[Nel corso di questi anni ci siamo dedicati in varie occasioni della monaca reclusa di origini statunitensi suor Maria Nazarena O.S.B. Cam. (Julia Crotta, 1907-1990), auspicando che si diffonda la conoscenza e l’amicizia spirituale con questa straordinaria figura di santità, tipo esemplare di “Madre del deserto” del secolo XX, alla quale sempre ci si accosta con un senso di vertigine umana e spirituale, e della quale invochiamo l’intercessione. Ci sia permesso di ricordare i nostri precedenti interventi: nel 2010 qui, nel 2013 qui, nel 2015 qui e qui. La nostra prima lettura riguardante Nazarena fu il libro di padre Louis-Albert Lassus O.P. (1916-2002), Nazarena, Une recluse au coeur de Rome. 1907-1990, Editions Sainte-Madeleine, Le Barroux 1996. Siamo dunque oltremodo lieti di presentare l’edizione italiana di questo testo (qui di seguito l’introduzione, pp. 7-11), reso amorevolmente disponibile nella collana Laboratorio della Fede per conto dell’Eremo della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano (Lucca): Louis-Albert Lassus O.P., Suor Nazarena reclusa, Edizioni Kolbe, Seriate (Bergamo) 2017. Ne caldeggiamo vivamente la lettura e la diffusione. Copie del libro possono essere ordinate scrivendo all’Eremo della Beata Vergine del Soccorso, 55034 Minucciano (Lucca), o per quantitativi maggiori scrivendo alle Edizioni Kolbe (info@centrograficostampa.it)]
Che
una giovane donna americana, amante della danza e della musica, campionessa di
pallavolo, diplomata nel Collegio Albertus Magnus di New Haven, traboccante di
vita e di amore della vita, un bel giorno abbandona la famiglia, le conoscenze,
il lavoro, le sue abitudini e la patria per andarsene come Abramo alla ricerca
di quel “qualche cosa” che segretamente la attira fortemente e del quale ignora
ancora il nome, fa gridare ai ragionatori allo scandalo e alla follia.
“Perché
questo spreco? Si poteva...” (Mc 14, 4-5).
Giulia
Crotta a trentasette anni ha finalmente intravisto la sua strada, che
concretamente troverà essere una stretta cella solitaria, un reclusorio nel
centro di Roma, nel quale vivrà per quarantaquattro anni, completamente
nascosta, ritirata, ignorata.
Prende il nome di Maria Nazarena di Gesù, senza
dubbio riferendosi al Cristo di Nazaret, che per trent’anni si è nascosto agli
occhi di tutti in questa borgata della quale sorridendo si diceva: “Niente di
buono può uscire di là”.
Appartiene a quegli esseri che non sono fatti per la
terra, perché hanno occhi troppo grandi, un cuore ipertrofico. Nessuno
spettacolo del mondo, nessuna visione, per quanto sia bella, li può attirare;
nessun amore, per quanto tenero, li può catturare.
Essi sono fatti per
l’Immenso, per l’Infinito, per Colui che solo “È”. Voi li chiamate nomadi di
Dio, pellegrini, avventurieri del Cielo. Tuttavia sono lontani dallo stimarsi e
a maggior ragione, dal disprezzare la realtà della terra, i tesori della vita,
ma come lo confessa uno di loro, San Pier Damiani questi sono dei “paradisi
troppo piccoli” per la capacità del loro essere: abbisognano del “Tutto” e per
sempre. Se non ci lasciano, ci appaiono, sicuramente, stranieri, perché vivono
altrove e se ci abbandonano, se partono sulle strade del mondo o si nascondono
nel silenzio del deserto è perché vivono il loro Esodo, in cerca del Santo
Graal, della perla preziosa, di Colui che è il Tutt’altro e al di là di tutto.
Nazarena
un bel giorno si è sentita chiamare ad andarsene, a sparire, non soltanto
entrando in un monastero “isolato”, come si dice, non soltanto vivendo da
eremita nei boschi o sulla montagna, ma di ritirarsi in un reclusorio, una
sorta di tomba, dalla quale non uscirà mai, dove nessuno potrà entrare, dove
non saranno possibili le relazioni con il mondo se non attraverso una
finestrella ricoperta di un velo spesso. Questo non vuol significare che
Nazarena ricusi i suoi fratelli, aborrisca l’umanità, si ritiri dalla sua
storia spesso così tragica ma, al contrario, ella si pone nel cuore del mondo.
