Sapete
di quali tesori siete depositari? Alla fine del secolo VI, nel momento in cui
l’Impero romano in piena decadenza passa il testimone della cultura al mondo
cristiano, la Chiesa
è in possesso dei più bei gioielli del suo tesoro liturgico, tra i quali
bisogna contare le preghiere del Messale
e specialmente le ammirevoli collette
che precedono la lettura dell’Epistola.
Charles
Péguy scopriva con stupore che c’è un
santo per ogni giorno; dovete inoltre sapere che ogni giorno c’è una
preghiera destinata a guidare i vostri passi sulla via stretta.
Queste
preghiere, cesellate da anni di fede da mani fini e sapienti, dovete saperle a
memoria, studiarle e meditarle, perché vi si trova lo spirito incorrotto del
cristianesimo contenuto sotto forma di massime scolpite nel bronzo, e non c’è
niente di più adatto da mettere in pratica come le alte certezza dell’anima: queste
preghiere sono regole di vita.
Il
nome di colletta è stato dato alla
preghiera che introduce le letture della Messa e che ritroviamo a conclusione
di tutte le ore canoniche, poiché era recitata davanti ai fedeli, riuniti
all’inizio della Messa. La secreta (preghiera
sulle offerte) e il postcommunio
devono il loro nome al posto che occupano nel dramma del sacrificio
eucaristico. La colletta, come il prefazio, era un tempo improvvisata dal
celebrante, quando sant’Ambrogio e sant’Agostino — in un’estasi comune —
alternavano per la prima volta ut fertur,
i versetti del mirabile Te Deum. Poi
lo Spirito santo fissò divinamente la giovane preghiera della Chiesa come l’età
matura fissa i tratti dell’infanzia. In alcune raccolte di orazioni erano
conservati i brani meglio riusciti, e vi si possono riconoscere le preghiere
dovute a san Leone Magno grazie alla perfezione del ritmo e al rigore del
pensiero: la regola salvò l’ispirazione fissandone l’eccellenza.
Ai
nostalgici della Chiesa delle origini, in preda al creativismo, messa da parte
la loro incredibile pretesa, rispondiamo che si può essere bambini solo una
volta nella vita. Per fortuna, oggi, grazie alla pietà delle generazioni
passate che ci hanno trasmesso questi gioielli della nostra liturgia, se un
giovane barbaro entrasse in una chiesa per ascoltare una Messa, sarebbe messo
direttamente in comunicazione con il pensiero di un Padre della Chiesa del secolo
IV.
Secondo
un’usanza molto antica, il celebrante invita la comunità al raccoglimento con
l’avvertimento solenne del Dominus
vobiscum. «Il Signore sia con voi!»,
dopo di che i fedeli rispondono: «E con
il tuo spirito». Il Signore dev’essere con il sacerdote per renderlo degno
di esprimere i voti della comunità. Dev’essere con i fedeli per renderli
attenti alla preghiera. Il sacerdote prega allora ad alta voce, o canta, la
colletta con un tono recitante nel quale solo due note sposano la forma
letteraria propria delle orazioni del Messale che si chiama cursus. Parleremo più avanti di questa
forma letteraria destinata a sottolineare lo svilupparsi del pensiero. Molto
presto, senza dubbio sin dal secolo IV, si fecero delle raccolte di preghiere che
costituiscono la ricchezza del nostro patrimonio liturgico.
Alla
fine del Messale troverete delle collette che si possono aggiungere, secondo i
bisogni, alla preghiera del giorno. Sono le orazioni per casi particolari: per
domandare la pioggia, per allontanare la tempesta, per difendersi dal demonio,
per domandare la pazienza, la castità, nonché quella meravigliosa orazione per
domandare la grazia del dono delle lacrime: pro
petitione lacrymarum. «O Dio
onnipotente e mitissimo, che hai fatto scaturire dalla roccia una fonte d’acqua
viva per il popolo assetato, strappa dalla durezza del nostro cuore lacrime di
compunzione: affinché possiamo piangere i nostri peccati e meritare, per la tua
misericordia, la loro remissione».
