venerdì 19 aprile 2013

La lezione dell’umiltà

[Il 19 aprile 2005 Papa Benedetto XVI veniva eletto al soglio pontificio. Nella ricorrenza dell’anniversario pubblichiamo – grazie alla cortese autorizzazione di Christophe Geffroy, direttore del mensile La Nef e curatore del recente volume Benoît XVI. Le pontificat de la joie l’intervento in omaggio del Padre Abate dell’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux, Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B.]
Eravamo non poco fieri del fatto che l’eletto del conclave avesse scelto come patrono del suo ministero petrino il grande patriarca d’Occidente: san Benedetto. Ma dobbiamo riconoscere che Benedetto XVI ci ha dato una buona lezione: quella della vera umiltà. Si tratta di una virtù rara. L’umiltà è rara, rarissima, anche nella milizia benedettina. In effetti, è facile confonderla con il pauperismo e la viltà. Benedetto XVI ha realizzato i dodici gradi dell’umiltà descritti nel capitolo VII della Regola di san Benedetto. È il capitolo più lungo, perché l’umiltà è il fondamento della vita cristiana. Lo stesso Gesù ne è maestro nei confronti dei suoi discepoli, come colui che è mite e umile di cuore. Charles Péguy (1873-1914) ha ben visto l’importanza di tale virtù quando ha scritto, in Un nouveau théologien: «Questa religione, che ha messo l’orgoglio in cima ai peccati capitali, che ha fatto dell’umiltà forse più di una virtù: il suo stesso stile e il suo ritmo, il suo gusto segreto, la sua attitudine esteriore e profonda, carnale e spirituale, la sua postura, i suoi costumi, la sua esperienza perpetua, quasi il suo stesso essere».
Ma che cos’è l’umiltà? In primo luogo è vivere costantemente sotto lo sguardo di Dio. Benedetto XVI l’ha mostrata attraverso la consapevolezza con la quale ha svolto il proprio ruolo. È un uomo coscienzioso, un uomo che vive a partire da quel luogo segreto del cuore in cui si sente la voce di Dio. L’ha dimostrato con le sue prese di posizione coraggiose, in particolare a Ratisbona, al Bundestag, a Westminster, e con degli atti forti, come il motu proprio Summorum Pontificum.
L’umiltà significa obbedire, anche in condizioni difficili. Benedetto XVI l’ha dimostrato accettando il gravoso incarico di sommo pontefice all’età di 78 anni. L’ha dimostrato inoltre non imponendo un suo programma personale, ma seguendo lo Spirito Santo secondo la Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero anteriore. Ha seguito la fede della Chiesa, tema ricorrente nel suo insegnamento, in particolare nel suo ultimo discorso al clero della diocesi di Roma. Egli parla del «grande “noi” dei credenti».
Ancora, quale umiltà nella semplicità con la quale racconta i propri ricordi! Si ha la sensazione che non abbia nulla da nascondere. Sappiamo che la sua vita e la sua giovinezza sono state passate al vaglio dell’inquisizione mediatica. Ma il Papa che è venuto dalla Germania aveva già detto tutto. È il quinto grado dell’umiltà, che consiste per il monaco nel non nascondere nulla al proprio abate. Egli ha dimostrato la virtù dell’umiltà nelle dimissioni, senza dubbio. Non si è sentito affatto necessario. Ha valutato in coscienza che l’incarico lo superava, superava le sue forze fisiche e personali. Ha compiuto, ancora, il sesto e il settimo grado dell’umiltà. «La Chiesa non ha più bisogno di me». Se non avesse dato l’esempio del coraggio e del duro lavoro, si sarebbe potuto credere a una debolezza del carattere; ma tutta la sua vita è stata dedicata anima e corpo al lavoro nella vigna del Signore. Tutto il suo lavoro intellettuale e i vari incarichi pastorali lo provano.
Infine, Benedetto XVI ha compiuto gli ultimi cinque gradi dell’umiltà, che riguardano le attitudini esteriori: la riservatezza e la padronanza del portamento, le parole, il riso, lo stesso modo di parlare e di camminare. Tutte le persone che hanno avuto occasione di salutarlo, anche brevemente, sono unanimi nel dire che ha nello sguardo qualcosa di serio, semplice e gioioso. San Benedetto dice che il monaco che passa per i dodici terribili gradi dell’umiltà giungerà a una carità che mette al bando ogni paura. Dimenticavamo i gesti protocollari di rispetto, ma non ci saremmo mai permessi una qualunque familiarità con lui.
L’ultimo segno della sua umiltà: la Terra intera sembra essersi arrestata di stupore di fronte alla sua rinuncia. Come gli apostoli davanti a Gesù Cristo trasfigurato sul Tabor. Mai un uomo pubblico della nostra epoca ha avuto altrettanta autorità come lui in quel momento. Come se, tramite lui, la vera umiltà fosse infine apparsa e avesse risuonato almeno un breve istante nel cuore degli uomini. Egli ha mostrato così la verità della parola di Nostro Signore Gesù Cristo: «Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Grazie, Santo Padre, grazie dal profondo del cuore.
[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., La leçon de l’humilité, in Christophe Geoffroy (a cura di), Benoît XVI. Le pontificat de la joie, Artège, Perpignan 2013, pp. 115-117, trad. it. di sr. Bertilla Obl.S.B.]

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