sabato 12 marzo 2011

Salmo 90. Il combattimento spirituale

La prima domenica di Quaresima la Chiesa ci fa cantare durante la Messa, in extenso, il Salmo 90, cioè il salmo del combattimento spirituale, il salmo del soccorso angelico e il salmo della confidenza.
San Bernardo, abate di Clairvaux, ci ha lasciato diciassette omelie su questo salmo della Compieta, che i monaci cantano a memoria, ogni sera, nella penombra della loro chiesa. La giornata è terminata, ma il combattimento continua fino alla soglia del riposo, e la confidenza in Dio ne addolcisce il rigore.
Occorre comprendere cosa rappresenta questo combattimento quotidiano, impercettibile a uno sguardo estraneo, questa lotta incessante contro le debolezze della natura, per percepire i benefici del Salmo 90, completamente illuminato dalla vittoria di Dio e dal soccorso degli angeli.

Qui habitat in adjutorio Altissimi, in protectione Dei cæli commorabitur.
Tu che abiti al riparo dell’Altissimo e dimori all’ombra dell’Onnipotente,

Habitat è la parola chiave che dà il tono a tutto il salmo: la posta in gioco del combattimento spirituale è di abitare in Dio; come dice il testo ebraico, «nel segreto del suo volto». Dio desiderabile e Dio pronto ad aiutare, ecco la ragione formale della virtù di speranza. L’atto della speranza è quindi formato da un duplice movimento di tensione e di riposo. Severa e dolce virtù! Mediante essa l’anima precorre con audacia il termine della sua corsa.
Perciò colui che abita al riparo del Signore dimora già sotto la protezione del Dio del cielo. Il segreto della pace cristiana, che intriga così fortemente l’incredulo, proviene da ciò che in questa ricompensa sperata è già misteriosamente dato: colui che abita, dimora. Come la parola di Gesù in san Giovanni: «Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9).

Dicet Domino: Susceptor meus es tu, et refugium meum; Deus meus, sperabo in eum.
dì al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio, in cui confido».

Questo abitante di Dio dirà al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza». Il termine Susceptor, composto di sub e di capere – prendere o scegliere dal basso – suggerisce l’immagine del bambino portato da sua madre. «Colui appoggiato al mio braccio come un bambino che ride, costui mi piace, dice Dio!» (Charles Péguy). E il salmista prosegue: «mio Dio, in cui confido». Il resto del salmo non è altro che uno sviluppo dei due primi versetti; un modo di monetizzare, frase dopo frase, l’oro della Santa Speranza.

Quoniam ipse liberavit me de laqueo venantium, et a verbo aspero.
Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge.

Quoniam ipse... Perché è Egli stesso, lui in persona che mi libererà dal laccio del cacciatore. Santa Gertrude di Hefta fu illuminata sul significato di queste parole: i cacciatori sono i demoni; e le ultime parole del versetto, «a verbo aspero», significano la risposta che ricevono le vergini stolte bussando alla porta del banchetto: «Non vi conosco», frase dura fra tutte! Si noti come i salmi, nel loro senso pieno, vanno oltre l’aneddoto che dà loro vita, per orientarci verso i fini ultimi: è lo stesso Signore, Ipse, e non un altro, che ci libererà dai lacci del demonio e dalla riprovazione finale cui conducono. I salmi di speranza attraversano i secoli e non si esauriranno che alla soglia dell’eternità, ovvero davanti alla dolce parola: «Venite benedetti del Padre mio»; oppure davanti al duro monito: «Non vi conosco!».

Scapulis suis obumbrabit tibi, et sub pennis ejus sperabis.
Ti coprirà con le sue penne sotto le sue ali troverai rifugio.

Il Signore è simile a un grande volatile che protegge i suoi piccoli sotto le sue ali. Si tratta di un’immagine alla quale lo Spirito Santo ama ricorrere: come dice il Salmo 35, «I figli degli uomini all’ombra delle tue ali spereranno», «Filii hominum in tegmine alarum tuarum sperabunt»; e lo stesso Nostro Signore si è paragonato a una chioccia che raduna i suoi pulcini sotto le piume. Commenta sant’Agostino: «Ti appoggia sul suo cuore, ti protegge con le sue ali per salvarti dagli artigli dello sparviero; rifugiamoci sotto le ali della Sapienza, madre nostra, che ci attendeva». Si dovrebbe sempre recitare questo versetto con un sentimento di tenerezza e gratitudine.

Scuto circumdabit te veritas ejus: non timebis a timore nocturno;
La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza; non temerai i terrori della notte

I salmi alternano immagini campestri e immagini guerriere. La parola Veritas, in ebraico «émèt», può significare verità o fedeltà! L’idea di un Dio fedele alle sue promesse permea la Bibbia e gli esegeti traducono volentieri Veritas con fedeltà, ciò che non è scorretto. Ma, in effetti, non è la verità dell’amore che lo rende fedele? E i falsi dèi sono allora tutti morti, perché noi cessiamo di reclamarci al solo Dio vivo e vero? In questa lotta dello spirito, in cui tante illusioni nascono e muoiono come il fumo, non è fuori tema paragonare la Verità di Dio a questa cosa concreta e robusta: lo scudo corazzato che avvolge il guerriero e lo protegge contro «i terrori della notte».

