È sufficiente che la bellezza sfiori
appena il nostro tedio,
perché il cuore ci si laceri come seta
tra le mani della vita.
Nicolás Gómez Dávila (1913-1994)
Esce domani in libreria il libro di Stefano Chiappalone, Alle origini della bellezza, Cantagalli, Siena 2016, 104 pp., euro 8, dal quale riproduciamo qui di seguito un brano (pp. 20-22), con il cortese permesso dell’autore. Come Chiappalone ricorda nell’introduzione, si tratta di «“appunti di pellegrinaggio” [che] scaturiscono da riflessioni nate nell’ambito dell’apostolato culturale di Alleanza Cattolica, grazie alle sollecitazioni di amici, maestri e compagni di viaggio, a cominciare da Giovanni Cantoni, fondatore [...] dell’associazione. L’idea di raccoglierli in questo breve libro è invece del tutto personale ma sempre nell’intento di portare un piccolo contributo a quella grande avventura della Nuova Evangelizzazione, richiamata con crescente insistenza dagli ultimi pontefici e che, nel nostro caso, si traduce nello sforzo di edificare “una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio”, secondo una nota espressione di San Giovanni Paolo II (1978-2005)» (p. 7). Di Stefano Chiappalone, su Romualdica abbiamo pubblicato nel 2010 La bellezza della liturgia e Due passi nell’eternità, e nel 2011 Benedetto e la bellezza.
L’arte cristiana è densa
di simboli, “inventati” da Dio stesso nella creazione e nella rivelazione: il
pesce non è più solo un animale vertebrato che vive in acqua, ma diventa il
simbolo di Cristo (con allusione anche al miracolo dei pani e dei pesci): Ιχθυς
[pesce, in greco] è l’acrostico di ‘Ιησοũς Χριστός Θεoũ Υιός Σωτήρ [Gesù
Cristo Figlio di Dio Salvatore]. Il pellicano diviene simbolo di Cristo che si
sacrifica per nutrirci. Il corallo e il pettirosso rinviano alla Passione. Per
non parlare dell’Agnello, figura centrale nel Libro dell’Apocalisse. L’albero
non è più un albero e basta, ma l’albero della vita che stava nell’Eden (Gn 2,9)
e anche l’Albero della nuova vita, cioè il legno della croce; ma anche l’albero
il cui frutto è promesso come premio per la vita eterna (Ap 2,7). A tale
proposito è significativo l’accostamento dell’Albero della Croce con l’Ultima
cena, nell’opera di Taddeo Gaddi (1300-1366) nel Cenacolo di Santa Croce a
Firenze. Le ali degli uccelli, cosa sono se non un simbolo della natura
spirituale degli angeli, onnipresenti nelle decorazioni delle nostre chiese? Le
chiavi, simbolo del potere di Pietro. In un mondo sacramentale ogni aspetto
della realtà è un “link” (in effetti, symbolon significa proprio
“collegamento”) dalle cose visibili a quelle invisibili: dal trifoglio, di cui
– stando alla leggenda – S. Patrizio si servì per far capire la Trinità, fino
all’oro delle icone, che si riferisce a una luce divina che neanche il celeste
riesce più ad esprimere.
«Non a caso – scriveva
lo studioso e sacerdote russo Pavel Aleksandrovič Florenskij (1882-1937) – le
antiche testimonianze chiamano i sommi maestri della pittura d’icone filosofi,
benché nel senso della teoria astratta essi non abbiano scritto una sola
parola. Ma con le luminose visioni celesti, questi pittori d’icone
testimoniarono del Verbo incarnato con le dita delle mani e veracemente
filosofarono coi colori» [1].
Nella liturgia (e non
dimentichiamo che tanta arte cristiana è nata per la liturgia e in funzione di
essa), dove si inaugura «una vera e propria ecologia escatologica» [2] (l’efficace definizione è del
benedettino francese François Cassingena-Trévedy) si raggiunge il culmine di
questa sacralizzazione del mondo: dagli alberi e al bestiame, che i salmi cosmici
chiamano alla lode universale, al fuoco, l’acqua, l’olio, fino al pane e al
vino che diventano realmente ciò che significano, Corpo e Sangue di Cristo:
tutto acquista un nuovo senso, inaugurando la nuova Creazione.
[1] Pavel
Aleksandrovič Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, trad. it.,
Adelphi, Milano 2007, pp. 174-175.
[2] François
Cassingena-Trévedy, La bellezza della liturgia, trad. it., Qiqajon,
Magnano 2003, p. 90.