Guillaume Durand, Rational des divins offices [Rationale divinorum officiorum] |
seconda domanda
Come ci si può opporre agli altari moderni rivolti verso il
popolo, quando essi sono stati prescritti dal Concilio e praticamente sono
stati introdotti nel mondo intero?
Si
cercherebbe invano una prescrizione che imponga di celebrare la santa messa rivolti
verso il popolo nella Costituzione sulla sacra liturgia promulgata dal Concilio
Vaticano II. Ancora nel 1947, Papa Pio XII, nell’enciclica Mediator Dei (n. 49), sottolineava come si
sbagliassero coloro che volessero ridare all’altare la sua antica forma di mensa (tavola). Fino al Concilio la
celebrazione verso il popolo non era autorizzata; essa era tuttavia tacitamente
tollerata da numerosi vescovi, soprattutto per le messe dei giovani.
Da
noi, in Germania, la nuova posizione del sacerdote fece la sua comparsa negli
anni 1920 con la Jugendbewegung (movimento della gioventù), allorché
si cominciò a celebrare l’eucaristia per piccoli gruppi; Romano Guardini svolse
il ruolo di precursore, con le sue messe al castello di Rothenfels. Il
movimento liturgico diffuse quest’uso, soprattutto Pius Parsch, che sistemò in
questo senso, per la sua “parrocchia liturgica”, una piccola chiesa romanica
(Santa Gertrude) a Klosterneuburg, vicino a Vienna.
Questi
sforzi vennero infine approvati dall’istruzione Inter œcumenici (1964) della Congregazione dei Riti, che in seguito
ha ispirato il nuovo messale. Per le nuove costruzioni vi è prescritto che: “È
bene costruire l’altare maggiore separato dal muro, perché si possa facilmente
girarvi attorno e vi si possa celebrare verso il popolo; esso sarà posto nell’edificio
sacro in modo da essere veramente il centro verso il quale si volge
spontaneamente l’attenzione dell’assemblea dei fedeli” (n. 91).
Sfortunatamente,
è esatto che i nuovi altari verso il popolo siano stati installati dovunque nel
mondo, almeno per quanto riguarda l’area di diffusione della Chiesa cattolica
romana. Ma, a rigore, essi non sono prescritti.
Nelle
Chiese ortodosse d’Oriente – nelle quali, d’altronde, vi sono alcune centinaia
di milioni di cristiani – si continua a rispettare l’uso della Chiesa delle
origini, secondo cui il sacerdote che celebra il santo sacrificio è girato, con
i fedeli, verso l’abside. Questo vale sia per le Chiese di rito bizantino – greca,
russa, bulgara, serba, ecc. – sia per le Chiese dette di rito orientale antico
(armena, siriaca, copta).
Che
l’altare debba essere scostato dal muro “perché si possa facilmente girarvi
attorno”, è un’altra questione. Questa esigenza della Congregazione dei Riti si
accorda perfettamente con la tradizione [1].
Per
più di dieci secoli, come fino a oggi nelle chiese ortodosse orientali, l’altare
è rimasto privo di sovrastrutture. Un cambiamento si produsse nell’epoca
gotica, con l’apparizione delle pale. Queste svolgevano in parte il ruolo dei
dipinti dell’abside e dei muri, raffigurando le diverse tappe della salvezza:
dall’Annunciazione dell’angelo all’Ascensione del Signore.
Mentre
nelle piccole chiese gli altari erano spesso addossati al muro dell’abside,
nelle grandi chiese, come abbiamo visto, erano posti – fino all’epoca gotica –
in mezzo al santuario. Era allora possibile girarvi intorno al momento dell’incensazione,
com’è detto nel Salmo 25: “Giro attorno al tuo altare, o Signore, per far
risuonare voci di lode e narrare tutte le tue meraviglie”.
Per
sottolineare la santità dell’altare, questo – almeno nelle grandi chiese – era
generalmente sormontato da un baldacchino in materiale prezioso, poggiante su
quattro colonne. Ai quattro lati erano fissate delle cortine; certo in
riferimento alla tenda del Tempio di Gerusalemme, che separava il Santo dei
Santi (Sancta Sanctorum) dal santuario, come Dio aveva prescritto a
Mosè: “Farai il velo di porpora viola, di porpora rossa, di scarlatto (…). Lo
appenderai a quattro colonne di acacia, rivestite d’oro (…). Collocherai il
velo sotto le fibbie e là, nell’interno oltre il velo, introdurrai l’arca della
Testimonianza. Il velo costituirà per voi la separazione tra il Santo e il
Santo dei santi” (Es 26, 31-33).
Come
abbiamo visto, nel rito bizantino è l’iconostasi che attua la separazione; ma secondo
la concezione ortodossa, anch’essa rappresenta, insieme alle icone, l’Ecclesia
cœlestis (la Chiesa del
Cielo), che celebra assieme ai fedeli, tanto che essa dev’essere considerata,
da quelli che partecipano alla celebrazione, non solo come una separazione, ma
anche come un oggetto di contemplazione.
In
altri riti orientali non bizantini, l’iconostasi manca; al suo posto vi sono,
come presso gli armeni, due tende: una piccola davanti all’altare e una grande
che, in alcuni momenti della liturgia della messa, nasconde tutto il coro agli
occhi dei fedeli. A questo proposito così dice san Giovanni Crisostomo: “Quando
vedi chiudere le tende, pensa che in quel momento il cielo si apre lassù e ne
discendono gli angeli” [2].
Secondo
la testimonianza di Guillaume Durand, queste tende furono anche usate in
Occidente, fino alla metà del Medioevo. Egli parla di tre vela: uno che copre le offerte
del sacrificio, il secondo intorno all’altare e il terzo velum sospeso davanti al coro [3].
Mentre
la Chiesa delle origini dissimulava l’altare come poteva, ornandolo con tessuti
preziosi e con pendoni, ecco che al giorno d’oggi questo stesso altare si trova
posto, nudo, in mezzo alla chiesa, esposto a tutti gli sguardi. La sua santità,
in quanto luogo delle offerte del sacrificio, si trova così meglio evidenziata?
Certamente no. A meno che non si voglia prendere in considerazione – contro
tutte le tradizioni – altro che la sua funzione di tavola da pasto e la si
voglia rendere manifesta in tal modo.
Allora,
certamente, non mi resta che inchinarmi…
Ma,
in questo caso, non si tratta più di rendere presente quaggiù il mondo dell’aldilà:
si tratta solo dell’uomo e del suo universo. L’universo di Dio, degli angeli e
dei santi, diventa marginale: sfiora appena il nostro. Forse, malgrado tutto,
ci s’interesserà ancora a un uomo chiamato Gesù e a qualche brano accuratamente
selezionato del suo Vangelo!
[1]
Il Pontificale romano tradizionale, nel capitolo “Della dedicazione delle
chiese”, chiede espressamente che l’altare non sia addossato al muro, ma che si
possa girarvi attorno da tutti i lati onde potere compiere in maniera
conveniente i riti di consacrazione. Il “messale di san Pio V” (edizione del
1962) indica d’altra parte la maniera di procedere all’incensazione di questo tipo
d’altare. Contrariamente a ciò che si ritiene troppo spesso, l’altare così
disposto è perfettamente conforme alla tradizione, sebbene con il tardo
Medioevo sia stato spesso preferito addossarlo al muro.
[2]
PG 62, 29.
[3]
Rational, I, 3, n. 35.
[Klaus Gamber, “L’autel face au
peuple. Questions et réponses”, in Tournés vers le Seigneur!,
Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 1993, pp. 19-55 (pp. 24-27) / 3 -
continua]