In
tutti i Paesi del mondo, prima d’imparare a leggere e scrivere, i bambini
giocano, cantano, evocano grandi misteri, battono le mani e fanno girotondi
infantili scanditi da regole precise, senza sapere che così esprimono qualcosa
di eterno. In tutti i tempi, l’uomo ha provato il bisogno di circoscrivere la
sua gioia e la sua libertà nel tracciato di una figura perfetta che è
l’immagine dell’eternità. Attirati dal cerchio come da un amante, gli uomini
dell’antichità vi leggevano la grande legge dell’universo, il ritorno ciclico
di stagioni e di astri al quale la vita era sottomessa come a una regola di
suprema armonia, ma dalla quale non potevano evadere: il fatum, espressione sacra del destino. Gli Indiani, traviati da una
falsa metafisica ma inventori d’ingegnose parabole, hanno anch’essi fatto
ricorso alla figura circolare per esprimere la loro visione del mondo: è il giro dei Maya, danza vorticosa d’illusioni,
che attira tutto in un perpetuo divenire e alla quale il saggio deve sfuggire.
Il
tema del cerchio sarà ripreso in un’ottica cristiana dall’architettura romanica,
come un ruscello di simboli e ispirato questa volta da un potente realismo,
giacché non si tratterà più di esprimere la ruota di apparenze che sfuggono, ma
lo svolgersi esatto di una parabola del Regno: sotto la volta immobile
rappresentante il cielo, l’altare sarà situato al centro di un emiciclo che si
prolunga in cappelle a raggiera. Gli officianti, circumstantes ante thronum, rappresentano il grande Panegirico
della Chiesa trionfante, la
Gerusalemme celeste, di cui la nostra liturgia non è che
l’umile e preziosa rifrazione. Posti attorno all’altare, in un ordine che richiama
le sante gerarchie, i ministri sacri, vestiti dell’alba nuziale, esprimono la
loro tranquilla certezza di appartenere a un altro mondo e la loro fede nella
consistenza delle promesse.
[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), La santa liturgia, trad. it., Nova Millennium Romae, Roma 2011, pp. 33-34]