lunedì 4 aprile 2011

Una regola di vita interiore / terza parte

La meditazione

È passata la moda degli sviluppi in tre passaggi di un tema dato. Ma capita di fermarsi davanti a una frase, una parola, o a una bella immagine di cui non si sa come disfarsene. O anche una parola autorevole che ritorna continuamente alla memoria. Sarebbe sufficiente poco per fare di ciò che alcuni chiamano un sogno, un oggetto di meditazione. La parola latina meditari significava per gli antichi ripetere ad alta voce, masticare, soppesare di continuo le parole di un testo per nutrirsene e incorporarle. Qualcuno mi dice: «Padre, non riesco a meditare». Ma il fine della meditazione, è la preghiera. Certe anime entrano subito in preghiera. San Vincenzo de’ Paoli prende le loro difese: quando la scintilla si accende, disse, si continua forse a battere l’acciarino?

L’orazione

Sono stati scritti vari libri sull’orazione, si è cercato di definirla. Essa è un riposo in Dio. Se Gesù è tutto per noi, assolutamente tutto, allora la questione della preghiera interiore, che è vitale, non si porrà più come un dovere, ma come un bisogno. Comunque non abbiate paura, quaggiù non si fa niente di buono senza disciplina, senza regole, e direi finanche senza dolore. Si dice bene che la preghiera è il respiro dell’anima, ma questo respiro, per i malati come siamo noi, si regola come il nutrirsi e il camminare.
Allora bisogna allenarsi ogni giorno venti minuti per permettere alla propria anima di respirare liberamente in Dio. Esistono dei metodi? Sì, e i più semplici sono i migliori. Recitare molto lentamente una preghiera e fermarsi in certi punti. Jean-Jacques Olier consigliava: «Gesù davanti agli occhi, Gesù attirato al cuore, Gesù nelle mani». Santa Teresa d’Avila amava guardare con la fede il Cristo presente nella sua anima. Diceva: «La preghiera è uno scambio d’amicizia nel quale ci si intrattiene spesso, soli a soli, con Dio di cui si sa che ci ama». E il Padre de Foucauld: «Pregare, è pensare a Gesù amandolo».
Infine Bossuet: «Bisogna abituarsi a nutrire la propria anima di un semplice e amoroso sguardo in Dio e in Gesù Cristo nostro Signore; e, per questo fine, bisogna separare dolcemente dal ragionamento, dal discorso e dalle molteplici affezioni, per tenerla in semplicità, rispetto e attenzione e avvicinarla così sempre più a Dio, suo unico e sovrano bene, suo primo principio e suo ultimo fine».

L’orazione giaculatoria

Quando l’anima, per qualche ragione, non potrà più pregare in modo regolare e organizzato com’era abituata, dovrà lanciarsi verso Dio in un movimento libero e affettuoso, e questi successivi slanci la disporranno a quella cima invidiabile che è l’orazione di semplicità. Alcuni autori fanno poco caso alle orazioni giaculatorie; vi scorgono una specie di parente povero della preghiera, per gente incapace di concentrarsi. Ma la preghiera non è una concentrazione dello spirito. È uno sguardo innamorato, un riposo, un abbandono dell’anima al di sopra delle agitazioni. Una seconda natura. «Il monaco – dice Cassiano – comincia davvero a pregare quando non si accorge più di pregare». È questa l’unione continua a Dio cui aspirano i santi, che segna l’ingresso nella vita mistica.

Il Rosario

Recitare ogni giorno le cinque decine della corona che compongono lungo la settimana la serie dei misteri del Rosario, è un aiuto considerevole per una ricerca di vita interiore. E questo, non tanto in virtù di una maggiore quantità di preghiere, ma per la grazia dei misteri che vi accompagnano durante lo scorrere dei giorni. Leone XIII sottolineava che, attraverso la serie dei misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi, l’anima respinge i tre mali che ostacolano il suo cammino verso Dio: il disprezzo degli umili doveri della vita quotidiana (misteri gaudiosi); l’avversione per la sofferenza (misteri dolorosi); la dimenticanza dei beni eterni (misteri gloriosi). Poco a poco le fasi della vita di Cristo e di sua Madre faranno parte della vostra anima e li sentirete come un profumo da respirare. Non vi sforzate di coscientizzare la ripetizione delle Ave Maria; servono a sorreggere uno sguardo contemplativo sulla bellezza soprannaturale della Vergine.
D’altro canto, il santo Rosario, come la manna per gli Ebrei, si adatta al gusto di ciascuno: la virtù di ogni mistero corrisponde alla grazia di cui abbiamo bisogno per continuare sulla nostra strada. Dom Chautard vedeva nella corona uno scambio di sguardi dolci e affettuosi tra il bambino e sua Madre. Padre Vayssière, formato dalla recita del Rosario, diceva: «Dobbiamo perderci, nasconderci nell’incomparabile tenerezza di Maria e lì vivere, lì respirare in una fede totale, in una fiducia e un abbandono assoluti».

[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), Une règle de vie intérieure, originariamente in Itinéraires, n. V (seconda serie), marzo 1991; poi, in versione aumentata, come pubblicazione a sé stante dal titolo Une règle de vie, Editions Sainte-Madeleine, Le Barroux 1994; da quest’ultima ripresa in Benedictus. Écrits Spirituels. Tome II, Editions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2010, pp. 376-402 (da cui la presente traduzione; qui pp. 382-385), trad. it. delle monache del Monastero San Benedetto di Bergamo / 3 - continua]

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