giovedì 5 gennaio 2023

Storia di un’amicizia... benedettina

Quando penso a Benedetto XVI mi vengono allo spirito spontaneamente due versetti dell’epistola di san Paolo agli Efesini, quelli che evocano la capacità di “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza”.
Benedetto XVI è stato grande nella sua carità, quindi vorrei raccontarvi la storia di amicizia tra questo grande uomo e la nostra comunità.
La prima menzione del nome di Ratzinger nelle nostre cronache fu fatta in occasione di una conferenza svolta da Jean Madiran al noviziato, il 22 settembre 1984, su un documento del cardinale sulla teologia della liberazione e le sue radici marxiste. Questo intervento è stato considerato a tal punto importante dai monaci da essere annotato. Da quella data, il nome del cardinale ricorre più e più volte nella storia della comunità.
Solo tre mesi dopo, infatti, Dom Gérard fu convocato dal cardinale Ratzinger, che lo accolse con grande benevolenza, manifestandogli il suo fermo desiderio che la situazione canonica delle comunità tradizionali fosse migliorata.
Non posso fare a meno di notare che fu lui a prendere l’iniziativa: abbiamo solo risposto alla sua chiamata. Ciò che mette il cardinale dalla parte di Dio, la cui Provvidenza ha sempre l’iniziativa.
Ed è certo che egli ha lavorato con tutte le sue forze per evitare la rottura tra Roma e il mondo tradizionalista. Ha ricevuto mons. Lefebvre in molte occasioni e ha redatto gli accordi del maggio 1988.
Quando mons. Lefebvre ritirò la firma di questo accordo, fu ancora il cardinale Ratzinger che, durante un’udienza privata con Papa Giovanni Paolo II, ottenne che la Santa Sede concedesse alle comunità che desideravano rimanere unite a Roma (compresa la nostra) l’uso, in privato e in pubblico, dei libri liturgici in vigore nel 1962, per i membri delle comunità e quanti frequentavano le loro case.
Furono inoltre ammessi la possibilità di fare appello a un vescovo per conferire gli ordini, il diritto per i fedeli di ricevere i sacramenti secondo i libri del 1962 e la possibilità di sviluppare lo slancio pastorale attraverso opere di apostolato, conservando i ministeri attualmente assunti (motu proprio Ecclesia Dei).
Con questo testo giuridico decisivo, il cardinale Ratzinger è diventato membro fondatore delle nostre comunità, una delle cui ragioni di esistenza è la celebrazione della liturgia secondo i libri antichi.
Gli atti di amicizia non si sono fermati nel 1988. Andando oltre il quadro canonico, il cardinale Ratzinger ha accettato di scrivere una lettera d’introduzione alla riedizione del messale tradizionale per i fedeli, che ha fatto digrignare alcuni denti episcopali francesi e ha scatenato una tempesta mediatica a causa della traduzione di una delle preghiere del Venerdì Santo.
Papa Benedetto XVI risolverà la difficoltà dando un tono più irenico a questa preghiera fatta per il popolo ebraico, pur mantenendo l’intenzione fraterna della sua conversione.
Fu ancora il cardinale Ratzinger a lavorare per un incontro tra Giovanni Paolo II e la comunità, che ebbe luogo nel settembre 1990 e durante il quale Dom Gérard poté fare conoscere le difficoltà di applicazione del motu proprio Ecclesia Dei.
Il cardinale Ratzinger cercherà allora, con l’aiuto delle persone riguardate, di trovare delle soluzioni pratiche attraverso statuti specifici. Già nel 1991 il cardinale propendeva per la soluzione di un possibile ricorso da parte di tutti i fedeli ai loro vescovi per ottenere la celebrazione della messa tradizionale.
Inutile ricordare che in un successivo 7 luglio 2007, vedrà la luce un documento pacificatore di Papa Benedetto XVI (Summorum Pontificum), in vista di una pace liturgica rispettosa delle diverse aspirazioni dei fedeli.
Noto una menzione affascinante, che mostra la delicata onestà del cardinale: invitò Dom Gérard a visitare i vescovi per praticare la reciproca correzione fraterna. Sottoporre le nostre rispettose osservazioni e ascoltare le loro.
Malgrado la tempesta mediatica dovuta al Messale del Barroux, il cardinale ha accettato con gioia di fornire, ancora una volta, una prefazione alla ripubblicazione di un secondo libro di monsignor Klaus Gamber: Rivolti al Signore.
Fu anch’essa l’occasione di reazioni molto forti in Francia, poiché questo libro espone con rigore scientifico i fondamenti della celebrazione della Messa rivolta verso Oriente (simbolo di Cristo, sole nascente) piuttosto che verso i fedeli.
L’amicizia tra il cardinale e la comunità culminò nella sua visita del settembre 1995. Ci teneva nonostante resistenze di ogni tipo. Qualche autorità ecclesiastica gli aveva chiesto di non venire nelle date previste a causa della vicenda di monsignor Gaillot e delle elezioni; rinviò la sua visita di qualche mese, ma venne.
Ricordo molto bene la sua visita. Giovane novizio, mi trovai faccia a faccia con lui e il suo segretario, monsignor Josef Clemens. Arrivarono da Roma in auto (il loro aereo era stato cancellato a causa di uno sciopero) e si riposavano un po’ seduti su un baule.