Un
giorno scriverà: “Possa io realizzare il mio sogno, vivere e morire solitaria,
sconosciuta da tutti e proclamare la Buona Novella che Dio mi domanda di
gridare da questa cella, “Dio solo basta!” Da questo reclusorio, mi sarà senza
dubbio possibile di passare immediatamente al Paradiso. D’accordo. Vorrei
andarvi conducendo con me, un giorno o l’altro, tutti quelli che potrò aver
aiutato con le mie povere preghiere e la mia penitenza”.
Evidentemente
non tutti comprenderanno il gesto folle di questa donna affascinata da Dio, che
perdurerà quarantaquattro anni senza interruzione, se non un breve soggiorno in
clinica.
La maggior parte fra noi è sorpresa per la stranezza di questa vita,
per la sua grande austerità, ma anche per la gioia che invade sempre più la
nostra reclusa, una figlia dell’uomo all’apparire della festa di San Romualdo
di Ravenna [1].
Non
è un caso patologico? Non è in flagrante contraddizione con il Vangelo di Gesù
Cristo e la comunione d’amore che sarà il distintivo dei suoi discepoli? La
parabola del grano che muore e porta molto frutto...
Tuttavia
Nazarena non è un caso unico, assolutamente eccezionale nella storia.
All’inizio dell’era monastica, incontriamo uomini e donne che si sono murati
per un motivo o per un altro, “per amore, dicono, della libertà di un altro”
[2] e
nessuno ignora che nel Medio Evo, non è raro scoprire, vicino ad un monastero o
ad una chiesa parrocchiale, un reclusorio d’amore dove vive un monaco, una
monaca, un prete o un laico. Presenza silenziosa di preghiera continua, di
“Vita Angelica”, parte integrante della comunità o della parrocchia, come un
gioiello nel suo scrigno.
Ricordiamo,
per esempio, la piccola sorella d’Aelredo di Rievaux, alla quale suo fratello
dedicherà tutto un libro che è un tesoro. Ella glielo ha domandato
insistentemente per condurre in porto nella verità e nella fedeltà la sua
esistenza apparentemente contro natura, che va a schiudersi in una profonda e
radiosa felicità [3].
Nazarena
è sua sorella, dopo otto secoli, condotta da Dio attraverso i meandri, come
vedremo, alla scuola d’amore di Romualdo, il folle di Dio che, a più riprese
durante la sua vita solitaria, si è rinchiuso nel suo reclusorio per rispondere
ad una insopportabile ferita d’amore e portare a Dio il terribile secolo di
ferro quale è il suo.
Egli
ha iniziato un movimento forte e magnifico di uomini e di donne che come lui si
sono rinchiusi nella loro cella solitaria a Camaldoli, sul Monte Corona e
altrove.
Circa cinquant’anni dopo la morte dell’eremita - profeta, il suo
successore alla guida della piccola colonia di eremiti che vivono nascosti
nella montagna, ci dirà, come tra i fratelli “alcuni si elevano sulle ali della
contemplazione di Dio, all’amore della patria celeste, fissandovi gli occhi del
loro spirito e, già quaggiù, gustarono un’ineffabile dolcezza d’amore. Essi si
rinchiusero allora nella loro cella e vi rimasero fino alla morte, sostenuti
dalla grazia di Dio, in un combattimento continuo contro l’Avversario... Altri
soltanto per il tempo di due Quaresime, con lo scopo di passarlo in un silenzio
totale e in una più grande austerità di vita.
Altri
per un centinaio di giorni o ancora per un anno intero... dando una luminosa
testimonianza e rivaleggiando tra loro nell’amore di Dio, nell’obbedienza e con
tutte le virtù. Essi avevano sotto gli occhi gli esempi del venerabile
Romualdo, osservante con fervoroso degli usi e costumi del Santo Eremitaggio”
[4].
La
tradizione si è mantenuta durante i secoli presso i figli e le figlie di
Romualdo e ancora oggi, la Congregazione di Monte Corona, si onora in segreto
di molti reclusi che si ignorano, ma che permettono al nostro mondo di non
sprofondare nel nulla [5].
Nazarena
si riannoda perfettamente con questi uomini e queste donne che sono stati
chiamati a vivere letteralmente le parole di San Paolo indirizzate a chiunque
si è rivestito di Cristo nel giorno del battesimo: “La vostra vita è nascosta
con il Cristo in Dio” (Col 3, 3).
Dopo
una prova infruttuosa al Carmelo, le cui radici eremitiche avrebbero potuto
permetterle di realizzare la sua vocazione, Nazarena bussa alla porta del
monastero di Sant’Antonio il Grande, in pieno centro di Roma, sulla collina
dell’Aventino.
