Quando alcuni
uomini si mettono in gruppo per camminare assieme, occorre che abbiano fissato in
anticipo uno scopo e un itinerario per raggiungerlo. Senza di ciò, cosa potrà
fare questo gruppo, se non segnare il passo? Segnare il passo non ha mai
suscitato né entusiasmo né coraggio. Coloro che, nel gruppo, vedono più
chiaramente lo scopo, hanno anche il dovere di ricordarlo a quelli la cui
attenzione si disperde o si addormenta.
San
Benedetto inizia dunque stabilendo lo scopo. In effetti, in quanto cristiano e
uomo di fede, in quanto psicologo e maestro nell’arte di vivere con Dio, in
quanto direttore di una scuola professionale e di un laboratorio, egli attribuisce
una grandissima importanza allo scopo. Poiché lo scopo, attirandoci a sé,
occupa i nostri pensieri e dirige tutte le nostre attività.
Cosa definisce
l’«intenzione principale»? Si
tratta dello scopo più attraente, chiaramente visto e costantemente voluto come
totalità, mai abbandonato e sempre ripreso, verso il quale rivolgo i miei
pensieri e i miei sforzi. Così l’uomo posseduto dalla ferma volontà di
diventare un sapiente, concentra verso questo scopo tutto il suo lavoro, le sue
letture, le sue conversazioni, i suoi viaggi, la cura della sua salute, e finanche
il suo riposo. Ogni uomo è dunque animato da un’intenzione principale, ma essa è chiaramente visibile solo in
coloro che cercano uno scopo lontano, poiché elevato e disinteressato, e la cui
ricerca impone un’ampia parte di sacrifici e di pazienza. Tale è, senza alcun
dubbio, lo scopo che cerca il monaco, su un invito venuto da Dio stesso. L’intenzione principale che deve
animare il discepolo di san Benedetto si trova espressa abbondantemente nella
santa Regola: nel prologo, nel capitolo fondamentale sull’umiltà, e nel
corso di altri capitoli, in brani meno estesi, ma sempre significativi.
Vi è
anzitutto un insieme di formule luminose:
«Militare
sotto il vero Re, Cristo Signore» (RB, Prologo, 3)
«Non
anteporre nulla all’amore di Cristo» (RB 4,21)
«Non avere
nulla più caro di Cristo» (RB 5,2)
«Non antepongano assolutamente nulla a Cristo» (RB 72,11)
«Desiderare
la vita eterna con tutto lo slancio dell’anima» (RB
4,46)
Poi c’è la
massa delle formule sostanziose, tutte nel Prologo:
«In modo da meritare la visione di lui, che ci ha chiamati
nel suo regno» (RB,
Prologo, 21)
«Ascoltiamo la risposta con cui il Signore ci indica la via
che porta a quella tenda» (RB, Prologo,
24)
«Coloro che
glorificano il Signore che opera in essi» (RB, Prologo, 30)
«Il Signore attende che, giorno per giorno, rispondiamo con i
fatti alle sue sante esortazioni» (RB, Prologo, 35)
«Se vogliamo
pervenire alla vita eterna» (RB, Prologo, 42)
«Non allontanandoci mai dagli insegnamenti di Dio e
perseverando fino alla morte nel monastero in una fedele adesione alla sua
dottrina» (RB, Prologo, 50)
Così pure
nei vari capitoli della Regola:
«Militando sotto uno stesso Signore, prestiamo un eguale
servizio» (RB
2,20)
«Rinnegare completamente se stesso per seguire Cristo» (RB 4,10)
«In vista della
gloria eterna» (RB 5,3)
«La nostra vita terrena che […] Dio
solleva fino al cielo» (RB 7,8)
«Se vogliamo […] arrivare
rapidamente a quella glorificazione celeste» (RB 7,5)
«Giungerà subito a quella carità» (RB 7,67)
«Il cammino
che conduce a Dio» (RB 58,8)
«La via più rapida e diretta per raggiungere l’unione con il
nostro Creatore» (RB
73,4)
«Tu […] che con sollecitudine e ardore ti dirigi verso la patria celeste» (RB 73,8)
«Con la grazia di Dio giungerai finalmente a quelle più alte
cime» (RB
73,9)
San
Benedetto riassume quindi – per così dire – tutta la religione in tre articoli.
Anzitutto Dio, Sovrano Maestro, in Cielo. Poi il Cielo di Dio, promesso all’uomo
e quindi scopo della nostra vita. Infine Gesù Cristo, Salvatore dell’uomo per
il Cielo. Questi tre articoli della nostra fede monastica sono perfettamente
saldati fra loro e formano insieme un unico bene massimamente desiderabile,
verso il quale si rivolgerà la nostra intenzione
principale. La religione del monaco si oppone dunque totalmente all’ateismo
e al materialismo di ogni tempo; è assolutamente teocentrica: Dio; e risolutamente
soprannaturale: il Cielo. Così l’ordine monastico è un esercito di Dio e il
monastero un «accampamento di Dio».
Così,
mediante la sua intenzione principale,
il monaco riconosce se stesso più direttamente come uomo di Dio, che come uomo
di preghiera, sempre che queste due qualità possano essere separate. Al
contrario, esse si richiamano reciprocamente, perché è precisamente la
preghiera che testimonia la nostra intenzione rivolta a Dio.
Occorre dire
allora che l’intenzione principale
di ogni discepolo di san Benedetto dev’essere quella di diventare un
contemplativo? Per «contemplativo» intendiamo
il fedele in cui la preghiera diventa
almeno talora contemplazione; e per «contemplazione» intendiamo un certo grado di preghiera, data totalmente da Dio – o almeno aiutata
da una grazia –, durante la quale il fedele si ritrova per un certo tempo unito
a Dio. Nel suo grado minimo la contemplazione propriamente detta
si definisce come una comunicazione
oscura, di Dio all’anima, che rende l’anima innamorata.
[Père Jérôme (Kiefer, O.C.S.O., 1907-1985), Saint Benoît de nouveau suivi, Ad Solem, Parigi 2013, pp. 43-47]