[…] C’è ancora
un altro prezioso «spazio», un’altra preziosa «fonte» per crescere nella
preghiera, una sorgente di acqua viva in strettissima relazione con la
precedente [la Parola di Dio, la Sacra Scrittura]. Mi riferisco alla liturgia,
che è un ambito privilegiato nel quale Dio parla a ciascuno di noi, qui ed ora,
e attende la nostra risposta.
Che cos’è la
liturgia? Se apriamo il Catechismo della Chiesa Cattolica – sussidio sempre
prezioso, direi indispensabile – possiamo leggere che originariamente la parola
«liturgia» significa «servizio da parte del popolo e in favore del popolo» (n.
1069). Se la teologia cristiana prese questo vocabolo del mondo greco, lo fece
ovviamente pensando al nuovo Popolo di Dio nato da Cristo che ha aperto le sue
braccia sulla Croce per unire gli uomini nella pace dell’unico Dio. «Servizio
in favore del popolo», un popolo che non esiste da sé, ma che si è formato
grazie al Mistero Pasquale di Gesù Cristo. Di fatto, il Popolo di Dio non
esiste per legami di sangue, di territorio, di nazione, ma nasce sempre
dall’opera del Figlio di Dio e dalla comunione con il Padre che Egli ci
ottiene.
Il Catechismo
indica inoltre che «nella tradizione cristiana (la parola “liturgia”) vuole
significare che il Popolo di Dio partecipa all’opera di Dio» (n. 1069), perché
il popolo di Dio come tale esiste solo per opera di Dio. […]
Però possiamo
chiederci: qual è questa opera di Dio alla quale siamo chiamati a partecipare?
La risposta che ci offre la Costituzione conciliare sulla sacra liturgia è
apparentemente doppia. Al numero 5 ci indica, infatti, che l’opera di Dio sono
le sue azioni storiche che ci portano la salvezza, culminate nella Morte e
Risurrezione di Gesù Cristo; ma al numero 7 la stessa Costituzione definisce
proprio la celebrazione della liturgia come «opera di Cristo». In realtà questi
due significati sono inseparabilmente legati. Se ci chiediamo chi salva il
mondo e l’uomo, l’unica risposta è: Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso
e risorto. E dove si rende attuale per noi, per me oggi il Mistero della Morte
e Risurrezione di Cristo, che porta la salvezza? La risposta è: nell’azione di
Cristo attraverso la Chiesa, nella liturgia, in particolare nel Sacramento
dell’Eucaristia, che rende presente l’offerta sacrificale del Figlio di Dio,
che ci ha redenti; nel Sacramento della Riconciliazione, in cui si passa dalla
morte del peccato alla vita nuova; e negli altri atti sacramentali che ci
santificano (cfr Presbyterorum ordinis, 5). Così, il Mistero Pasquale
della Morte e Risurrezione di Cristo è il centro della teologia liturgica del
Concilio.
Facciamo un
altro passo in avanti e chiediamoci: in che modo si rende possibile questa
attualizzazione del Mistero Pasquale di Cristo? Il beato Papa Giovanni Paolo II,
a 25 anni dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, scrisse: «Per attualizzare
il suo Mistero Pasquale, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, soprattutto
nelle azioni liturgiche. La liturgia è, di conseguenza, il luogo privilegiato
dell’incontro dei cristiani con Dio e con colui che Egli inviò, Gesù Cristo
(cfr Gv 17,3)» (Vicesimus quintus annus, n. 7). Sulla stessa
linea, leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica così: «Ogni
celebrazione sacramentale è un incontro dei figli di Dio con il loro Padre, in
Cristo e nello Spirito Santo, e tale incontro si esprime come un dialogo,
attraverso azioni e parole» (n. 1153). Pertanto la prima esigenza per una buona
celebrazione liturgica è che sia preghiera, colloquio con Dio, anzitutto
ascolto e quindi risposta. San Benedetto, nella sua Regola, parlando della preghiera dei Salmi, indica ai monaci: mens
concordet voci, «la mente concordi con la voce». Il Santo insegna che nella
preghiera dei Salmi le parole devono precedere la nostra mente. Abitualmente
non avviene così, prima dobbiamo pensare e poi quanto abbiamo pensato si
converte in parola. Qui invece, nella liturgia, è l’inverso, la parola precede.
