Siete
così presenti a quel che costituisce la sostanza della nostra vita che non
esito a rendervi partecipi della felicità di avere celebrato il Natale nel seno
della nostra famiglia monastica. Vorremmo farvene condividere il sapore. Come
esprimersi? Vi è la Notte, Nox sancta,
il 25 dicembre; c’è il nostro presepe (come a casa vostra), lo scampanio
annunciante i solenni mattutini meticolosamente preparati; vi sono la Messa di
mezzanotte, la Messa dell’aurora e quella del giorno. Così accade in tutte le
abbazie sorelle in cui monaci e monache ascoltano le letture e rispondono
riempiendo la notte con i loro canti. Al primo notturno le letture del mattutino
sono quelle dell’Antico Testamento che predicono l’avvento di un salvatore, e
al secondo notturno ascoltiamo Papa san Leone Magno, del secolo V, dirci attraverso
la voce del lettore queste parole ancora fresche: «Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! […] Riconosci, cristiano, la tua dignità […], reso partecipe della natura divina».
Che audacia in queste parole che ci raggiungono in questa notte sin nel più
profondo dell’anima!
Tuttavia,
credete forse cari amici che una volta spenti i ceri e deposti gli ornamenti,
si arrestino i fasti delle nostre grandi solennità? Senza dubbio, nel suo
dispiegamento esteriore, la liturgia deve segnare una pausa; ciò nonostante la
grazia soprannaturale infusa mediante gli splendori del rito perdura nelle
anime. Essa è un dono più ineffabile e più prezioso di tutte le manifestazioni
della cultura religiosa. Questa grazia è invisibile agli sguardi degli uomini. È
una specie di miracolo interiore. È di essa che vi vorrei dire qualche parola.
Natale
non appartiene al passato: bisogna viverlo per tutta la vita. È il mistero
della generosità divina che celebra la generazione eterna del Figlio nel seno
del Padre e l’uscita al di fuori del
Figlio che diventa simile a ciascuno di noi: Dio discende presso di noi
affinché noi saliamo presso di lui, o piuttosto, come dicono i Padri della
Chiesa, Dio si è fatto uomo affinché l’uomo si faccia Dio. Questo Figlio
amatissimo rivive in noi, mediante la comunicazione della sua grazia e della
vita intima che custodisce il suo Cuore di Uomo-Dio. Ecco perché vi è una gioia
misteriosa del Natale che non passa mai. La nascita in noi del Figlio di Dio
deve metterci in uno stato di rinascita continua e di fioritura interiore, un
risveglio, un dispiegamento progressivo – che sia questa lo spirito infantile?
–, per fare di noi, lungo tutta la vita, dei figli che crescono sotto lo
sguardo del loro Padre.
Occorre
quindi fare attenzione a non rinchiudere ermeticamente la pietà filiale di Gesù
negli anni trascorsi a Nazareth. Si noti che è durante la sua Passione che lo
slancio d’amore del Figlio verso il Padre assume tutta la sua ampiezza: «Bisogna che il mondo
sappia che io amo il Padre […]. Alzatevi, andiamo via di qui. […] Padre, è venuta l'ora: glorifica il Figlio
tuo […]. Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Gv
14,31 - 17,1; Lc 23,46). Ugualmente,
se Resurrezione e Ascensione segnano il ritorno del Figlio nella gloria del
Padre, vi è che questa risalita verso il Padre esprime la relazione essenziale
che dà tutto il suo significato alla vita del Redentore.
Gesù
è così essenzialmente e perfettamente Figlio in ogni istante della sua vita,
che nascita, ritrovamento nel Tempio, morte e risurrezione, non fanno che
svelare un aspetto di questo mistero unico: vi è continuamente perfetta e
splendida unità fra il Generato eterno, il Bambino di Betlemme, la vittima
sulla Croce e il Figlio risuscitato dai morti.
Ecco
perché, cari oblati, v’invito a prolungare in tutta la vostra vita la grazia
del Natale, considerando questo mistero non come un avvenimento transitorio, ma
come una costante che imprime a tutta la vostra esistenza il suo significato e
la sua unità profonda. Nessun pensiero, nessuna azione non può che passare da
un asse attorno al quale l’essere si organizza e rimane diritto. Tale asse è la
Lettera agli Ebrei, che interpretando
il Salmo 39 come il pensiero segreto
del Bambino che sta per nascere, ce ne fornisce la chiave in una visione
meravigliosamente immobile e stabile che durerà tutta la vita: «Entrando nel mondo,
Cristo dice: “Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10, 5-7). A dodici
anni, egli risponde a sua madre che lo cerca da tre giorni: «Non sapevate che io
devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Che bella unità potremmo dare alla nostra esistenza,
semplificandola e accordandola a questa grande linea retta e pura che collega
la pietà del Figlio a Colui da cui procede ogni bontà!
[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), Le mystère de Noël continue,
6 gennaio 1997, in Benedictus.
Tome III. Lettres aux oblats, Éditions
Sainte-Madeleine, Le Barroux 2011, pp. 154-156, trad. it. di fr. Romualdo
Obl.S.B.]