martedì 5 ottobre 2010

Il primato della contemplazione

Grazie al suo valore contemplativo, la tradizione liturgica, fedele alla teologia di san Giovanni, di san Paolo e dei Padri della Chiesa offre un rimedio permanente di fronte alle forze di disintegrazione da cui il cristianesimo è minacciato a partire dal Rinascimento.
Il male essenziale del Rinascimento non è, come si fa credere per meglio giustificarlo, il ritorno al paganesimo dell’antichità, ma il fermento del naturalismo che implicava questa pseudo-restaurazione. Giacché c’è una grande differenza tra l’universo religioso del mondo greco-romano, dove sussistevano delle intere parti di religione integra, di pietà intatta, dove gli dei sfioravano l’esistenza umana con una facilità e un candore insuperabili, e il mondo religioso centrato sull’uomo che il Rinascimento portava in grembo. I misfatti del naturalismo, inoculati nelle vene di una religione rivelata, sono altrettanto pericolosi quanto le incertezze di una religione cieca di fronte alla venuta di Cristo. Contro la tentazione al naturalismo, la preghiera liturgica propone un grande rimedio: il primato della contemplazione. L’orientarsi verso la luce, la contemplazione filiale e ammirata di Dio fatta di rispetto e amore, tracciano i limiti di una spiritualità antica. Di fronte al naturalismo incurvato su sé stesso, l’ordine liturgico oppone un lungo discorso sulla santità, sulla bellezza e sulla grandezza di Dio. Il pigmeo delle culture tecniche si meraviglia di ciò che produce; guarda le realizzazioni della sua mente, di là il suo sguardo si abbassa sugli utensili, sulle sue mani, e talvolta — Dio ci perdoni — sul suo ombelico. Allora la santa Chiesa lo raddrizza, lo mette in preghiera; attraverso la grazia della liturgia eccolo che si dimentica, si disinteressa un po’ di sé stesso, delle sue mani e anche delle sensazioni del suo cuore; eccolo che guarda e canta la gloria di qualcun altro: «Laudamus Te, benedicimus Te, adoramus Te, glorificamus Te, agimus Tibi propter magnam gloriam Tuam!» [1].
La santa Chiesa, prima contemplativa, lascia passare senza fermarla la forza di una luce che ferisce i suoi occhi malati; le fa intendere, attraverso stupende letture, i segreti del suo illustre destino che è quello di fare un tutt’uno con Dio; lasciandolo poi accecare davanti alla sua vocazione, pone sulle sue labbra il balbettio profetico di Geremia [2], questo alleluia senza parole attraverso cui si comprende che il canto liturgico non è che giubilo, risposta estatica alle promesse di Dio senza che ci possa essere alcuna traduzione: «È per questo — dice sant’Agostino — che colui che giubila non si esprime a parole, ma con suoni gioiosi senza parole: è la voce dello spirito perso nella gioia, che si esprime con tutte le sue capacità, ma non arrivando mai a definirne il senso […]. E a chi giova questo giubilo se non al Dio ineffabile? Ineffabile è in effetti ciò che non si riesce a esprimere, ora se tu non puoi e non devi tacerlo, che cosa ti resta se non di esultare perché il tuo cuore si allieti senza parole e perché l’immensità della tua gioia non conosca limiti di sillaba?» [3].
Non s’insisterà mai troppo, in una cultura segnata dal dominio dell’utile e di ciò che è redditizio, sul ruolo educatore della liturgia: assorbita dalla visione dell’eterno, e interessata a iniziare i suoi fedeli alla gratuità, al canto e all’estasi, li condurrà fino al luogo dove si cancella ogni espressione verbale per amare, lodare e adorare in silenzio «la Bellezza che chiude le labbra».


[1] È da sottolineare il fatto che il testo sacro orienti l’azione di grazia dei fedeli, prima verso il bene che è in Dio stesso. È così che la liturgia esercita l’anima a dimenticarsi, a perdersi di vista.

[2] «Risposi: Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare, perché sono giovane» (Ger 1,6).

[3] Sant’Agostino, Esposizione sui Salmi, 99,4; 32,1-8.



[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), Le primat de la contemplation, in Benedictus. Ecrits Spirituels. Tome I, Editions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2009, pp. 242-244, trad. it. delle monache benedettine del Monastero San Benedetto di Bergamo]

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