Verrà
un giorno nel quale alla Sorbona saranno difese tesi di laurea sulla bellezza
letteraria delle preghiere della Chiesa? Il Breviario, il Messale, il
Processionale contengono una quantità di orazioni straordinarie per eleganza di
stile, penetranti e profonde per pensiero. Le nostre collette sono tra le
testimonianze più antiche della pietà della Chiesa primitiva; esse sono
sopravvissute a lente trasformazioni della liturgia e risultano di
considerevole interesse.
Due
caratteristiche meritano di essere sottolineate: la ricchezza dottrinale e il
valore pedagogico.
Ricchezza dottrinale
Il
campo della liturgia costituisce in sé un «luogo teologico» di una ricchezza
inesauribile, una specie di rete di verità dottrinali sparse, non ordinate
sistematicamente. Péguy diceva bene quando affermava che la liturgia è una «teologia distesa». Quando il canto dell’Exsultet, sgorgante di poesia, si eleva
nella notte pasquale, il dogma della Redenzione illumina le menti di un
bagliore proprio che non è altro se non lo splendore del vero: l’Exsultet, il Lauda Sion, il Dies Irae
sono dogmi cantati che infondono direttamente nell’anima luce e amore. Dom
Guéranger diceva che «la liturgia è la Tradizione stessa nel suo più
alto grado di potenza e di solennità»; un’affermazione che all’epoca suscitò qualche stupore.
I
materiali che servono agli artigiani della teologia speculativa sono contenuti
nella Preghiera della Chiesa, come quelli nelle cave di pietra che servono per
la costruzione del Tempio: è in questo tesoro che attingono i teologi di tutti
i tempi per illustrare e affermare il dogma. Padre Emmanuel André, abate di
Notre-Dame de la Sainte-Espérance, trovava la dottrina della grazia nelle orazioni
del Messale. Queste preghiere risentono delle lotte dottrinali del secolo IV,
minacciato dall’eresia pelagiana; Pelagio minimizzava le conseguenze del
peccato originale e ignorava la necessità della gratia sanans, ossia la grazia che guarisce. L’eresia pelagiana è
una delle forme correnti di naturalismo che si ripresenta in ogni epoca. Padre
Emmanuel non voleva contrapporre tesi a tesi; costruiva la sua teologia della
grazia nel solco della preghiera della Chiesa. Le orazioni lo aiutavano a
mettere in luce l’assoluta necessità della grazia divina nell’ordine della
salvezza. È una perfetta spiegazione della lex
orandi che stabilisce e fissa la lex
credendi. Ricorderete che recentemente abbiamo ricevuto un esponente dei pentecostali:
non abbiamo avuto difficoltà a provargli la novità
inquietante di una preghiera che s’indirizza esclusivamente alla terza
Persona, sottolineando il carattere trinitario delle nostre collette, che si
elevano al Padre, mediante il Figlio, nello Spirito. La stessa orazione della
festa di Pentecoste espone questo modo di preghiera: la sequenza della Messa —
una specie di effusione libera che s’indirizza al solo Spirito santo — dev’essere
considerata come una glossa del versetto alleluiatico; la colletta resta
trinitaria. «Nihil inovetur nisi quod
traditum est».
Ecco
ciò che insegnano le preghiere liturgiche. Ci istruiscono sulla Maestà di Dio,
sull’abisso della nostra miseria, sul modo di comportarci davanti a Dio e di
come indirizzare a Lui le nostre richieste per essere esauditi.
Valore pedagogico
La
liturgia è anche — e soprattutto, come ideale — una norma di preghiera.
Possiamo affermare che essa ci offre il più antico e il più onorato dei metodi
di preghiera.
A
partire dal secolo XVI si è molto parlato di orazione e di metodi di orazione.
