[In prossimità del quarantesimo anniversario della fondazione monastica di Le Barroux – che ebbe inizio il 25 agosto 1970, presso il priorato del secolo XI dedicato a santa Maddalena (nella fotografia a fianco), nel vicino comune di Bédoin –, pubblichiamo lo scritto che Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008) – fondatore e primo abate della comunità – offrì «in azione di grazia», nel 2000, ai destinatari della «lettera agli amici del monastero», nella ricorrenza del trentesimo anniversario]
Il clamore degli eletti pervenuti alla soglia della vita eterna, lo sappiamo, sarà quello di un’immensa gratitudine: esaltazione infinita, estasi di gioia e di riconoscenza per Colui che ci ha amati per primo. Gioia, gioia, lacrime di gioia, come diceva Pascal.
Tuttavia, saremo ingrati a comprimere ancora per lungo tempo nei nostri cuori un così grande grido d’amore: ecco che sgorga improvvisamente – perché attendere? – in questo trentesimo anniversario del nostro arrivo a Bédoin, quando – un certo 25 agosto 1970 – un piccolo monaco giungeva in ciclomotore con i suoi poveri bagagli per iniziare una strana avventura. Un’avventura interiore, in primo luogo, che lo dovrà collegare – lui e quanti verranno dopo di lui – non anzitutto alla comunità umana, né alla lunga genealogia dei monaci che l’hanno preceduto – grazie, cari anziani: cosa saremmo senza di voi? –, ma a Dio.
Uniti a Dio, nella sete di amarlo, di essere da lui condotti e governati. Sì, collegati a lui, rivettati alla sua essenza infinita. Grazie, mio Dio, per averci permesso – per mezzo delle sventure dei tempi – di continuare la corsa della nostra vita monastica, di proseguire questo misterioso sforzo di nutrirsi, per tutta la vita, della Vostra sostanza.
Tre colonne, affinché la casa non crolli, hanno sostenuto il fragile edificio quale intendemmo costruirlo, e la loro evocazione a grandi tratti sarà l’oggetto di questa lettera ai cari amici del monastero. Menzioniamole: una filosofia dell’uomo, la sapienza della Regola, l’irradiamento della liturgia.
Una filosofia dell’uomo
Vedendo così tanti abbandoni attorno a noi, sentivo a quale punto ci erano mancate le fondamenta di una solida filosofia. Perché? Giacché l’eterna tentazione dello spirito umano è quella d’ignorare la struttura essenziale dell’essere creato: sostituire al reale una macchinazione dello spirito. Mi spiego. Perché i divorzi in massa? Perché fra il clero così tanti abbandoni del sacerdozio? Perché questa follia delle unioni contro natura? Quest’odio per la famiglia? Sono solo l’intossicazione di una generazione, sensualità, debolezza di temperamento? No. Ciò che, oggi, fa tremare sulle sue basi una civiltà millenaria, non è anzitutto il peccato della carne. Il quale è sempre esistito. Si tratta invece di un’abominevole menzogna dello spirito che s’industria in mille modi per fare credere agli uomini che la natura umana cambia, che il mondo evolve – sia chiaro, esiste un’evoluzione al livello dei mezzi tecnici, ma la natura umana rimane immutata – e dunque che ogni epoca può reinventare un ordine della creazione. Tale è il veleno satanico che infetta l’insieme della società. A questa follia dell’orgoglio umano noi risponderemo con un’umile e gioiosa sottomissione al reale, all’essere nella sua divina permanenza. Abbiamo constatato che il realismo aristotelico e di san Tommaso d’Aquino ci aveva dato la salute dello spirito. Perciò, abbiamo edificato basandoci su una filosofia dell’essere e su una teologia ortodossa, sicura e vigilante. Giacché, infine, in un universo mentale per il quale è impossibile conoscere la verità, cosa diventa la fede, se non una semplice opzione fra le altre?