Dio ci ha dato la parola e la sacra liturgia ci offre le parole; noi dobbiamo
entrare all’interno delle parole, nel loro significato, accoglierle in noi,
metterci noi in sintonia con queste parole; così diventiamo figli di Dio,
simili a Dio. Come ricorda la Sacrosanctum Concilium, per assicurare la
piena efficacia della celebrazione «è necessario che i fedeli si accostino alla
sacra liturgia con retta disposizione di animo, pongano la propria anima in
consonanza con la propria voce e collaborino con la divina grazia per non riceverla
invano» (n. 11). Elemento fondamentale, primario, del dialogo con Dio nella
liturgia, è la concordanza tra ciò che diciamo con le labbra e ciò che portiamo
nel cuore. Entrando nelle parole della grande storia della preghiera noi stessi
siamo conformati allo spirito di queste parole e diventiamo capaci di parlare
con Dio.
In questa linea,
vorrei solo accennare ad uno dei momenti che, durante la stessa liturgia, ci
chiama e ci aiuta a trovare tale concordanza, questo conformarci a ciò che
ascoltiamo, diciamo e facciamo nella celebrazione della liturgia. Mi riferisco
all’invito che formula il Celebrante prima della Preghiera Eucaristica: «Sursum
corda», innalziamo i nostri cuori al di fuori del groviglio delle nostre
preoccupazioni, dei nostri desideri, delle nostre angustie, della nostra
distrazione. Il nostro cuore, l’intimo di noi stessi, deve aprirsi docilmente
alla Parola di Dio e raccogliersi nella preghiera della Chiesa, per ricevere il
suo orientamento verso Dio dalle parole stesse che ascolta e dice. Lo sguardo
del cuore deve dirigersi al Signore, che sta in mezzo a noi: è una disposizione
fondamentale.
Quando viviamo
la liturgia con questo atteggiamento di fondo, il nostro cuore è come sottratto
alla forza di gravità, che lo attrae verso il basso, e si leva interiormente
verso l’alto, verso la verità, verso l’amore, verso Dio. Come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La
missione di Cristo e dello Spirito Santo che, nella Liturgia sacramentale della
Chiesa, annunzia, attualizza e comunica il Mistero della salvezza, prosegue nel
cuore che prega. I Padri della vita spirituale talvolta paragonano il cuore a
un altare» (n. 2655): altare Dei est cor nostrum.
Cari amici,
celebriamo e viviamo bene la liturgia solo se rimaniamo in atteggiamento
orante, non se vogliamo “fare qualcosa”, farci vedere o agire, ma se orientiamo
il nostro cuore a Dio e stiamo in atteggiamento di preghiera unendoci al
Mistero di Cristo e al suo colloquio di Figlio con il Padre. Dio stesso ci
insegna a pregare, afferma san Paolo (cfr Rm 8,26). Egli stesso ci ha
dato le parole adeguate per dirigerci a Lui, parole che incontriamo nel
Salterio, nelle grandi orazioni della sacra liturgia e nella stessa
Celebrazione eucaristica. Preghiamo il Signore di essere ogni giorno più
consapevoli del fatto che la Liturgia è azione di Dio e dell’uomo; preghiera
che sgorga dallo Spirito Santo e da noi, interamente rivolta al Padre, in
unione con il Figlio di Dio fatto uomo (cfr Catechismo della Chiesa
Cattolica, n. 2564). Grazie.
[Benedetto XVI, Udienza Generale, 26 settembre 2012]