A sagitta volante in die, a negotio perambulante in tenebris, ab incursu, et dæmonio meridiano.
né la freccia che vola di giorno, la peste che vaga nelle tenebre, lo sterminio che devasta a mezzogiorno.

Parlando delle ferite dovute al peccato originale, nell’Apocalisse san Giovanni nomina tre concupiscenze: la concupiscenza degli occhi, la concupiscenza della carne e l’orgoglio della vita. Sembra che questo versetto faccia allusione a questi tre mali: appoggiandosi al soccorso divino, l’anima non temerà né la freccia del desiderio altero, che vola al di sopra delle teste, simbolo della volontà di potenza e della dismisura; né quell’amore delle ricchezze che simboleggia il negozio delle tenebre e il suo corteo di menzogne; né gli attacchi del demone meridiano, che sconvolge particolarmente le anime giunte nel mezzo della loro vita, nell’età della piena maturità.

Cadent a latere tuo mille, et decem millia a dextris tuis; ad te autem non appropinquabit.
Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra; ma nulla ti potrà colpire.

Il salmo si presenta come un canto di guerra, che il sentimento cattolico traduce d’istinto in combattimento spirituale. Si pensa inevitabilmente a tutte le protezioni miracolose che circondano l’anima dei santi; non che essi siano indenni dalle prove dell’esistenza, ma una Provvidenza li salva dalla sola caduta che si deve temere: quella del peccato e della sua decadenza. Questa posizione eretta nel mezzo delle migliaia che cadono, è la purezza delle prime vergini cristiane in mezzo alle impurità del mondo pagano. E ancora l’anima dei nostri bambini minacciati dal materialismo del mondo moderno; e Dio conosce la spaventosa quantità di cadute! Ma non disperate dell’anima dei vostri piccoli. La purezza è sempre possibile; lo Spirito Santo ne fa un punto d’onore, e i sacerdoti guardano con ammirazione come anche al giorno d’oggi, al prezzo di squisite gentilezze, la purezza fende il flotto dell’impurità, con un accento di umile trionfo, che non appartiene ad altro che alla carità cristiana.

Verumtamen oculis tuis considerabis, et retributionem peccatorum videbis.
Solo che tu guardi, con i tuoi occhi vedrai il castigo degli empi.

Il salario dei malvagi, cioè il castigo che meritano, rimane tuttavia nascosto – perlomeno la maggior parte delle volte – allo sguardo dei perseguitati. Ma il futuro di videbis non rimanda al giorno ultimo: Mihi vindicta! A me la vendetta, dice il Signore. Questo scombussola la nostra sensibilità moderna, e il Dio vendicatore non ci attrae alquanto; ma non dimentichiamo che il popolo d’Israele ha cantato questi salmi per incoraggiarsi alla vittoria. La religione guerriera dei nostri avi consisteva essenzialmente nel prendere la parte di Dio, con una solida parzialità e una perfetta assenza di sfumature! Quanto a noi che, al giorno d’oggi, recitiamo questi salmi, lasceremo la retribuzione dei peccatori racchiusa nel mistero di un Dio le cui vie non sono le nostre vie, e «che punisce l’uomo con la gloria».

Quoniam tu es, Domine, spes mea; Altissimum posuisti refugium tuum.
Poiché tuo rifugio è il Signore e hai fatto dell’Altissimo la tua dimora,

Il salmista riprende con felicità il suo canto iniziale, che dà al salmo il suo carattere di gioiosa speranza. Cosa c’è di più dolce che dire a Dio «Tu es spes mea»? Cosa c’è di più dolce che cantare ogni sera questa essenziale verità, ovvero che Dio è il nostro unico soccorso nonché l’unico a saziarci? Oh, umano desiderio, dai libero corso alla tua sete d’assoluto; ecco la tua pienezza! Non aspirare a null’altro che a Dio, se non vuoi rimanere deluso, perché solo lui – che l’ha fatta nascere in te – può estinguere la tua sete.

Non accedet ad te malum, et flagellum non appropinquabit tabernaculo tuo.
non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo cadrà sulla tua tenda.

Troviamo qui la medesima idea del settimo versetto: quella di una cristianità nel contempo minacciata e indenne. Cosa ne pensano i nostri fratelli libanesi? Possiamo affermare che la sventura non li abbia colpiti? Che dire di un’atrocità quotidiana? Ebbene, lo diciamo ad alta voce, il male non si accosta alle anime pure, poiché il male assoluto è il peccato e la dannazione. Il resto, ovvero il sangue e le lacrime, la distruzione di un popolo, è il segreto della Provvidenza, un segreto che ci sarà rivelato solo il giorno del Giudizio. La sventura non è ciò che crediamo, e accade persino che si tratti di un travestimento della dolcezza di Dio. Cosa ne pensano gli angeli?

