Sono sbalordito, sconvolto da questo motu proprio. Il minimo che si possa dire è che si rimane ko! Mi unisco alle lacrime di tanti miei amici e di miei cari. Prego affinché non siano tentati dall’acidità, dall’amarezza, addirittura dalla rivolta e dalla disperazione.
Perché tanta durezza, senza un’oncia di misericordia o di compassione? Come non rimanerne confusi e destabilizzati?
Naturalmente, tra questi fratelli cattolici legati alla tradizione, ci sono alcuni che – ahimè! ahimè! – si sono induriti, congelati, sono arretrati, si sono ritirati in un ghetto, fino a rifiutarsi di concelebrare le Messe crismali, il che è inaccettabile. Ma per questa piccola minoranza non sarebbe bastata un forte esortazione, unita a possibili minacce di sanzioni? Ispirandosi al libro della Sapienza: “Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato. [...] Ma hai avuto indulgenza anche di costoro, perché sono uomini. […] giudicando invece a poco a poco, lasciavi posto al pentimento” (12, 2,8,10).
Oasi rinfrescanti in un deserto di apostasia generale.
Per non parlare che della Francia, sa il Papa che ci sono gruppi e comunità meravigliosamente irradianti, che attirano un gran numero di giovani, giovani coppie e famiglie? Sono attratti dal senso del sacro, dalla bellezza liturgica, dalla dimensione contemplativa, dalla bella lingua latina, dalla docilità alla sede di Pietro, dal fervore eucaristico, dalla confessione frequente, dalla fedeltà al rosario, dalla passione per le anime da salvare e da tanti altri elementi che non trovano – ahimè! – in molte delle nostre parrocchie.
Tutti questi elementi non sono profetici? Non dovrebbero interpellarci, stimolarci, coinvolgerci? Non era questa l’intuizione di san Giovanni Paolo II, nel suo motu proprio “Ecclesia Dei”?
Nelle loro assemblee dominano i giovani, i gruppi e le famiglie, la cui pratica domenicale sfiora il 100%. Non si dica che sono nostalgici del passato, anacronistici. È il contrario: latino, Messa ad orientem, gregoriano, talare: è tutto nuovo per loro. Ciò ha tutto il fascino della novità.
C’è da meravigliarsi che le comunità monastiche che mantengono l’ufficio in latino, e talora anche la celebrazione eucaristica secondo il messale di san Giovanni XXIII, siano fiorenti e attirino molti giovani?
Penso in particolare alle comunità che ho la grazia di conoscere personalmente e che stimo e ammiro, come quelle di Le Barroux (monaci e monache) e di Notre Dame de la Garde, nonché i Missionari della Misericordia a Tolone. Che non si dica che non sono comunità missionarie! Attorno alla prima gravita, tra molte altre, il Capitolo di Maria Maddalena, con le sue centinaia di adolescenti e giovani, per non parlare di quanti vanno per i ritiri. Per i secondi: non si fa di meglio in termini di evangelizzazione dei musulmani e dei nostri piccoli pagani sulle spiagge. Per non parlare del Pellegrinaggio di Pentecoste a Chartres, in costante crescita.
Con lo scoutismo e la Comunità di San Martino, questo movimento ecclesiale è quello che dà il maggior numero di vocazioni sacerdotali alla Chiesa. Assisto al bellissimo fervore che regna nel seminario di Witgratzbad, in Baviera, istituito grazie a un certo cardinale... Ratzinger.
In un mondo così feroce dove la lotta per la fedeltà a Gesù e al suo Vangelo è un eroismo, in cui sono già emarginati, disprezzati, derisi nelle scuole, come pure in famiglia, dove tutti i loro valori sono calpestati, quando non prostituiti, dove si trovano terribilmente soli e isolati, così insicuri, a volte al limite della disperazione: perché, ma perché allora negare loro quelle poche roccaforti che danno loro la forza, il coraggio, l’audacia di entrare nella resistenza e resistere? Questo in mezzo alle turbolenze della Chiesa, nel bel mezzo di un crollo della fede nel mondo. La guerra contro Cristo e la sua Chiesa si scatena, siamo nel bel mezzo di un duello omicidio-Principe della vita, i giovani hanno più che mai il diritto di essere sostenuti, rafforzati, armati, semplicemente messi in sicurezza. Non chiudiamo loro alcuni dei nostri rifugi più belli. Come un rifugio d’alta montagna in mezzo alle fessure mortali.
