Vi
è noto il rito solenne del nostro mercoledì delle Ceneri: dopo l’ora di Nona, i
monaci, rivestiti della cocolla, si recano in capitolo; un fratello legge al pulpito
il capitolo XLIX della Regola di san
Benedetto, De Quadragesimae observatione,
cui fa seguito un breve commento del Padre Abate, il quale distribuisce a ogni
fratello il suo libro per la Quaresima, scelto attentamente in precedenza.
Quest’anno
il Padre Abate si è soffermato sul brano della Regola in cui la lista delle mortificazioni in uso si conclude
così: il monaco «attenda la santa Pasqua
nella gioia del più intenso desiderio spirituale». Ecco quindi qual è il
fondo della spiritualità della Quaresima: attendere la santa Pasqua! Tuttavia,
sappiamo attendere? Vi sono vari modi di attendere; quello passivo del
viaggiatore che aspetta un treno e quello assai diverso del naufrago che allo
stesso tempo attende e spera, facendo grandi gesti. Attendere significa allora tendere verso, essere tesi con tutto il
proprio desiderio verso la grazia di una liberazione suprema. Il nostro santo Padre
Benedetto precisa che questa tensione dell’anima dev’essere accompagnata dalla gioia
del più intenso desiderio spirituale. Sembra paradossale dire che la Quaresima
sia un tempo di gioia, ma è questa un’idea molto ricca, assai suggestiva, pregna
di molte implicazioni.
Cari
oblati, vorrei che ne foste riempiti, per due ragioni. Anzitutto perché è lo
spirito medesimo della liturgia, che è essenzialmente un’opera di gioia;
inoltre perché la gioia della speranza, più di ogni altra cosa, apre i cuori ai
grandi avvenimenti della vita: abitati dall’immagine di una gioia futura, i
fidanzati pensano al matrimonio, i catecumeni al battesimo, i prigionieri alla
libertà; nessuno potrebbe nutrire un qualunque desiderio se non portasse in sé
stesso una certa immagine della cosa desiderata.
Tutta la nobiltà della
vita proviene dalla qualità del desiderio che ciascuno porta in sé perché tale
desiderio, per la sua stessa forza, ci proietta in maniera quasi invincibile
verso il pieno compimento del nostro destino. È per fare nascere in noi questo
santo desiderio che nel tempo quaresimale la Chiesa pone sulle nostre labbra
questo inno delle Lodi che vi è ben noto: «Dies venit, dies tua, per quam reflorent omnia; laetemur in hac ut tuae
per hanc reducti gratiae», «eccolo il tuo giorno, nel quale tutto rifiorisce; rallegriamoci
perché è opera della tua grazia».
Cari amici, anche se
siete stati privi dello splendore delle cerimonie in cui la liturgia mette in
opera tutte le risorse della sua arte, cercate almeno di leggere questi grandi
testi e di entrare nello spirito interiore che li anima. Cercate, ve ne
supplico, di gustare quel profumo di vittoria che depone in noi il mistero
della Risurrezione e di rinfrescare la vostra anima nel ritorno dell’alleluia;
cercate di lasciarvi catturare dalla verità di una liberazione di cui la
Chiesa ci affida il deposito in attesa
del gran giorno dell’eternità.
Poi, se Dio ce ne dà la grazia,
che la forza del nostro desiderio ci conduca al di là degli orizzonti
terrestri, al di là dell’umano, verso il compimento definitivo della nostra
ultima Pasqua, formidabile passaggio ma di una dolcezza infinita perché sfocia
sulla paternità di Dio. Ascoltate anticipatamente il Cristo che parla a suo
Padre nell’introito alla messa di Pasqua: «Sono
risorto e sono ancora con te, alleluia. Ponesti la tua mano su di me, alleluia.
Mirabile si è dimostrata la tua scienza, alleluia, alleluia!».
Ecco verso quale gioia tutta interiore, così
soprannaturale e così calma, deve tendere il desiderio dell’anima in questi
ultimi giorni di Quaresima.
[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), Avec la joie d’un désir spirituel, 29
marzo 1992, in Benedictus. Tome III.
Lettres aux oblats, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2011, pp. 79-81,
trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]