Quoniam angelis suis mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis.
Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi.

Ausiliari di tutte le battaglie di Dio, ecco i santi angeli, questi fratelli affettuosi e soccorritori che il Signore invia e ai quali dà un mandato assai preciso – mandavit –, ossia di custodirci in tutti i nostri passi. Nulla quindi è escluso. Ovunque, in ogni luogo, in ogni mansione – quelle dell’intelligenza, quelle del corpo che corre i suoi rischi – vi sono i santi Angeli custodi, meravigliose creature dalle quali, per quanto appesantiti che siamo, riceviamo in prestito le ali. Ma questi esseri superiori non ne derivano alcuna avversione, nessun disprezzo; rimangono i nostri fratelli maggiori, attenti e devoti. Sappiamo scorgere in questi puri spiriti una concentrazione di forze vive e amorevoli, il sorridere di Dio all’umanità, gli esecutori intelligenti della sua Provvidenza.

In manibus portabunt te, ne forte offendas ad lapidem pedem tuum.
Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede.

Quest’immagine squisita, di una dolcezza tutta materna, è stata ispirata dallo Spirito Santo al salmista per dirci qualcosa delle attenzioni della grazia: tutto il cielo cospira al nostro avanzamento; migliaia di occhi invisibili seguono ogni nostro minimo passo e gli angeli, nostri fratelli, ci portano sulle loro mani: ciò sta a dire che riceviamo da loro – in quanto sono immateriali – i soccorsi di una grazia potente e dolce, facile come un respiro o un sorriso. Quante volte, povera anima, che inciampi nella notte, ti sono stati evitati gli scontri con la pietra che ferisce. Ed ecco che un sentimento di confidenza e gratitudine ti pervadeva e ti sollevava nell’atmosfera di Dio: gli angeli ti portavano sulle loro mani!

Super aspidem et basiliscum ambulabis, et conculcabis leonem et draconem.
Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi.

L’aspide e il basilisco sono rettili velenosi; il soccorso angelico tende a fare di noi degli eroi invincibili, capaci di sconfiggere serpenti e draghi. Quanti serpenti e bestie selvatiche si disputano quel cuore umano che Pascal definisce cloaca d’impurità? Che gli angeli ci aiutino dunque ad atterrire tale fauna di sensualità e di orgoglio malevolo. Ci aiutino a calpestare la gelosia, il rancore, l’amor proprio, i nostri soli nemici; e che rinasca in noi l’umile e tonificante fierezza delle vittorie di Dio.

Quoniam in me speravit, liberabo eum; protegam eum, quoniam cognovit nomen meum.
Lo salverò, perché a me si è affidato; lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome.

Gli ultimi tre versetti del Salmo 90 si occupano delle alte sfere: è il Signore che prende la parola, e di cosa ci parla? Anzitutto ci dice che ci salva, se speriamo in lui, e che ci protegge, se «conosciamo il suo nome». Cosa significa? Conoscere il nome di Dio è ben più che riconoscergli alcuni attributi, come la Giustizia o la Misericordia. Significa designarlo tramite la sua essenza: l’Amore. La Follia di questo Amore infinito fonda una confidenza in Dio che, nel suo ordine proprio, dev’essere – anch’essa – infinita.

Clamabit ad me, et ego exaudiam eum; cum ipso sum in tribulatione: eripiam eum, et glorificabo eum.
Mi invocherà e gli darò risposta; presso di lui sarò nella sventura, lo salverò e lo renderò glorioso.

«Sono con lui nella tribolazione e nelle prove amare»«Davvero, Signore, siete con noi in questo terribile disordine?»«Povera anima, è proprio vero: vengo a cercarti nel profondo della tua angoscia per strappartene e introdurti nella gloria». Che luce proietta sul problema del male questo impressionante tratto! «Lo salverò e lo renderò glorioso»! Com’è che Dio glorifica il suo servitore?

Longitudine dierum replebo eum, et ostendam illi salutare meum.
Lo sazierò di lunghi giorni e gli mostrerò la mia salvezza.

Il Signore emette una solenne promessa. «Gli mostrerò la mia salvezza», cioè «gli farò vedere cosa significa essere salvato», o ancora «gli mostrerò il mio volto». Perché il vostro volto, Signore, è per noi la salvezza, secondo quest’altro versetto del Salmo 79: «Ostende faciem tuam et salvi erimus», «Fa’ splendere il tuo volto e saremo salvi». Il salmo si conclude su questa promessa di Dio: lo riempirò di giorni e gli farò vedere la mia salvezza. Salmo mirabile che termina la giornata del monaco, preparandolo a fare ingresso nella notte, portatrice del Volto di Dio.

[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), Psaume 90: le combat spirituel, in Itinéraires, n. 281, marzo 1984, pp. 90-101, poi in Benedictus. Écrits Spirituels. Tome I, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2009, pp. 346-357, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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