In un libro salutato dal New York Times
come “il saggio più importante e più discusso del decennio” – L’Opzione
Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano (trad.
it. San Paolo, Cinisello Balsamo [Milano] 2018) –, il giornalista Rod Dreher si
è posto una domanda diventata cruciale: come essere cristiani in un mondo che
non lo è più? Dreher propone in risposta una “Opzione Benedetto”, come gli ha
suggerito un ritiro effettuato al monastero di Norcia. “L’esempio benedettino –
egli scrive – è certamente un segno di speranza, ma è anche una messa in
guardia: quale che sia la nostra storia personale, ci è impossibile di vivere
pienamente nella fede, se Dio non è che una parte della nostra esistenza,
separata dal resto. Occorre scegliere ciò che si mette al centro: se Cristo o
il sé e i propri idoli. […] L’‘Opzione Benedetto’ non consiste nel fuggire dal
mondo reale, ma a guardare questo mondo in verità” e a “vivere in esso per
trasformarlo come ci trasforma lo Spirito Santo […], ispirandosi alle virtù
contenute nella Regola di san Benedetto”.
Tale “Opzione Benedetto”, di una vita ispirata alle
virtù della Regola, è quella che hanno fatto una moltitudine di sacerdoti e
laici, desiderosi di nutrirsi dello spirito della Regola di san Benedetto,
unendosi spiritualmente a una comunità benedettina tramite il legame
dell’oblatura. Il canonico Georges-Abel Simon (1884-1958) ha avuto l’eccellente
idea di comporre un commento alla Regola di san Benedetto rivolto a questi
oblati. Egli stesso oblato dell’abbazia di Saint-Wandrille, il canonico Simon
era un sacerdote erudito, riconosciuto per la sua competenza in storia
ecclesiastica e in liturgia. Il suo libro, scritto verso il 1930 e frutto di un
lungo lavoro, ha già conosciuto quattro edizioni: nel 1931, 1935, 1947 e 1982.
Conserva oggi tutto il suo valore. Non è proprio dei classici di non
invecchiare?
La Regola di san Benedetto, sempre attuale, ne è
essa stessa una dimostrazione. Il mondo nel quale san Benedetto è nato verso il
480 somigliava peraltro un poco al nostro: turbato, diviso, in preda
all’incertezza. Molti cercavano un senso ai vari drammi che scaturivano
dall’inondazione delle invasioni barbare e dalle guerre messe in atto dal
potere bizantino per impossessarsi dell’Italia. Anche la Chiesa conosceva delle
divisioni teologiche. Fu allora che apparve il santo che costruì un’arca in cui
le virtù umane e soprannaturali potevano entrare in coppia per essere conservate
nel mezzo del diluvio universale: “[…] benedetto di nome (benedictus) e
di grazia”, ci dice il suo primo biografo, Papa san Gregorio Magno. Il suo
“libro della vita e dei miracoli del Beato Padre Benedetto” ebbe un grande
irradiamento. Ma per conoscere l’anima di san Benedetto, come nota finemente
san Gregorio, nulla può sostituire lo studio della sua Regola, così mirabile
per la sua forma letteraria e il suo discernimento (discretio): “L’uomo
di Dio, oltre ai tanti miracoli che lo resero così conosciuto nel mondo,
rifulse anche per una eccezionale esposizione di dottrina. Scrisse infatti
anche una Regola per i monaci, Regola caratterizzata da una singolare
discrezione ed esposta in chiarissima forma. Veramente se qualcuno vuol
conoscere a fondo i costumi e la vita del santo, può scoprire nell’insegnamento
della Regola tutti i documenti del suo magistero, perché quest’uomo di Dio
certamente non diede nessun insegnamento, senza averlo prima realizzato lui
stesso nella sua vita” (Dialoghi II,36).
Guardandosi attorno e leggendo tutta la
letteratura monastica disponibile in Occidente, Benedetto ha scoperto vari tipi
di vita monastica, con le loro tradizioni e i propri successi (o le loro
sconfitte). Ha riunito queste diverse tendenze e ha mostrato una straordinaria
abilità nello scegliere e armonizzare i vari elementi, onde pervenire a un
capolavoro di equilibrio e di rispetto delle persone.
Tuttavia, la Regola non è solo l’opera di un
codificatore di genio. Ciò che scriveva, Benedetto l’aveva vissuto a Subiaco
come eremita e superiore, e a Montecassino come abate. La sapienza consumata
della Regola non è potuta nascere che dall’assimilazione lunga e in profondità
di una vita intera.
L’equilibrio ottenuto è perfetto. San Benedetto
assume, certo, l’ideale monastico egiziano. Il monastero è una “scuola [pratica]
del servizio del Signore”. Il discepolo impara ad amare il Signore nell’umiltà,
l’obbedienza e il silenzio, per correre sulla via dei comandamenti di Dio con
un cuore dilatato.
Ciò nonostante, san Benedetto arricchisce questa
ricca concezione verticale di una dimensione orizzontale ispirata da sant’Agostino.
Se i monaci sono i discepoli venuti in monastero per essere formati, essi sono
altresì dei fratelli che l’amore unisce, comunità amante che forma “un cuore
solo e un’anima sola”, come la comunità primitiva. Lo stesso abate deve
piuttosto cercare di farsi amare che di essere temuto. Il punto culminante di
questo ideale è il capitolo 72 sullo zelo buono che conduce a Dio e al quale i
monaci devono esercitarsi con la più ardente carità.
Un tale ideale è fatto proprio per tutti i
cristiani. Ma la Regola non è solo maestra di vita nelle sue grandi linee.
Tutti i dettagli dei diversi capitoli – anche quando si tratta dei pasti, del
lavoro o degli utensili del monastero – sono ricchi di lezioni per la vita quotidiana.
La vita spirituale non può essere sconnessa dalla vita quotidiana.
La meditazione dei vari capitoli della Regola,
sotto la guida del canonico Simon, è fonte di un grande arricchimento
spirituale e umano. Con san Benedetto, i due vanno sempre di pari passo.
[Dom Jean-Charles Nault O.S.B., Abate di Saint-Wandrille, Prefazione, in can. Georges-Abel Simon, La Règle de saint
Benoît commentée pour les oblats et les amis des monastères, 5a ed., Éditions
de Fontenelle & Éditions Sainte-Madeleine, Saint-Wandrille-Rançon & Le
Barroux 2019, pp. V-VIII, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]
Un commento alla Regola di san Benedetto per gli oblati benedettini