Santa Teresa d’Avila dichiarava che avrebbe voluto stare sulla cima di una
montagna per convincere, se fosse stato possibile, tutto l’universo
dell’importanza dell’orazione. Ma la preghiera, a partire dal secolo XVI, è
stata fortemente segnata dall’umanesimo del Rinascimento e l’orazione si è
trovata sottomessa a investigazioni e vaneggiamenti umani. Era fatale che lo
sviluppo della psicologia inclinasse gli spiriti a forgiare metodi d’orazione nei quali dominava
l’aspetto analitico e discorsivo.
Durante
i primi secoli della Chiesa la preghiera non aveva cessato d’irrigare i terreni
dove si coltivava la vita spirituale. Dunque, come pregavano gli antichi?
Usavano dei metodi? Sembra evidente di no. L’orazione scaturiva spontaneamente
dall’intimo grazie all’ufficio divino. Il fiume dei misteri liturgici
alimentava le prime generazioni di cristiani, come i quattro fiumi del
Paradiso, senza che dovessero inventare altri metodi di accesso al santuario
della vita interiore. La liturgia è stata, nelle età della fede, la grande
educatrice dei figli di Dio. Gli inni, i salmi, il canto gregoriano, l’ordine
sacramentale versavano nelle anime la luce delle verità della fede e spingevano
l’uomo a guardare verso Dio piuttosto che a sé stesso; a cantare le «mirabilia Dei», in dissolvenza, come
gli scultori dei capitelli di Chartres si eclissavano davanti al loro soggetto.
Grazie alla liturgia, il primato era dato alla vita teologale e contemplativa. Le
collette acquisiscono a tale proposito un considerevole valore pedagogico.
Considerate
l’importanza delle parole dell’orazione. Talvolta un’invocazione maestosa ci
mette di fronte all’onnipotenza divina — «Omnipotens
sempiterne Deus…» —, altrove la Chiesa è nominata per prima: «Ecclesiam tuam, Deus…», oppure «Familiam tuam». L’orazione si colora
allora di affettuosa tenerezza. In altre occasioni l’uso di un verbo forte
mette in rilievo l’azione divina: «Fac,
Domine…», «Presta, quaesumus Domine…».
In seguito il corpo dell’orazione esprime l’oggetto della richiesta, la quale è
indicata con poche parole che indicano gioia, cosicché l’oggetto principale di
una festa si trova perfettamente riassunto nella sua colletta.
Ecco
per esempio l’orazione della Messa di mezzanotte: «O Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di
Cristo, vera luce del mondo, concedi a noi, che sulla terra lo contempliamo nei
suoi misteri, di partecipare alla sua gloria nel cielo».
Con
arte, la liturgia ci fa passare da una realtà creata alla sua analoga di
livello superiore: dalla luce del Natale alla luce celeste, dal visibile
all’invisibile. L’orazione della Messa dell’aurora invita a passare dal piano
dell’essere al piano dell’agire; in
poche parole ecco stabilito il fondamento della morale: «La luce che, per la fede, brilla nelle nostre anime, rifulga nelle
nostre azioni» («In nostro
resplendeat opere quod per fidem fulget in mente»).
Così
ogni festa ci fa domandare una grazia speciale con una dolcezza e una
precisione che conduce l’anima direttamente al centro del mistero celebrato.
Siamo illuminati su cosa domandare, sul come dobbiamo chiedere, sul perché è
necessario interpellare. L’orazione dell’Immacolata Concezione sviluppa
armoniosamente l’ordine delle quattro cause; quella della quarta domenica dopo
Pasqua attira verso l’alto i nostri cuori con una soavità che solo il latino
può rendere: «ut inter mundanas
varietates ibi nostra fixa sint corda ubi vera sunt gaudia», «affinché nei cambiamenti di questo mondo i
nostri cuori restino fissi là dove si trovano le vere gioie».
Il
latino delle orazioni ci fa pregare con tanto gusto ed esattezza, che la
traduzione talvolta è impossibile. Come tradurre parole come: «ostia», «pietas» o «devotio»? A venti
secoli di distanza, la parola calcata sul latino appare vuota della sua
sostanza o ha cambiato significato.
