande sconvolgimento culturale prodotto dalla migrazione dei popoli e dai
nuovi ordini statali che stavano formandosi, i monasteri erano i luoghi in cui
sopravvivevano i tesori della vecchia cultura e dove, in riferimento ad essi,
veniva lentamente formata una nuova cultura, disse allora Benedetto XVI, e si
chiese: “Ma come avveniva questo? Quale
era la motivazione delle persone che in questi luoghi si riunivano? Che
intenzioni avevano? Come hanno vissuto? Innanzitutto e per prima cosa si deve
dire, con molto realismo, che non era loro intenzione creare una cultura e
nemmeno conservare una cultura del passato. La loro motivazione era molto più
elementare. Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava
resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò
che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio.
Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è
veramente importante e affidabile. Si dice che erano orientati in modo
‘escatologico’. Ma ciò non è da intendere in senso cronologico, come se
guardassero verso la fine del mondo o verso la propria morte, ma in un senso
esistenziale: dietro le cose provvisorie cercavano il definitivo. […] Quaerere Deum, cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno
necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che
rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda su Dio, sarebbe
la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e
quindi un tracollo dell'umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che
gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell'Europa, la ricerca di Dio e la
disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera
cultura.”
Sin
qui Benedetto XVI, il 12 settembre 2008, sulla vera “Opzione” di san Benedetto
da Norcia. Così che, sul libro di Dreher, non mi resta che da dire questo: non
contiene una risposta pronta. In esso non troverete una ricetta infallibile o
un passepartout per riaprire tutte
quelle porte che finora ci erano accessibili ma che adesso sbattendo si sono di
nuovo chiuse. Fra la prima e l’ultima di copertina troverete però un esempio
autentico di quello che Papa Benedetto dieci anni fa disse sullo spirito
benedettino degli inizi. È un vero “Quaerere Deum”. È quella ricerca
del vero Dio di Isacco e di Giacobbe che, in Gesù Cristo, ha mostrato il suo
volto umano.
Per
questo qui mi viene in mente un’altra frase ancora del capitolo 4,21 della
Regola di San Benedetto che in egual modo e tacitamente attraversa e anima
l’intero libro di Dreher, come fosse il suo cantus
firmus. Sono le leggendarie parole “Nihil amori Christi praeponere” che,
tradotte, significano: Nulla si anteponga
all’amore per Cristo. È la chiave alla quale si deve l’intera meraviglia del
monachesimo occidentale.
Benedetto
da Norcia è stato un faro durante la migrazione dei popoli, quando nei
rivolgimenti del tempo salvò la Chiesa e rifondando con ciò in certo senso la
civiltà europea.
Ora
però viviamo nuovamente da decenni – e non solo in Europa, ma su tutta la terra
– una migrazione dei popoli che mai più giungerà a una fine, come ha
chiaramente riconosciuto Papa Francesco appellandosi con insistenza alla nostra
coscienza. Anche questa volta dunque non tutto è diverso rispetto ad allora.
Così,
se questa volta la Chiesa con l’aiuto di Dio non saprà ancora rinnovarsi, ne
andrà di nuovo dell’intero progetto della nostra civiltà. Per molti, tutto
porta a credere già oggi che la Chiesa di Gesù Cristo non potrà più riprendersi
dalla catastrofe dei suoi peccati che rischia quasi di inghiottirla.
E
proprio questa è l’ora in cui Rod Dreher da Baton-Rouge in Louisiana presenta
il suo libro nei pressi delle tombe degli Apostoli; e, nel mezzo dell’eclissi
di Dio che atterrisce in tutto il mondo, viene in mezzo a noi e dice: “La
Chiesa non è morta, ma solamente dorme e riposa”.
E
non soltanto questo: la Chiesa “è giovane” sembra anche dirci, e con quella
gioia e quella libertà con le quali lo disse Benedetto XVI nella Messa per l’inizio
del ministero petrino il 24 aprile 2005. Ricordando ancora una volta la
sofferenza e la morte di san Giovanni Paolo II del quale era stato collaboratore
per così tanti anni, rivolgendosi a ognuno di noi in Piazza San Pietro disse:
“Proprio nei
tristi giorni della malattia e della morte del Papa questo si è manifestato in
modo meraviglioso ai nostri occhi: che la Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane.
Essa porta in sé il futuro del mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la
via verso il futuro. La Chiesa è viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la
gioia che il Risorto ha promesso ai suoi. La Chiesa è viva - essa è viva,
perché Cristo è vivo, perché egli è veramente risorto. Nel dolore, presente sul
volto del Santo Padre nei giorni di Pasqua, abbiamo contemplato il mistero
della passione di Cristo ed insieme toccato le sue ferite. Ma in tutti questi
giorni abbiamo anche potuto, in un senso profondo, toccare il Risorto. Ci è
stato dato di sperimentare la gioia che egli ha promesso, dopo un breve tempo
di oscurità, come frutto della sua resurrezione”.
Non potrà indebolire o distruggere questa verità sull’origine
della fondazione della Chiesa universale cattolica per mezzo del Signore
risorto e vincitore nemmeno il satanico 11 settembre di essa.
Per questo devo ammettere con sincerità che percepisco questo
tempo di grande crisi, oggi evidente a tutti, soprattutto come un tempo di
grazia; perché alla fine a “farci liberi” non sarà un particolare sforzo qualsiasi,
ma la “verità”, come il Signore ci ha assicurato. In questa speranza guardo alle
recenti ricostruzioni di Rod Dreher per la “purificazione della memoria” richiestaci
da Giovanni Paolo II; e così, grato, ho letto la sua “Opzione Benedetto” come
una, per molti versi, fonte di ispirazione meravigliosa. Nelle ultime settimane
quasi nient’altro mi ha dato così tanta consolazione.
Vi ringrazio per la vostra attenzione.