lunedì 19 novembre 2012

Un mistero senza fine

Ecco che d’un tratto l’idea di liturgia presenta un contenuto di una ricchezza inaudita: non si tratterà più di un atto religioso sociale, che esprime la volontà sacrificale di un popolo o di una città, ma di questo mistero senza fine nel quale gli angeli desiderano fissare il loro sguardo (1 Pt 1,1-12): l’unione nuziale di Cristo e della Chiesa, l’azione del Verbo che prende l’umanità e la solleva sopra sé stessa per mezzo del suo sacrificio, dramma redentore avente per fine l’attirare à sé tutte le cose, quelle che sono in cielo e quelle che sono sulla terra, sotto l’influsso regale e sacerdotale del Figlio prediletto, per far esplodere la lode di gloria per la sua grazia (Ef 1,1-14). Ecco ciò che rappresenta per noi l’azione liturgica. Essa accoglie in sé tutto il mistero di Cristo; veicola fino a noi, in modo non cruento, sotto l’apparenza del pane e del vino, il dramma sacrificale e trionfale di Cristo, Sacerdote e Re. È per questo che tale azione si circonda di tanta solennità; per cui una Messa bassa, non comunitaria e non cantata, sarebbe stata percepita come anomala per le prime generazioni cristiane, talmente era vivo nel cuore di quella comunità il sentimento di partecipazione al mistero nel quale si consuma vittoriosamente la storia della salvezza, sotto il segno delle Nozze dell’Agnello.
Ai loro occhi era una realtà così grande, così ineffabile, che il vocabolario cristiano non possedeva parole adeguate per descrivere l’azione liturgica. Il contenuto di quest’azione, di una ricchezza quasi infinita, lo si designava con una sola parola: mysteria, al neutro plurale, o sacramenta, che ha esattamente il medesimo significato, o meglio ancora sacro sancta. La Messa e il mondo sacramentale che ne derivava costituivano la più alta espressione della vita cristiana.
Riteniamo che il sentimento di partecipazione all’unione del cielo e della terra – «O vere beata nox, in qua terrenis caelestia, humanis divina coniunguntur!», «O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore!» (Exsultet della Veglia pasquale nella notte santa) – e al culto di questa Gerusalemme celeste, di cui i profeti annunciavano la magnificenza, fu l’elemento decisivo che suscitò nell’anima dei primi cristiani la generosità al martirio come pure la lieta visione dell’eternità trovandosi di fronte alla tragica imminenza delle persecuzioni.
Così, fino alla fine del mondo, l'anima cristiana troverà nella liturgia questa fonte di vita alla quale si sono abbeverati i nostri avi, e la visione che conservava nella loro attesa. Forse, la scuola liturgica è la sola capace, oggi come ai tempi della Chiesa primitiva, di sollevare la cappa di piombo del nostro mondo materialista e d'infondergli di nuovo il gusto della vita eterna.

[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), La santa liturgia, trad. it., Nova Millennium Romae, Roma 2011, pp. 37-39]

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