La gioia in Dio
Le
consolazioni più elevate sono quelle della preghiera, posto che essa sia
concepita come si conviene. A tale proposito, Rancé enuncia degli eccellenti
princìpi:
“Abbiate
cura di non fare consistere questa preghiera in una speculazione arida e
destituita da quello spirito che ne deve fare tutto il merito e tutta la forza,
e senza il quale essa non saprebbe trovare né accoglienza né accesso presso
Dio, al quale è offerta… Fate invece che la vostra preghiera sia la voce e il
grido del vostro cuore, … o piuttosto che lo Spirito Santo lo formi lui stesso
mediante le sue operazioni divine… Perché lo spirito di Dio è libero…,
abbandonatevi al movimento che vorrà donarvi… Consegnategli tutta la
disponibilità del vostro uomo interiore e seguite con una perfetta semplicità
l’impulso del suo spirito” [18].
Più
avanti, con termini simili a quelli di san Gregorio e di san Bernardo, ma che
tradiscono inoltre un’esperienza personale o, in ogni caso, un autentico
fervore, Rancé descrive il “felice momento” in cui l’anima è elevata a una
preghiera pura, in presenza di Dio:
“Essa
non guarda che lui, non conosce che lui; tutto gli sfugge e scompare, fuori da
quella bellezza che possiede e da cui è posseduta; quella bellezza, intendo
dire, che l’attira e la rapisce senza fine mediante la potenza del suo fascino
infinito, che la rende incapace di arrestarsi anche solo un momento e di
sospendere la propria azione, e che, impedendole di avere alcun ritorno né
alcuna riflessione su sé stessa, fa che essa ignori e che non sappia ciò che
accade in lei, fino ad accorgersi che il suo stato è l’effetto dell’eccellenza
della sua preghiera… [19].
“È
di questa orazione che parlava il Profeta, quando si è servito di queste
parole: ‘Inebriabuntur ab ubertate domus tuae, et torrente voluptatis tuae potabis
eos’ [20] [‘si saziano dell’abbondanza della tua casa e li disseti
al torrente delle tue delizie’]. C’insegna che Dio si dona e si effonde nelle
anime con tanta abbondanza, effusione e pienezza, che si potrebbe dire che esse
abbondano delle sue grazie e dei suoi favori, e che trovandosi in una specie di
obnubilamento e di sonno causati da questa santa ebbrezza, esse dimenticano
ogni cosa e persino sé stesse, e non conservano più sentimento che per gustare
le dolcezze delle sue ineffabili comunicazioni… [21].
“Infine,
un’anima che è innalzata dall’ardore e dalla vivacità della sua preghiera, e
come sprofondata nel seno di Dio, trova in questo inesauribile abisso ogni tipo
di beni delle consolazioni infinite; essa si lascia trasportare dal peso del
suo amore, segue la violenza e l’impeto della sua attrazione [22]; tutti i suoi
desideri sono soddisfatti; essa non pensa, non vuole altro che la felicità di
cui gioisce, e tutto ciò che vi è d’estraneo è al suo sguardo come se non
esistesse” [23].
[18] Cap. XI, q. 1, t. II, p.
362 ; e cap. XI, q. 4, p. 384.
[19]
Cfr. San Bernardo, Sup. Cant., 79, 1,
S. Bernardi opera, II, Roma 1958, p.
272; e Cassiano, Conf., 9, 31, coll. “Sources chrétiennes”, 54, p. 66.
[20] Sal 35,9.
[21]
I temi della “santa ebbrezza” e del “sonno vigilante” sono frequenti nella
tradizione, come mostrano le testimonianze che ho raccolto sotto i titoli “Sobre ivresse”, in La liturgie et les paradoxes chrétiens, Parigi 1963, pp. 37-58, e “Lectulus. Variazioni su un tema biblico
della tradizione monastica”, in C. Vagaggini (cur.), Bibbia e spiritualità, Roma 1967, pp. 417-436.
[22]
L’idea che occorre sostituire “il peso dell’amore” al peso del peccato si trova
in san Gregorio Magno; in L’amour des lettre
set le désir de Dieu, Parigi 1957, pp. 34-37, e in La spiritualité du moyen âge, Parigi 1961, pp. 25-42, ho citato dei
testi. Cfr. pure M. Walther, Pondus, Dispensatio, Dispositio. Worthistorische Untersuchungen zur Frömmigkeit
Papst Gregors des Grossen, Lucerna 1941.
[23] Cap. XI, q. 7, pp. 405-407.
[Dom Jean Leclercq O.S.B., “La joie dans Rancé”, Collectanea
Ordinis Cisterciensium Reformatorum, 25 (1963), pp. 206-215 (qui pp. 210-211),
trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. / 3 -
segue]