martedì 4 febbraio 2014

La Chiesa allo stato incandescente

Come definireste un monastero benedettino?

Mi piace questa espressione di padre Bouyer: «La vita monastica è la Chiesa allo stato incandescente». E la santa di Lisieux la definisce come «l’amore al cuore della Chiesa». A questo livello, Carmelo e Regola benedettina si congiungono. La vita benedettina è al medesimo tempo contemplativa e cenobitica (comunitaria). Il mistero della Chiesa vi si rende assai visibile, fondato sull’amore di Cristo e sulla liturgia, quei due poli attorno ai quali Benedetto chiede che «non si anteponga nulla». Egli così presenta il suo ideale, «cenobiti, che vivono in un monastero, militando sotto una regola e un abate». Lo sforzo spirituale – «militando» – mette spalla a spalla tutti i membri di una famiglia fortemente strutturata e ordinata. Al termine della Regola, san Benedetto riassume: i monaci «si portino a vicenda un amore fraterno e scevro da ogni egoismo; temano filialmente Dio; amino il loro abate con sincera e umile carità; non antepongano assolutamente nulla a Cristo, che ci conduca tutti insieme alla vita eterna». Il cuore purificato si apre allora in grande. Altrove, il fine monastico è definito come una «ricerca di Dio», in cui l’umiltà – accuratamente descritta – apre «l’intelligenza alle verità che salvano».
 
[L’Eglise à l’état incandescent, intervista di Christophe Geffroy a Dom Hervé Courau O.S.B., Abate dell’abbazia Notre-Dame de Triors, in La Nef, n. 255, gennaio 2014, pp. 16-19 (p. 16), trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]

Share/Save/Bookmark