martedì 9 marzo 2010

Ai monaci e alle monache dell'Ordine di San Benedetto / terza parte

Uno di voi, in una lettera ammirevole che testimonia il vostro combattimento interno nei tempi attuali, mi parla "dell'armoniosa bellezza della vita benedettina, in cui il riferimento a Dio, totale, fa di tutta l'esistenza una continua liturgia". Di grazia, non frantumate questa armoniosa bellezza con innovazioni frettolose: è per suo tramite che la vocazione benedettina è giunta a toccare il vostro cuore; essa è composta d'elementi indissolubili dei quali non potrete rigettarne alcuno, pena un impoverimento che vi causerà una sofferenza irrimediabile. Vorrete sbarazzarvi di un canto che ha accompagnato la preghiera di generazioni di monaci per secoli e che è stato il canale di grazie ineffabili per i vostri fratelli e per il mondo? Vorrete fare questo proprio nel tempo in cui, per la vostra cura, questo canto è stato ristabilito nella sua purezza primitiva? Rinuncerete senza versare una lacrima, non dico a tanti capolavori - poiché non si tratta solo di opere del genio umano -, ma a così tanti miracoli della grazia? Scrivendo queste parole, tali miracoli si presentano alla mia memoria, e sono giustamente i più semplici e i più popolari: è la sequenza Victimae pascali laudes in cui la Resurrezione ci è annunciata in una maniera così toccante e familiare; è quell'altra sequenza Veni Sancte Spiritus, che sviluppa la melodia di uno dei più belli alleluia; sono gli inni, fra i quali non c'è che l'imbarazzo della scelta; è lo Stabat Mater, impossibile da cantare, o anche solo da leggere, senza che lacrime di penitenza salgano ai vostri occhi. Se davvero siete pronti a rinunciare a tutto questo, comincerei a tremare per l'Ordine benedettino.
Tali melodie sono la fioritura d'una produzione di molti secoli di cristianità. Potete davvero credere che non importa quale centro di pastorale liturgica, fosse pure nazionale, anche se si applicasse con abnegazione, ci produrrebbe qualcosa che vi si avvicinerebbe, seppur da lontano? Ignorate il mistero della creazione artistica, senza il quale non avreste quest'idea innocente, che si possa spazzare via questo tesoro inestimabile, che si possa fare piazza pulita, che non importa nulla, perché si andrà a rifare tutto questo in meglio. Vi è decisamente un sentimento che i moderni ignorano, ed è il rispetto, in particolare il rispetto delle cose del pensiero. Crediate bene che non ignoriamo affatto il bisogno che spinge ogni epoca a esprimersi con il proprio linguaggio. Noi stessi ci sforziamo di far parlare il nostro tempo con il suo linguaggio; ma non crediamo che per fare questo sia necessario rigettare i modelli più perfetti e soffocare le voci più sante.

[André Charlier (1895-1971), Aux moines et aux moniales de l'Ordre de saint Benoît, articolo-appello del 1967 comparso nel volume Le chant grégorien edito da Dominique Martin Morin (Bouère), di cui una prima versione risale al marzo 1965 (Itinéraires, n. 91), poi in Itinéraires, n. 246, settembre-ottobre 1980, pp. 78-84 (qui pp. 82-83), trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. - 3 / continua]

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