lunedì 6 febbraio 2012

Die 7 februarii - S. Romualdi Abbatis

Intercessio nos, quæsumus, Domine, beati Romualdi Abbatis commendet: ut, quod nostris meritis non valemus, eius patrocinio assequamur. Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum, qui tecum vivit et regnat, in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia sæcula sæculorum. Amen.

Quando Romualdo si recò nell’eremo

Mentre nel suo animo l’amore della perfezione cresceva sempre di più di giorno in giorno senza che il suo animo trovasse pace, udì che nella regione di Venezia vi era un uomo spirituale, di nome Marino, che conduceva vita eremitica. E così, con il consenso – ottenuto facilissimamente – dell’abate e dei fratelli, mediante un’imbarcazione giunse presso tale uomo venerabile e con umilissimo fervore dell’animo decise di vivere sotto la sua guida. Marino, fra le altre virtù, era un uomo di animo semplice e della più autentica purezza; egli non era stato assolutamente ammaestrato alla vita eremitica da nessun genere di insegnamento, ma era stato spinto a essa solo dall’impulso della sua buona volontà. Inoltre, egli aveva questa forma di vita: durante tutto l’anno tre giorni alla settimana mangiava la metà di un piccolo pane e un pugnello di fave, e tre giorni invece, con una sobrietà piena di discrezione, prendeva del vino e una pietanza. Ogni giorno cantava l’intero salterio, ma, siccome era inesperto e non era stato per nulla ammaestrato nello stile della vita eremitica – come in seguito lo stesso Romualdo riferirà sorridendone – la maggior parte delle volte, uscendo dalla cella insieme con il discepolo, se ne andava qua e là, salmodiando, per tutta l’estensione dell’eremo, cantando ora sotto un albero, venti salmi, ora sotto un altro trenta o quaranta.
Romualdo, poi, che aveva lasciato il mondo essendo senza istruzione, quando apriva il Salterio a stento riusciva a pronunciare, sillabando, il canto dei versetti che toccavano a lui; e questa umiliazione provocava in lui il malessere insopportabile dell’accidia. Marino, allora, tenendo una verga nella destra, colpiva spessissimo Romualdo, che gli sedeva di fronte, sulla parte sinistra del capo. Dopo molto tempo Romualdo, costretto da una necessità molto forte, disse umilmente: “Maestro, se ciò ti è gradito, d’ora in poi colpiscimi sull’orecchio destro, perché dall’orecchio sinistro sto già perdendo completamente l’udito”. Quegli allora, ammirato della sua così grande pazienza, temperò la severità – priva di discrezione – di quella disciplina.

[San Pier Damiani (1007-1072), Vita beati Romualdi, trad. it. in I Padri camaldolesi, Privilegio d'amore. Fonti camaldolesi. Testi normativi, testimonianze documentarie e letterarie, Edizioni Qiqajon, Magnano (Biella) 2007, pp. 65-155 (pp. 73-74)]


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