domenica 28 dicembre 2014

Un cammino di libertà - Commento alla Regola di san Benedetto

Dom Guillaume Jedrzejczak O.C.S.O., Un cammino di libertà. Commento alla Regola di san Benedetto, Lindau, Torino 2013, 552 pp. Recensione di M. Geltrude Arioli OSBap, in Ora et Labora, n. 2 / 2013.

Leggendo questo commento scorrevole eppure profondo si capisce subito che è espressione di una vita: una vita di paterna attenzione alla comunità che si intreccia con intelligenza d’amore con la vita di ogni singolo monaco e della comunità. Opportunamente p. Roberto Nardin presenta l’opera sottolineando l’apertura di orizzonti della spiritualità benedettina a tutti i battezzati in quanto tali. Il commento di dom Guillaume aiuta infatti a riconoscere la vita monastica come espressione piena e integra della spiritualità del Battesimo.
Non basta rilevare in questo lavoro la concretezza della esperienza di vita monastica nella duplice situazione – del monaco e del padre abate – . Ciò che colpisce di più è la verità e la profondità di certe esperienze mistiche che affiorano nel vissuto monastico. Quando l’Autore commenta il capitolo sull’obbedienza, sottolinea in modo convincente che l’obbedienza è un cammino guidato dallo Spirito Santo, un cammino di conformazione a Cristo: solo un’esperienza diretta e profondamente sofferta ha consentito all’Autore di descrivere la “notte” dell’abbandono totale del monaco, che, pur affidandosi completamente all’obbedienza senza la minima resistenza, vive nell’oscurità del Getsemani (p. 121). Il titolo del commento “cammino di libertà” è ampiamente giustificato dalla prospettiva in cui l’Autore, fedele interprete di San Benedetto, spiega il distacco dalla volontà propria e la profonda coscienza della propria fragilità che accompagna il cammino dell’umiltà con tutti i suoi aspetti dolorosi: è proprio l’esperienza personale, concreta, che suggerisce all’Autore di consigliare l’attenzione del monaco alla presenza del Salvatore, momento per momento, per raggiungere il traguardo della maturità, ma senza lasciarsi vincere dall’amarezza nell’accogliere le umiliazioni e rimanendo sereni di fronte alla consapevolezza che l’amore vero consiste nel “riconoscere che non so amare” (p. 189).
Spesso i capitoli della Regola dedicati alla liturgia sono un po’ trascurati dai commentatori, dato che l’ordo liturgico è mutato. Invece con acutezza e profondità vengono qui evidenziate le ricchezze spirituali di alcuni particolari, come il cantare l’alleluia o il fare uso di testi dall’Apocalisse. È evidente che l’Autore ha vissuto e vive la bellezza della vita monastica come “il grande salto nelle braccia di Dio” che consente di accogliere il suo dono di grazia, di vivere umilmente il combattimento quotidiano alimentando il desiderio e la ricerca del Signore. Fanno riflettere profondamente certe asserzioni: “la vita monastica, se è vissuta in profondità, finisce per risvegliare nel cuore del monaco un’infinita compassione, che non viene da lui, per tutta la creazione... Discernere ciò che ci anima veramente non è facile: siamo animati dalla nostra affettività o dalla nostra compassione? San Benedetto in questo cap. 51, offre al monaco un solo criterio: affidarsi... al proprio abate” (pp. 404-405). Leggere questo commentario, che scaturisce dalla contemplazione e dall’esperienza di vita aiuta veramente a cogliere le ricchezze spirituali della Regola anche nelle sue espressioni che parrebbero secondarie e a metterne in luce l’attualità e la sapienza evangelica come lievito non solo per l’ambito monastico, ma anche per chi vive nel mondo.

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