martedì 12 gennaio 2010

Una lettura teologica della Regula Benedicti / seconda parte

I monaci nascono nel battesimo, come ogni cristiano nasce nel battesimo. E sono quindi tutti intesi a vivere la grazia battesimale per la quale sono associati radicalmente ai comuni cristiani. Consapevoli, non di sovrastrutture ma della essenzialità. Ho l’impressione che sia nella teoria, sia nella prassi della vita religiosa in generale, non raramente si trascurano i principi essenziali e normali per focalizzare l’attenzione, non dico a ciò che è periferico, ma a ciò che è più eccezionale e in fondo più secondario.
Credo che quando in un monastero si osservano i dieci comandamenti e si mangia da cristiani, il monastero va bene e la vita spirituale è un trionfo. Perché non è facile per nessuno osservare i dieci comandamenti e alla difficoltà dell’osservanza dei dieci comandamenti non è sottratto nessuno, nemmeno il Papa! Tutti i cristiani fanno fatica a osservare i dieci comandamenti e se si osservano si sta correndo sulla strada della perfezione; perché c’è il rischio che tutti un po’ abbagliati dalla mèta dei consigli, si trascurino i comandi; mentre penso che i consigli siano la riuscita dei comandamenti. Più uno vive i comandamenti, li matura dentro di sé e più si trova sulla strada dei consigli, ma ciò che conta sono i comandamenti. Che non avvenga per esempio che ci sia un’alta e perfetta regola sulla contemplazione mistica e poi si coltiva il risentimento, non si conceda il perdono. Questo fa parte dei comandamenti, cioè di quegli elementi elementari che sono propri della vita cristiana. Ecco l’importanza alle radici. Per questo la vita monastica trova le sue radici precisamente nel Vangelo. La grazia del monastero è la grazia evangelica. Non che si porta a perfezione in maniera unica e assoluta nel monastero, ma che si porta a perfezione in maniera singolare nel monastero. Perché la stessa grazia che tutti condividiamo e che è dono dello Spirito santo, che è il dono del corpo e del sangue di Cristo è fatta ai coniugi cristiani i quali tendono alla perfezione evangelica secondo lo stile della vita sponsale, che ha a suo suggello, impulso sacramentale il sacramento del matrimonio.
Per evitare fraintendimenti e illusioni catastrofiche: che non avvenga che si dissipi la vita nell’illusione dei consigli che non hanno a fondamento i comandamenti; questo sarebbe veramente lo sfacelo.
La seconda cosa: mangiare da cristiani! Vuol dire mangiare come le persone normali, le quali sanno che il corpo è un dono di Dio, esprime lo spirito e il nutrimento è per la libertà, per la maturazione, per la carità, per la convivenza e la comunione.
Che non avvenga che ci siano digiuni che estenuano il corpo e rendono pettegola, insofferente e isterica l’anima. Allora ne verrebbe l’impigrimento e quando c’è l’impigrimento c’è la mancanza di carità e l’egoismo. Anche lì c’è la discretio. Allora, certo: la sobrietà; ma insieme anche al gusto. Nella vita della beata Caterina da Pallanza, una delle fondatrici delle Romite ambrosiane, si legge che per fare penitenza copriva di cenere il pesce. Ma al di là dell’intenzione, che io rispetto, questa è un’offesa non tanto al pesce - che è morto e non se ne accorge -, quanto invece al Signore che ha fatto i pesci e al tuo stomaco. Avere uno stomaco che funziona è segno che si è nella condizione di far funzionare lo stomaco degli altri. Far funzionare lo stomaco degli altri è la condizione per una vita comunitaria serena o quanto meno umana e vivibile; altrimenti non è possibile.
Il valore della Regula Benedicti è la normalità.
La difficoltà vera della prassi è la difficoltà di essere cristiani. Tutto è inteso a far vivere queste virtù che naturalmente, poiché mosse dallo Spirito santo, non hanno un termine; ecco perché parlavo di maturazione. La vita monastica è attraversata dalla passione verso Gesù Cristo - vedremo l’impostazione cristologia, quasi cristocentrica, della Regula Benedicti -, è attraversata da questo desiderio di crescere a partire dai fondamenti e di arrivare alla perfezione cristiana. E infatti se noi la scrutiamo con attenzione - la Regula Benedicti non si pone come raffinata nell’elaborazione teorica, che non c’è -, ci sono invece dei dati precisi, che direi sono i dati evangelici fondamentali.