La sapienza della Regola
Inoltre – è la nostra seconda colonna – abbiamo scoperto che la nostra vita di monaci aveva bisogno di un elemento fondante stabile. Non avemmo l’insolenza d’inventare un nuovo modello di vita monastica. Molto semplicemente, abbiamo riscoperto la sapienza della Regola di san Benedetto, tale e quale ci è stata trasmessa dagli antichi, la sua ricchezza, la sua universalità e la sua inesauribile capacità di adattamento. Si constata che essa risponde a tutte le aspirazioni del cuore umano, in Vietnam, nell’Africa nera, in Brasile, come pure nella nostra piccola comunità embrionale – nel 1971 eravamo in tre – quale fu quella di Bédoin. Ma come parlare della santa Regola? Ispiratrice di tutta la spiritualità occidentale, miracolo d’equilibrio e d’armonia, essa non è né un regolamento né un codice stradale, ma ben piuttosto un’arte di vivere, un’arte evangelica del cercare Dio al seguito del Cristo Gesù, alleando lo spirito comunitario al desiderio di solitudine, la preghiera corale all’orazione silenziosa, una condiscendenza per i deboli a un’elevata esigenza per i forti, una fedeltà alle tradizioni del passato a un’incredibile flessibilità d’attualizzazione, una disciplina dell’anima a una felice libertà dello spirito, un gusto per l’assoluto a un’accettazione dei limiti. Per dirla tutta, la santa Regola propone un apprendistato della vita celeste interamente tesa verso Dio, che non bara con l’implacabile serietà delle leggi della natura. Come diceva Louis Salleron: «Si ha talora l’impressione di una legione straniera votata al sacrificio assoluto per l’onore di Dio, in una dura battaglia che altro non è che il dispiegamento pacifico dei lavori e delle giornate». Ben detto. Aggiungete la gioia dello spirito d’infanzia e la gratuità del servizio inutile: felici di non essere nulla affinché Dio sia tutto.
Poiché ogni famiglia monastica riceve un marchio proprio che le dà il suo spirito e che la distingue dalle altre, sembra che la nostra piccola comunità si sia ingrandita e si sia sviluppata grazie all’influsso esercitato su di essa dal ricordo e dall’esempio dei nostri fondatori: Padre Jean-Baptiste Muard, «un uomo di grande preghiera» (Pio IX), Dom Romain Banquet e Madre Marie Cronier, la santa abbadessa di Dourgne, la cui idea maestra fu la vita interiore. Senza dubbio è in questa direzione che dovremo lavorare, se vogliamo rimanere fedeli allo spirito del nostro santo Patriarca. Tuttavia, avremmo osato consacrarci a una tale opera senza l’irradiamento di quella meravigliosa colonna di luce che è la liturgia della Chiesa?
L’irradiamento liturgico
Per essere brevi su questo soggetto enorme, ricondurrò a tre le note essenziali della preghiera liturgica, che da trent’anni incanta le anime di questo monastero e alimenta la loro vita interiore. Queste tre note sono la sacralità, il senso pedagogico e il lirismo.
Sacralità, cioè riflesso del divino in ciò che vi è di eterno e di trascendente: il carattere altamente sacrale di una preghiera trasmessa per mezzo di una lingua fissa – protetta dall’individualità e dal cambiamento mediante regole immemori – disciplina le anime con un rigore di cui esse sono oggi a tal punto private, e le inclina all’adorazione. Come dice il cardinale Joseph Ratzinger: «La liturgia non vive di sorprese “simpatiche”, di trovate “accattivanti”, ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l’attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro» (Rapporto sulla fede, p. 130).
Menzioniamo in seguito il senso pedagogico della liturgia. Si può dire che constatiamo questo aspetto a ogni passo: la Chiesa, mediante la sua preghiera, insegna ai suoi figli senza darne l’impressione, donando loro un gusto soave e profondo delle verità di fede, racchiudendo nelle orazioni latine del messale tutta una teologia dalle formule concise e cariche di significato, mentre lo svolgersi regolare dei medesimi gesti e degli stessi simboli inscrive nei cuori il senso misterioso delle parole divine.
Quanto al lirismo, esso appartiene di diritto alla liturgia, la quale si può esprimere sia con sobrietà sia con magnificenza, mescolando con un’arte sovrana, come in un grande poema, il canto, il silenzio, le incensazioni e le letture. Così, nel rito di una Messa pontificale è all’opera una specie di magia divina, che fa scendere un po’ di Cielo nel quaggiù dei nostri inizi quotidiani. E il ciclo dell’anno liturgico non è lui stesso un’ammirevole sinfonia, in cui il santorale viene a incrociarsi con le feste di Nostro Signore, trasformando ogni giorno in un giorno di festa?
E che dire del canto gregoriano? Più che una musica religiosa, è una preghiera cantata: onda portatrice di un’umile supplica, al contempo popolare e sacra, offerta e nutrimento, libera e obbediente, essa riversa ogni giorno nelle nostre anime il segreto di un’inesauribile consolazione. Uno di voi mi ha confidato che nei primi tempi, quando la vita non mancava di asprezze, senza la grazia della preghiera liturgica non avrebbe perseverato nella sua vocazione.
Ma noi sappiamo che tutto questo ci è stato dato senza alcun merito da parte nostra. Ecco perché oggi cantiamo più che mai il nostro Magnificat!
[Dom Gérard Calvet O.S.B., Action de grâce pour nos trente ans de fondation – Les trois «piliers», in Les amis du monastère, n. 95, 25 agosto 2000, pp. 1-3, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]