La morte può essere una cosa desiderabile. Non certo in quanto cessazione della vita, ma come l'avvenimento di una nascita misteriosa. Per designare il giorno della morte dei suoi figli migliori, la Chiesa impiega un termine caratteristico: Dies natalis. La morte non dovrebbe essere per noi tutti che il giorno della nostra nascita al Cielo.
C'è anche il volto tenebroso della morte e il suo corteo di sofferenza e di umiliazione. Non bisogna prendere questo alla leggera. Gesù è rabbrividito davanti alla morte del suo amico Lazaro. Ma come non desiderare l'istante che segue alla morte? Lo sbocciare dell'anima in Dio; in quel Dio cui ella non ha cessato di appellarsi con tutti i suoi voti durante il suo esilio; l'improvviso fiorire nella luce e nella pienezza! Purtroppo molti non concepiscono le gioie eterne che come l'estensione nel tempo dei nostri miseri piaceri terrestri. Contro questo impoverimento criminale della virtù della speranza, non vi è che un rimedio: la fede. Solo la fede teologale è capace di fare nascere in noi un autentico desiderio della vita eterna. Noi facciamo un credito illimitato a un Dio infinito. Cosa c'è di più coerente?
[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), meditazione, in Missel quotidien complet pour la forme extraordinaire du rite romain, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2013, p. 2397, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]