San Benedetto chiede al Padre Abate che “detesti i
vizi” (RB LXIV, 11) e di lottare nei
tempi opportuni e non opportuni contro il peccato. Come comprendere questo
insegnamento alla luce della misericordia, che pure san Benedetto esige
dall’abate sia fatta trionfare?
Per iniziare, occorre ammettere che i padri del
deserto, e san Benedetto – loro fedele successore –, hanno fatto di questa
lotta continua un elemento essenziale del loro percorso di conversione. La
pazienza di Dio è presentata come un invito divino a convertirsi, e quindi a
lottare contro le proprie colpe. Il codice penitenziale della Regola è molto stretto: ogni
mormorazione, ritardo, negligenza, stonatura, dev’essere combattuta, corretta e
riparata da una degna soddisfazione. Il modello del monaco è l’eremita, colui
che è capace, con l’aiuto di Dio, di affrontare con sicurezza la lotta contro i
vizi della carne e dello spirito. Nel quarto capitolo della Regola, intitolato “Gli strumenti delle
buone opere”, su 72 comandi, 50 sono negativi – “non dare sfogo all’ira” (RB IV, 22), “non giurare per evitare
spergiuri” (RB IV, 27), ecc. –, come
se la lotta contro i vizi sia più importante dei precetti positivi.
Ma come fare per detestare i vizi cristianamente,
senza cadere punto nell’odio?
È chiaro che per san Benedetto l’anima di ogni
conversione è la luce divina: “aprendo gli occhi a quella luce divina” (RB Prologo, 9). Nella nostra personale
conversione, se è cosa buona avere paura dell’inferno, è più essenziale
desiderare la vita eterna con tutto l’ardore della propria anima. Se è cosa
buona vivere sotto lo sguardo di Dio al quale nulla, alcuna azione, nessun
pensiero, nessun desiderio sfugge, è più fondamentale essere ben persuasi che
prima che noi lo invochiamo, il Signore dice: “Io sono là”. Sì, è là per
guidarci, illuminarci, aiutarci. Se è cosa buona piangere i propri peccati e
confessarli a un anziano, ciò è alla condizione di non disperare mai della
misericordia di Dio.
E ai superiori in cura d’anime – i vescovi, i
preti, gli abati, i padri e le madri di famiglia – san Benedetto dà certamente
la missione di lottare contro i vizi, le colpe dei temperamenti e le mancanze.
È una missione sacra per la quale il superiore
dovrà rendere conto nel giorno del Giudizio. Egli subirà un esame non soltanto
a riguardo dello stato della sua anima, ma anche delle anime a lui affidate dal
Signore. Che egli corregga pensando sempre alla parabola della pagliuzza e
della trave. Che la preoccupazione degli affari altrui lo renda più attento ai
propri. Che egli si adatti a tutti i temperamenti. Che egli pensi a correggere
progressivamente. Prima di reprimere, che non dimentichi d’istruire. La scelta
di un superiore dovrà sempre farsi sull’esame della sua dottrina e del merito
della sua vita. Quanti poveri fedeli sono nell’ignoranza a causa dell’assenza
d’insegnamento, o peggio ancora, del peccato d’eresia da parte del clero! È un
grave peso, un vero lavoro, quello di trovare le giuste parole. Parafrasando l’espressione
di san Paolo, è un “partorire di nuovo” (cfr. Gal 4, 19).
Infine, se è cosa buona che il superiore cerchi di
farsi temere, egli deve prima di tutto cercare di farsi amare, in ragione del
nome stesso che egli porta: “Padre”. Lo avete sicuramente compreso, se è cosa
buona detestare i vizi, ciò è unicamente per il fine superiore di amare i
propri fratelli.
[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero
Sainte-Madeleine di Le Barroux, editoriale di Les amis du monastère, n.
158, 21 giugno 2016, pp. 1-2, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]