Nell’arido deserto di una società in cui vince “l’apostasia silenziosa dell’uomo che crede di essere felice senza Dio” (GP II), questi gruppi e parrocchie sono autentiche oasi rinfrescanti. I loro fiori più belli: questi giovani e persino i bambini che hanno raggiunto le luminose vette della santità. Come non menzionare una Anne-Gabrielle Caron, della parrocchia dei Missionari della Misericordia a Tolone, la cui causa di beatificazione è già aperta. E la piccola martire Jeanne-Marie Kegelin, in Alsazia, due dei cui fratelli sono sacerdoti della Fraternità San Pietro (posto che questo non sia il motivo che ritarda la sua causa).
Una puntura di sterilizzazione?
Dopo tutto questo, come comprendere che il Papa sembra puntare semplicemente alla loro estinzione, dissoluzione, liquidazione pura e semplice? Mediante la semplice applicazione delle norme ora imposte? Ciò risulta evidente dal fatto che i loro sacerdoti sono strappati dalla loro parrocchia e proibiti di crearne di nuove: non è questa una puntura di sterilizzazione? Che nessun nuovo sacerdote di rito ordinario potrà celebrare la cosiddetta Messa tridentina, senza indulto del suo vescovo che, da parte sua, è tenuto a seguire le direttive romane.
Il peggio: dichiarando che il messale (Messa e altri sacramenti inclusi) di san Giovanni XXIII non appartiene più al rito romano, poiché l’“unica espressione” di esso è ora l’unico messale di Paolo VI. Questo rito è quindi ipso facto relegato al passato, obsoleto, obsoleto, e si trova appeso nel vuoto...
Non è una pugnalata alla schiena, o meglio al cuore, del nostro caro Benedetto XVI? Il suo colpo di genio era stato quello di salvare questo rito semplicemente rendendolo la seconda variante o forma del singolo rito romano. Che coraggio gli volle! E non è stato assolutamente per semplice diplomazia o politica ecclesiale, come insinua il motu proprio. Quante volte ha affermato che questo rito che aveva santificato il popolo cristiano, irrigato tutta la Chiesa, dato tanti frutti di santità per tanti secoli, aveva pieno diritto di cittadinanza ed era parte integrante della liturgia latina e romana.
È stato uno scandalo avere cercato di sbarazzarsene, circa sessant’anni fa. E all’improvviso, brutalmente, con un colpo di penna, eccolo abrogato da un Papa certamente meno liturgico nell’animo di quel Benedetto XVI dall’anima interamente benedettina.
Benedetto XVI, nel suo ritiro monastico, dovrà implorare il suo successore di celebrare nuovamente questo rito che amava così tanto e che era riuscito, magistralmente, a salvare?
Un rischio di scisma o di clandestinità?
Ancora, l’intenzione del nostro Santo Padre è sicuramente bella e buona: proteggere la comunione nel popolo di Dio. Ma è probabile che l’effetto sia esattamente il contrario.
Ne tremo: molti potrebbero essere tentati semplicemente di unirsi a Ecône e alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, alla quale Papa Francesco aveva generosamente teso la mano, nell’anno della Misericordia. Quasi quarant’anni fa, si erano eroicamente staccati da Mons. Lefebvre, per trovare la Chiesa Madre di Roma, accolti a braccia aperte da san Giovanni Paolo II. (Come dimenticare la figura luminosa di Jean-Paul Hivernat, da Ecône a Roma e poi a Versailles, sulla scia della santità). E ora sono messi nella condizione di dire: “Beh, non ci volete più; torniamo da dove siamo venuti. Tanti sacrifici, tutto per niente! Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ci hanno amato, ci hanno capito, così come tanti vescovi meravigliosi e coraggiosi, ed eccoci raggirati, da un giorno all’altro”.
Insomma, c’è il rischio reale di “scismi che fioriranno da tutte le parti se vescovi bruschi impongono il loro potere ai sacerdoti rigidi” (Gabriel Privat). Oppure, sarà la tentazione di sotterrarsi in clandestinità...
La comunione trinitaria non implica forse l’ecumenismo intra-cattolico?
La comunione ecclesiale non è la medesima della Santissima Trinità (Gv 17), cioè quella della bellezza nella sua diversità? Maggiori sono le differenze, a condizione che siano vissute come complementari, più bella è la Chiesa. L’alterità non è una condizione di fertilità? Perché abbiamo tante difficoltà a ricevere, accogliere, amare questi fratelli e sorelle battezzati, con la loro sensibilità, i loro desideri, i loro carismi propri e specifici, anche e soprattutto se non sono i nostri? Perché imporre ai giovani, già così indeboliti, le nostre preferenze? Rispettiamo i nostri fratelli cattolici delle sante Chiese orientali. A Roma stessa è dedicata loro una Congregazione. Siamo stupiti dalle loro sontuose liturgie divine, siano esse copte, etiopi, armene, siriache, maronite, melchite o bizantine – russe o greche – e respingiamo la liturgia latina e romana nella sua espressione tradizionale!
