Anzitutto, dopo tutti i passaggi canonici necessari, il nostro monastero è stato eretto come una casa autonoma. In altre parole, la nostra comunità monastica può ora volare con le proprie ali. Ma, più profondamente, cosa significa “essere autonomi”? Una parola di Gesù nel Vangelo di san Giovanni ci aiuta a rispondere: “Padre, come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo”. Cristo parla qui dei suoi Apostoli, ma ciò riguarda anche i monaci, che negli ultimi 18 anni sono stati inviati per la fondazione di la Garde. Siamo stati certamente inviati su richiesta del nostro superiore, ma in realtà è stato il nostro Padre del Cielo a comandarci di stabilire la vita monastica benedettina in questo luogo. Gesù aggiunse: “Padre, il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me”. Per nostro Signore, non si tratta solo di essere inviati, ma di essere una testimonianza credibile dell’amore del Padre per noi; ancora, dobbiamo aiutare tutti coloro che ci circondano a capire quanto il Padre li ama Lui stesso! Proprio questa è l’autonomia: essere più radicati nello spirito di san Benedetto perché permei gradualmente tutta la nostra esistenza; avere questa sete nel cuore che il Padre sia in noi e che noi siamo in Lui; essere fratelli, che attraverso le gioie e le croci, le offese e il perdono, si ritrovano sempre più completi nell’unità; essere una comunità per la quale la frase “non preferire assolutamente nulla a Cristo” equivale a questa libertà di consegnare la vita ai nostri fratelli, che sono diventati, in qualche modo, nostri amici. “Essere autonomi” significa scegliere, insieme e una volta per tutte, di dedicarsi all’amore come Cristo; chiedergli di investirci così tanto del suo amore, che ognuno di noi diventi una prova evidente, manifesta e percettibile, che il Padre ci ama e che noi amiamo il Padre.
Oltre all’autonomia, il nostro monastero è stato anche elevato alla dignità di abbazia. Sì! Una grazia speciale e un onore avvolgono ora questo luogo; e a questo privilegio insigne, è opportuno che gli abitanti di questo monastero rispondano con la vera grandezza. Ora, come tutti sappiamo, c’è una grandezza unica per Gesù Cristo: quella della carità. Ecco perché Egli dice ancora: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”. Il rango di abbazia ci stabilisce, ci fonda e ci radica su questa terra, affinché da essa emani una certa luce sulla Chiesa e sul mondo. A quale fine e per quale scopo? Gesù ce l’ha appena detto: che portiamo l’unico frutto che rimarrà qui e nell’eternità beata, il frutto della carità. Questa carità è in Cristo Gesù, ed è in Lui, in una comunione sempre più profonda con Lui, che la troveremo. Se cerchiamo di avvicinarci a Cristo, di farcelo l’Amico per eccellenza, allora Egli illuminerà i nostri cuori, cercherà e finalmente guadagnerà la nostra anima, per riempirla di questa gioia che nessuno ci potrà togliere!
Infine, il terzo favore accordato dal “Padre della Misericordia” alla “nostra Saint-Marie” è la nascita – tra i fratelli – di un abate. Nel cuore del Padre Abate, dall’età di appena tre giorni, le parole di Gesù ascoltate poc’anzi possono e devono risuonare: “Ti ho scelto”, attraverso la scelta dei tuoi fratelli; ricordati sempre che nessuno si arroga questo onore, ma si è chiamati a esso solo da Dio, per mia pura misericordia. Ora che sei abate, da ciò che soffrirai, imparerai l’obbedienza; e reso ogni giorno un po’ meno imperfetto se sei fedele alla mia grazia, diventerai per la tua comunità un piccolo strumento nelle mie mani, perché possiate camminare tutti insieme, e con gioia; perché un giorno possiate penetrare oltre la tenda, dove io, Gesù, sono entrato per voi come precursore; perché vi unite a me nel grembo del Padre di ogni gloria! Sono convinto che ci sia una gioia semplice e reale nell’amare le persone; guardate Gesù nel Vangelo! C’è una gioia profonda nell’andare verso la comunità dei propri fratelli, con amore. Non dubito che talora sia costoso, ma una volta compiuto il passo, il risultato è infallibilmente un’esperienza di gioia: gioia, perché zoppicando abbiamo cercato di amare come Gesù; gioia di avere ricevuto la grazia immeritata per evitare la ricerca di sé e l’egoismo. Decisamente, è vero che c’è più gioia nel dare che nel ricevere.
Cari amici, siamo alla fine di questo sermone di circostanza, e mi rendo conto che nel raccontare i tre favori ricevuti dalla nostra comunità, mi sono ripetuto: carità, carità, sempre carità! La mia insegnante di francese, che aveva in santo orrore le ripetizioni nei nostri saggi, mi avrebbe colmato di rimproveri se fosse stata qui oggi. Un po’ come i discepoli di san Giovanni lo rimproveravano: “Maestro, perché dici sempre amatevi gli uni gli altri?” Così, riparandomi e nascondendomi dietro l’amato apostolo del Signore, oso dirvi a mia volta: “Amiamoci l’un l’altro. Perché questo è il precetto del Signore; che solo lo si compia, questo basta!”.
[Dom Marc Guillot O.S.B., abate del monastero Sainte-Marie de la Garde, La lettre aux amis, n. 37, 19 marzo 2021, pp. 2-3, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]