Ho conservato un ricordo indimenticabile della sua accoglienza ufficiale nell’abbaziale: processione, canto e preghiera, e in conclusione una benedizione pontificale. Le sue esortazioni erano tutte incentrate sulla vita interiore, così vitale per la vita della Chiesa.
Al termine della Messa, si è immerso nella folla e dopo il pranzo coronato dalle acclamazioni carolingie, ha avuto un incontro con i sacerdoti diocesani che lo hanno assalito con le loro domande. La sua parola d’ordine era, come dubitarne, soprannaturale: pazienza e preghiera. Penso che sia ancora di attualità.
Nel 1998, in occasione del decimo anniversario del motu proprio Ecclesia Dei, presiedette un convegno a Roma, non esitando a dire che le difficoltà per la sua applicazione erano dovute a un’errata comprensione dei testi del Concilio Vaticano II, ma che non si doveva perdere la pazienza e soprattutto occorreva mantenere la fiducia attingendo dalla liturgia la forza necessaria per una testimonianza di fedeltà cattolica.
In occasione della morte di Dom Gérard, inviò una lettera molto toccante in cui si è rivelata la sua amicizia. Ha ricordato che Dom Gerard aveva trascorso “la maggior parte della sua vita rivolto verso il Signore, lodando Dio e guidando i suoi fratelli nella preghiera”.
Rendeva grazie “per l’attenzione di Dom Gérard alla bellezza della liturgia latina, chiamata ad essere sempre più fonte di comunione e di unione nella Chiesa”.
Passando a ricordi più personali, ecco il resoconto di alcuni incontri.
Dopo la mia elezione, nel 2004, sono andato a presentarmi al cardinale, che mi ha ricevuto con immensa benevolenza. Nonostante la mia giovinezza, l’inesperienza e le mie domande bizzarre, non mi ha mostrato altro che rispetto e incoraggiamento.
L’ho rivisto quando era Papa, durante un’udienza generale: è stato molto simpatico, perché l’ufficiale che doveva presentarmi ha perso tempo a cercare il mio nome sulla lista e Papa Benedetto XVI lo ha preceduto chiamandomi “il padre abate del Barroux”, arrotondando la “r” in stile germanico.
Poi mi chiese notizie delle monache, della comunità, di Dom Gérard, il suo “grande amico”. La sua gioia era di una sincerità contagiosa, e in sua presenza ci si dimenticava dei fotografi.
L’ho incontrato un’ultima volta al Mater Ecclesiae. Era molto lucido. Nella conversazione, non una parola di troppo, ma un pensiero diretto espresso chiaramente. Ciò che mi ha colpito di più in quest’ultimo colloquio è stata la purezza del suo animo. Avvicinandomi a lui, mi sentivo come se stessi scaricando tutte le mie preoccupazioni ed entrando nella luce. Ricordo ancora il suo gesto di benvenuto.
Per la Chiesa, Benedetto XVI rimarrà una pietra angolare ben inserita nella Casa del Signore, la Domus Domini. Da diversi anni, mi appoggio sulle sue udienze generali per tenere conferenze spirituali il primo venerdì del mese. C’è sempre una dottrina sicura, radicata e molto attuale.
Un padre mi ha ricordato che è stato, come teologo, un grande artigiano, prima del Concilio, del rinnovamento degli studi teologici, attraverso il ritorno ai Padri della Chiesa e ai grandi scolastici. Durante il Concilio, don Joseph Ratzinger si è battuto per un rinnovamento della teologia fondamentale, specialmente sul tema della Rivelazione e del rapporto tra Scrittura e Tradizione.
Dopo il Concilio, ha adottato un atteggiamento più difensivo contro le derive legate alla rivoluzione del maggio ‘68. Con la fiducia di san Paolo VI e soprattutto di san Giovanni Paolo II, egli ha contribuito a una serie di documenti magisteriali, dando un’interpretazione chiarificatrice dei testi del Concilio Vaticano II.
La storica intervista a Vittorio Messori, Rapporto sulla fede, e il discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, hanno fatto la storia.
Infine, credo che saremo tutti unanimemente d’accordo nel salutare la sua luminosa umiltà unita a un bel coraggio: dopo la pubblicazione della Dominus Jesus, le reazioni violentissime, lungi dallo spaventarlo, lo avevano rafforzato nell’urgenza di questo tipo di richiamo.
Fu anche uno dei primi ad avviare la lotta contro gli abusi, prova della sua lucidità. Infine, concludo ricordando la profondità della sua dottrina fondata sul rapporto tra fede e ragione, sull’“‘ermeneutica della riforma’, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato”.
Ha avuto la saggezza di proporre alla Chiesa di puntare tutto sul solido fondamento delle virtù teologali con le sue tre encicliche: Deus caritas est, Spe salvi e l’ultima che ha fatto firmare dal suo successore, Papa Francesco, Lumen Fidei.
Che Dio si degni di accoglierlo nella sua pace e nella sua luce! Che egli preghi per noi e ci benedica dall’alto del cielo!

[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, “Histoire d’une amitié... bénédictine”, L’Homme Nouveau, 4 gennaio 2023, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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