In
latino hostia significava vittima di
un sacrificio con spargimento di sangue e devotio
consacrazione irrevocabile. La parola pietas,
così sbiadita dall’uso continuo, avrebbe bisogno — onde non tradirne il vero
significato — di una lunga perifrasi che le possa ridare la sua linfa antica e
sacra.
La
pietas romana, virtù nazionale,
carica di un senso carnale e religioso, significava sia l’attaccamento alla
terra, la fedeltà, la gratitudine, sia il culto reso agli dèi, ai parenti, alla
patria, e ancora alla famiglia, alla casa, ai penati. Si percepisce cosa la parola
pietà, bagnata dall’acqua del
battesimo, potesse significare per i primi cristiani. Alla tenerezza paterna di
Dio l’anima illuminata dal Verbo rispondeva sicut
naturaliter rifluendo verso il focolare beatificante della vita trinitaria.
Alcuni
tra voi si domanderanno come pregare con le orazioni del Messale. La prima
condizione è di sapere leggere;
scienza poco comune, contrariamente a quello che si crede, e che comporta due
operazioni: scrutare e soppesare. Consiglio a chi tra voi vuole ispirarsi alla
santa liturgia per alimentare la propria vita di preghiera, d’imitare il metodo
dei cercatori d’oro. Il ciclo
dell’anno liturgico è simile a un grande fiume carico di riti, canti e poemi.
Vi si trovano anche brevi formule brillanti di un vivo splendore che si possono
paragonare a pagliette d’oro.
Leggere
lentamente il proprio del Messale è un eccellente metodo di preghiera,
setacciare per così dire giorno dopo giorno l’acqua di questo fiume e cogliere
con cura ciò che risponde alle attese e al desiderio dell’anima.
La
colletta della domenica diventerà, sotto la guida della Chiesa, una gustosa
meditazione e un’esortazione pratica per tutta la settimana. Potremo così
portare, incise nella nostra mente, le formule delle preghiere preferite,
arricchite da brillanti massime che illuminano la nostra strada. Ecco qualche
esempio preso a caso:
«Sic transeamus per bona temporalia, ut non amittamus aeterna» [1].
«Sacramentum vivendo teneant quod fide perceperunt» [2].
«Sine te nihil potest mortalis infirmitas»
[3].
«Ad promissiones tuas, sine offensione curramus» [4].
«Da nobis fidei, spei
et caritatis augmentum» [5].
«Discamus terrena
despicere et amare caelestia» [6].
«Auctor ipse
pietatis!...» [7].
In queste ultime parole — «Voi che siete l’autore stesso di ogni
pietà» —, che arte di commuovere il cuore di Dio!
C’è una grande dolcezza nel pregare con le stesse parole
e accenti dei primi cristiani
rinati dall’acqua battesimale, ascoltando le medesime letture, intonando
uguali canti, attenti come loro alla misteriosa voce dello Spirito e della Sposa che dice: «Vieni, Signore Gesù!».
Note:
[1] «Affinché
passiamo tra i beni temporali senza perdere quelli eterni» (colletta della
terza domenica dopo Pentecoste).
[2] «Concedi
di conservare nella vita quel sacramento che ricevettero per la fede» (colletta
del martedì di Pasqua).
[3] «Senza
di voi la debolezza della nostra natura mortale non può nulla» (colletta
della I domenica dopo Pentecoste).
[4] «Fai
che corriamo senza ostacoli verso i beni da te promessi» (colletta della XII
domenica dopo Pentecoste).
[5] «Accresci
in noi la fede, la speranza e la carità» (colletta della XIII domenica dopo
Pentecoste).
[6] «Impariamo
a disprezzare le cose terrene e ad amare quelle del cielo» (postcommunio
della Messa del Sacro Cuore).
[7] «Voi che siete l’autore stesso di ogni pietà»
(colletta della XXII domenica dopo Pentecoste).
[Dom Gérard Calvet O.S.B.
(1927-2008), La santa liturgia, trad.
it., Nova Millennium Romae, Roma 2011, pp. 59-70]