Per essere logici, dovremmo standardizzare tutta la vita monastica o religiosa! Benedettini, cistercensi, certosini, carmelitani, clarisse: addio! Tutti i movimenti spirituali dovrebbero essere uniformati, nella loro fastidiosa diversità. Neocatecumenali, Focolari, Rinnovamento carismatico, Comunione e Liberazione: fuori! Tradizioni e sensibilità benedettine, carmelitane, francescane, domenicane, gesuite, vincenziane, salesiane, ecc.: nella spazzatura!
No e no, l’unità non è uniformità, ma diversità! La comunione non è orizzontalità, ma complementarità!
San Giovanni Paolo II lo aveva espresso bene nel suo motu proprio “Ecclesia Dei”: “Tutti i pastori e gli altri fedeli devono avere una nuova consapevolezza non solo della legittimità, ma anche della ricchezza che rappresenta per la Chiesa la diversità dei carismi e delle tradizioni di spiritualità e apostolato. Questa diversità costituisce anche la bellezza dell’unità nella varietà: questa è la sinfonia che, sotto l’azione dello Spirito Santo, la Chiesa terrena fa salire al Cielo”.
Sentirete le grida e le lacrime dei vostri figli?
Il Santo Padre ha misurato l’impatto, se non il terremoto, che tale intransigenza rischia di provocare, nella Chiesa e anche al di fuori della Chiesa? Che una persona per di più atea, dall’aura indiscutibile, come Michel Onfray, osi ammettere di essere “costernato”, precisando: “La Messa in latino è patrimonio del tempo genealogico della nostra civiltà. Essa è erede storicamente e spiritualmente di una lunga discendenza sacra di rituali, celebrazioni, preghiere, tutte cristallizzate in una forma che offre uno spettacolo totale”. Egli aggiunge con il suo consueto sarcasmo, che ovviamente non faccio mio: “Per coloro che credono in Dio, la Messa in latino sta alla Messa del lungo fiume tranquillo... come la basilica romana contemporanea di Sant’Agostino sta a una sala polivalente in un complesso di palazzi ad Aubervilliers: vi si cercherebbe invano il sacro e la trascendenza”.
Ha pensato al sisma che sperimenteranno i nostri fratelli delle sante Chiese ortodosse? Il motu proprio di Benedetto XVI, da loro molto stimato come un grande teologo, li aveva rassicurati: che la Chiesa latina conserva e protegge fedelmente un rito liturgico che ha attraversato secoli. E ora, per porre la domanda, angosciato: lo getteremo alle ortiche?
Ha previsto il probabile terremoto fra tanti giovani, giovani coppie, intere famiglie che saranno destabilizzate, confuse, scoraggiate, tentate dalla rivolta. Sin qui amavano il loro Papa Francesco, per quanto accattivante e confuso fosse, erano fedeli al Magistero romano, e ora sono attraversati dal dubbio, dalla sfiducia, se non dal rifiuto, con l’amara impressione di essere stati truffati, rinnegati se non traditi.
Come non piangere con loro?
Possa almeno una grande ondata di compassione battesimale, affetto fraterno e paterno dalla parte dei nostri vescovi, preghiere ardenti circondarli, confortarli, consolarli, sostenerli, incoraggiarli, accoglierli. Ardentemente. Generosamente. Vale a dire con amore.
Caro Santo Padre – che amo, stimo e ammiro –, a nome di molti miei amici, giovani e meno giovani, oso condividere con voi, in tutta filiale semplicità, il mio profondo dolore. Ma animato da una folle fiducia, oso sperare che, ascoltando tante lacrime sulle guance dei vostri figli, abbiate il coraggio e l’umiltà di ritornare su una decisione di una tale intransigenza, nonostante la vostra frase finale: “nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di particolare menzione”.
Contro ogni speranza, spero!
Fra’ Daniel-Ange
Il 23 luglio,
40° anniversario della mia ordinazione sacerdotale
al Congresso Eucaristico Internazionale di Lourdes
[Padre Daniel-Ange, “Traditionis custodes: une piqûre de stérilisation?”, Le Salon Beige, 10 agosto 2021, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B. - Padre Daniel-Ange de Maupeou d'Ableiges (Bruxelles, 17 ottobre 1932) è un religioso, presbitero e scrittore belga con cittadinanza francese noto come fondatore della scuola di preghiera ed evangelizzazione Jeunesse-Lumière e per i suoi scritti di spiritualità]