Grazie
alla grandezza d’animo della badessa e della sua comunità, può vivervi in
reclusione, subito a titolo privato, poi completamente incorporata nell’Ordine
camaldolese. Non si pensi che si tratti di un’esistenza larvale. La preghiera
continua, lo studio, il lavoro manuale (in certi momenti dieci ore al giorno),
la celebrazione dell’ufficio divino in nome di tutta la Chiesa del mondo e di
tutta la creazione, fa della cella di Nazarena un luogo di convegno pieno di
gioia e di angoscia e di combattimento con l’Angelo di Jahvè e con l’Angelo
delle tenebre...
Tutto
questo vissuto, giorno dopo giorno, per quarantaquattro anni. Ciò sembra
incredibile.
Ma il risultato è là: una gioia indicibile che invade tutto
l’essere di Nazarena e che fa di lei una presenza di cielo. “Dio, scrive, mi ha
dato una felicità così bella e così pura che non la cambierei per tutti i
piaceri del mondo... Sento più che mai la gioia misteriosa della Presenza e di
questa forza invincibile che mi attira lontano da tutto e da tutti per scalare
la montagna solitaria di Dio”.
Si
potrebbe pensare allora che a poco a poco vi sia la dimenticanza totale della
terra, degli uomini, della loro storia così difficile con tutto quello che
comporta di bello, di spaventoso. Non è così. Nazarena come Macario il Grande,
come San Simeone il Nuovo Teologo, come Pier Damiani o il beato Paolo
Giustiniani, suo fratello, è cosciente di essere nel cuore del Mistero di Fede
che è la Pasqua del Cristo e, in Lui e per Lui, di dare la sua vita per i
fratelli, dei quali nessuno è straniero.
Ha
per essi, sul cuore di Dio, i diritti dell’Unico; e capisco che il papa Paolo
VI e Giovanni Paolo II abbiano voluto visitarla, sedersi vicino a lei ed
affidarle il popolo di Dio. Essi conoscevano bene la sua importanza eccezionale
nella vita del mondo, come quella di tutti quegli “uomini nobili” dei quali
parla Taulero, che si sono identificati per un motivo o per un altro (penso a
Teresa di Lisieux, a Marta Robin), all’Agnello di Dio che porta e cancella i
peccati del mondo. Tuttavia potremmo ancora chiederci il motivo di questo
totale nascondimento, di questo totale ritiro dalle relazioni umane che
sembrano fare parte integrante della nostra vita di uomini e di cristiani.
Pensiamo, per esempio, che alcune suore del monastero nel quale vive la nostra
reclusa non videro il suo volto se non nel giorno della sua morte... Uno dei
miei grandi amici, eremita camaldolese, ci dirà, al termine del nostro piccolo
libro, con l’autorità dell’esperienza, la sua visione dal di dentro.
Ma
ad ogni modo, poiché ogni uomo è fondamentalmente solo e spesso anche recluso,
senza volerlo, in mezzo agli altri, Nazarena ci può aiutare a sollevare il velo
di un mistero che alcuni considerano come un’abominazione, mentre si tratta
possibilmente d’una stupefacente avventura d’amore.
[1]
Cf. L.-A. Lassus, San Romualdo eremita
profeta.
[2]
Espressione cara a San Pier Damiani, che troviamo, per esempio, all’inizio
dell’Opuscolo
XI indirizzato a Don Leon, recluso per amore
della libertà celeste.
[3]
Aelredo di Rievaulx, Regola della
reclusa, Edizioni Cantagalli, Siena.
[4]
Beato Rodolfo, 4° priore di Camaldoli, Regola della vita eremitica, in Consuetudo camaldulensis,
Firenze 2004.
Le “due Quaresime”: molte consuetudini monastiche del X e XI
secolo parlano di queste due Quaresime di monaci e di eremiti, l’una andando
dalla festa di San Martino (11 novembre) fino al Natale, l’altra corrispondente
alla Quaresima della Chiesa.
[5] La congregazione degli eremiti camaldolesi di Monte Corona è
nata nel 1524 dal desiderio del beato Paolo Giustiniani, allora superiore
dell’eremitaggio di Camaldoli, di ritrovare la purezza e la semplicità della
vita solitaria romualdiana e di donarle un nuovo slancio. La reclusione vi sarà
e vi è tuttora tenuta in onore: cf. Jean Leclercq, Un
umanista eremita. Il beato Paolo Giustiniani 1476-1528, Edizioni Scritti monastici,
Praglia. Il beato Paolo Giustiniani, Regola della vita eremitica, Edizioni dell’eremo Monte Rua, e L’opera legislativa del beato
Paolo Giustiniani concernente la santa
istituzione dei reclusi camaldolesi, in Collectanea
Cisterciensia, 1 (1992), in francese.