Non cercate nella Regola l’espressione “i
diritti dell’uomo”; non la troverete. Dunque i monaci non hanno alcun diritto? Così
formulata, nessuno. Se non, forse, che nel capitolo sulle obbedienze impossibili,
è detto che il monaco ha il diritto di segnalare al superiore che l’ordine dato
è superiore alle sue forze.
Ma per comprendere il
pensiero di san Benedetto, la bella armonia che egli vuole fare regnare nel
chiostro, facciamo qualche esempio. Il monaco ha diritto di possedere una
penna, della carta e tutte le altre cose indispensabili alla sua vita
contemplativa? Sembra di si, perché san Benedetto giudica questi oggetti
indispensabili, ma egli non dice esplicitamente che il monaco “ha il diritto”
di averli a suo uso; dice che l’abate “ha il dovere” di darglieli. Un altro
esempio: l’abate ha il diritto di essere obbedito dai monaci? In nessuna parte
della Regola troverete questo diritto espresso in modo così diretto. No, san
Benedetto intende semplicemente che i monaci hanno il dovere di obbedire al
loro superiore. I monaci hanno il diritto di mantenere il loro ruolo nella
comunità e di ricevere un medesimo affetto da parte dell’abate? San
Benedetto non dice così, ma che il superiore ha il dovere di non perturbare l’ordine
senza ragione e soprattutto di non fare preferenze tra le persone. San
Benedetto insiste quindi sui doveri reciproci e non sui diritti.
Tutto ciò sembra del tutto
uguale, poiché infine i monaci hanno le loro penne, il padre abate è obbedito e
l’ordine è rispettato. Ma non è affatto uguale, perché nell’una e nell’altra
formula lo spirito è del tutto diverso e finanche agli antipodi. L’una,
insistendo sui doveri, favorisce la carità; l’altra, insistendo sui diritti,
favorisce l’egoismo. Finalmente, è la differenza tra la città di Dio, in cui l’amore
per Dio e il prossimo arriva all’odio di sé, e la città del diavolo, dove l’amore
per sé arriva all’odio per Dio e il prossimo.
È questa una della ragioni
per cui san Benedetto vieta ogni mormorazione in comunità. In effetti, le
mormorazioni sono spesso dovute alla rivendicazione dei diritti. Già all’inizio
della Regola, san Benedetto prende in giro quei sedicenti monaci che chiamano
santo tutto quello che torna loro comodo. Il monaco non deve mai reclamare nulla
per sé, ciò che esprime bene che l’anima del monaco si eleva a Dio pensando non
ai propri diritti, bensì ai propri doveri. Lo stesso vale per le famiglie. San
Paolo non richiama i mutui diritti degli sposi, ma i loro doveri, e
specialmente quelli del marito, che si deve sacrificare per la moglie. Così è per
le relazioni tra genitori e figli.
Ciò vale inoltre per le aziende.
Nei colloqui di lavoro si presentano dei giovani candidati che portano sottobraccio
un dossier contenente i loro innumerevoli diritti: la riduzione del tempo di
lavoro, le ferie e altri grandi valori repubblicani. E se gli imprenditori non
pensano che ai loro profitti, come meravigliarsi del circolo vizioso che porta
ai conflitti?
Possiamo applicare il
medesimo ragionamento alla stampa. Se la regola suprema è il “diritto di sapere”,
come stupirsi di tante mancanze verso il dovere della carità e il rispetto dell’onore
di ciascuno? Il peggio è che, da quando la legge consente l’aborto – ormai diventato
un diritto fondamentale della donna –, lo spirito della società è passato dai
diritti del bambino – che infine sono i doveri dei genitori – a un diritto al
bambino. È diabolico.
Ma noi abbiamo l’esempio e la grazia di Gesù Cristo, il quale non ha reclamato il diritto di essere trattato come uguale a Dio, ma ha compiuto il suo dovere fino alla fine. Imitiamolo.
Ma noi abbiamo l’esempio e la grazia di Gesù Cristo, il quale non ha reclamato il diritto di essere trattato come uguale a Dio, ma ha compiuto il suo dovere fino alla fine. Imitiamolo.
[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, editoriale di Les amis du monastère, n. 163, 22 settembre 2017, pp. 1-2]