- Elementi principali nella Regula Benedicti.
- Elementi sullo sfondo della teologia cristiana, dell’esperienza della dottrina cristiana.
- Commento analitico.
Il primo elemento fondamentale che unifica la Regula Benedicti è l’amore a Cristo. I monaci chi sono? “His qui nihil sibi a Christo carius aliquid existimant” (RB 5,2), espressione che ha dentro di sé qualcosa di affettuoso. Sono coloro i quali ritengono “che non hanno niente più caro di Cristo”. Il monaco è colui a cui nessuno e nulla sta più a cuore di Gesù Cristo. È uno al quale Cristo sta ai vertici dell’affetto. Il monaco è uno che non ama nessuno più di Gesù Cristo. La ragione del monaco, l’anima del suo impegno, la forza del suo vivere, l’impronta della sua esistenza è Gesù Cristo.
Questa sottolineatura affettiva fa sì che Cristo emerga non tanto come dottrina, ma come persona. Non si può avere cara una dottrina, si ha cara una persona. Certo una dottrina la si può condividere, perché è vera, piace, è consona; la si può professare, se ne fa oggetto di studio e d’insegnamento. Una persona è qualcosa di più.
L’amore totale a Cristo non è forse ciò che distingue il cristiano? Chi è il cristiano? Non è forse uno per il quale Gesù Cristo è tutto? E quindi ogni cristiano può essere definito “qui nihil sibi a Christo carius aliquid existimant”.
Proprio perché Gesù Cristo rappresenta l’attrattiva più profonda unificante del monaco, allora quale sarà la sua preoccupazione fondamentale? Di conoscere Gesù Cristo. Ecco, allora: non è tanto di conoscere la Regula Benedicti di per sé, ma in quanto è strumento per fissare l’attenzione della mente e la potenza affettiva del cuore su Gesù Cristo. Abbiamo obiettivamente l’indicazione per il monaco di aprire il grande libro della sua vita monastica, che non è la Regola, ma la Scrittura, la Parola di Dio che si unifica in Gesù Cristo. Ecco allora che acquisisce tutto il suo significato la lectio divina come contatto vivo con la Parola di Dio, che è Gesù Cristo, proprio perché Cristo è colui che si ama assolutamente più di tutti, assolutamente più di tutto. C’è l’indicazione a meditare molto sulle lettere di Paolo e sul Vangelo di Giovanni perché esprimono precisamente il mistero di Cristo in quanto è termine di attrattiva. Pensiamo al Vangelo giovanneo tutto fondato sulla carità che prima di essere condivisione fraterna è passione cristologica e pensiamo a Paolo per il quale Cristo è tutto, Cristo è vivere, per il quale Paolo è disposto a perdere tutto e che ci parla della bellezza e preziosità di Cristo e del suo mistero, che ci parla di profondità, di altezza, di larghezza del mistero di Cristo.
C’è una parentela fra san Tommaso d’Aquino e san Benedetto. Dai cinque ai quattordici anni il primo fu monaco a Montecassino. San Tommaso commentando la Lettera ai Colossesi dice: “Come uno il quale è alla ricerca della scienza, se trova un libro che la contiene tutta altro non desidererebbe che di conoscere quel libro, così noi altro non dobbiamo desiderare che di leggere il libro che è Gesù Cristo perché nel libro che è Gesù Cristo è contenuta tutta quanta la sapienza”. Sappiamo dei colloqui fra san Tommaso e Gesù Cristo, e dalla biografia scritta da Guglielmo come alla fine della vita egli proclamava che per Gesù aveva vegliato, aveva studiato, aveva insegnato. Altro premio non desiderava che lui. Aliam mercedem non concupivit.
Siamo in perfetta sintonia con questa presentazione di Cristo nella vita monastica: nessuno deve stare più a cuore di lui, che è poi la definizione della vita cristiana. Non è pensabile che un cristiano possa amare qualche cosa di più di Gesù Cristo; neanche lo sposo deve amare la sposa più di Gesù Cristo, neanche la sposa può amare lo sposo più di Gesù Cristo. Non si amano i genitori, i figli più di Cristo, ma in Gesù Cristo. Gesù ha chiaramente affermato l’assolutezza dell’affezione della scelta nei suoi confronti di fronte al padre, alla madre, ai figli, a tutto perché Egli veramente deve rappresentare il centro dell’attrattiva.

[Trascrizione di una conferenza spirituale del prof. don Inos Biffi presso il Monastero San Benedetto di Bergamo / 2 - continua]

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