venerdì 18 settembre 2015

Non doniamo la nostra vita a Dio senza conseguenze

Al di fuori di Dio e della fede, i monaci sono incomprensibili. Non bisogna aver paura di dire che non servono a niente. Eppure, il monaco sa che la sua vocazione è misteriosamente utile, perché misteriosamente efficace per gli uomini; riconosce che la sua povera esistenza è una partecipazione imperfetta alla vita, alla passione e alla morte dolorosa di Gesù Cristo. Ma la sua anima non vuole perdere di vista le ferite di Nostro Signore. [...]
In una lettera a Jacques e Raïssa Maritain, Léon Bloy scriveva: "Quali che siano le circostanze, mettete sempre l'invisibile davanti al visibile, il Soprannaturale avanti al naturale; se applicate questa regola a tutti i vostri atti, siamo certi che sarete rivestiti di forza e immersi in una profonda gioia". Pur senza volerlo, l'autore ha riassunto l'essenza dell'ambizione del monaco.
I monaci sono stelle brillanti che conducono silenziosamente l'umanità verso i cammini della vita interiore. La loro intera vita, fin nei suoi minimi dettagli, è centrata in Dio. Non bisogna meravigliarsi che questo dono assoluto possa produrre effetti che superano la semplice razionalità. Non doniamo la nostra vita a Dio senza conseguenze.
San Benedetto aveva l'assillo di piacere veramente a Dio. Nelle biografie che sono dedicate a lui, sono sempre stato colpito dalla sua gioia di vivere sotto lo sguardo di Dio. Concepiva la solitudine come una prova d'amore. Ci ha donato delle regole che permettono di disporre delle armi adeguate per condurre il difficile combattimento della vita interiore. La sua ambizione era di dare ai monaci i mezzi per abitare sotto lo sguardo di Dio. Con la foga dei timidi, questo grande santo era divorato dal desiderio di essere in Dio. L'ordine che ha fondato ha acquisito un posto fondamentale nella storia della Chiesa e, ancora di recente, non credo di tradire un segreto nell'affermare che l'esempio dei benedettini è stato determinante per Joseph Ratzinger. La sua sete esclusiva di Dio assomiglia in tutto a quella dei monaci. [...]
Ormai, quando ritorno in Guinea, non manco di dedicare almeno due giorni ai benedettini e alle benedettine. Amo i monasteri poiché sono le cittadelle di Dio, le piazzeforti in cui possiamo trovarlo con maggiore facilità, le muraglie dove il cuore di Gesù veglia con dolcezza.

[Robert Sarah, Dio o niente. Conversazione sulla fede con Nicolas Diat, trad. it., Cantagalli, Siena 2015, pp. 344-345, pp. 348-349 e p. 350]

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giovedì 10 settembre 2015

Piccole Sorelle Discepole dell'Agnello

Le Piccole Sorelle Discepole dell’Agnello sono una piccola comunità di consacrate, fondata a Buxeuil (in Francia) nel 1985, riconosciuta canonicamente nel 1990 dall’arcivescovo di Tours, poi stabilitasi a Le Blanc nel 1995 e infine eretta come istituto religioso di vita contemplativa dall’arcivescovo di Bourges, nel 1999. Tale istituto religioso, che riceve l’assistenza spirituale dal Padre Abate e dai monaci dell’abbazia benedettina di Fontgombault – nelle vicinanze della quale si trova la comunità –, è stato seguito nei primi passi della propria esistenza dal celebre genetista francese, il servo di Dio Jérôme Lejeune (1926-1994), per il quale si è concluso nel 2012 il processo diocesano per la causa di beatificazione.
A vocazione contemplativa, si tratta della prima comunità in cui si offre alle giovani trisomiche (affette da sindrome di Down) la possibilità di realizzare la propria vocazione religiosa, sostenute da una minoranza di sorelle prive di tale anomalia cromosomica. Le religiose trascorrono la giornata adeguandosi al medesimo ritmo, condividendo gli impegni secondo le attitudini di ciascuna: lavori di tessitura, di filato, arazzi, scultura su legno, e così via.
Secondo le parole della superiora, la ragion d’essere di questo istituto religioso è di “consentire a quelle che si trovano ‘all’ultimo posto’ nel mondo di svolgere nella Chiesa il ruolo eccezionale di spose di Cristo, e di permettere a quelle di cui è disprezzata l’esistenza – al punto da essere in pericolo a causa della cultura della morte – di testimoniare attraverso la loro consacrazione il Vangelo della Vita”.
Le Piccole Sorelle Discepole dell’Agnello seguono la “piccola via” di santa Teresa del Bambino Gesù (1873-1897), con un marcato influsso tratto dalla Regola e dal carisma benedettino, particolarmente nel connubio dell’ora et labora. La loro vita semplice è costituita di preghiera, lavoro e sacrificio. Insieme, le sorelle insegnano alle piccole sorelle portatrici di handicap i compiti manuali necessari al loro sviluppo, uniti all’adorazione eucaristica, all’Ufficio e alla recita del Rosario, con il loro proprio ritmo e secondo le loro capacità. Ogni giorno partecipano alla Messa e ricevono l’eucaristia, vivendo nel silenzio e nella preghiera e meditando la Sacra Scrittura.
Le Piccole Sorelle Discepole dell’Agnello ricevono fra loro le giovani ragazze toccate dallo spirito di povertà e devozione, pronte a offrire in sacrificio tutta la loro esistenza al servizio di Cristo nella persona delle loro sorelle trisomiche. Fra le religiose che hanno fatto parte della comunità, merita una menzione particolare Sr. Rose Claire Lyon (1986-2013) – nota come “Sorriso di Gesù” –, giovane consacrata formatasi alla scuola di santa Teresina, che lei chiamava “la mia sorella maggiore”, che diceva di sé stessa di non volere essere “una santa notoria o visibile, una santa da calendario, ma una santa secondo il cuore di Gesù, dolce e umile”. Scomparsa alla giovane età di 26 anni, “il messaggio di suor Rose Claire – secondo le parole di Dom Jean Pateau O.S.B., Padre Abate dell’abbazia di Fontgombault, pronunciate l’8 maggio 2013, durante le esequie della religiosa – è rinchiuso in una parola; e questo messaggio è: Gesù”.
Invitiamo i lettori a vedere (qui) un estratto del documentario Les yeux tournés vers l'aube, con la partecipazione delle religiose agli uffici monastici e un'intervista a Dom Antoine Forgeot O.S.B., Padre Abate emerito di Fontgombault.



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giovedì 27 agosto 2015

Ad quosdam monachos Ordinis Sancti Benedicti coram admissos

È con gioia che vi incontro oggi, figli di san Benedetto dell’abbazia Sainte-Madeleine di Barroux, che avete voluto manifestare con questo pellegrinaggio comunitario la vostra fedeltà al Signore e il vostro attaccamento alla sua Chiesa.
Con voi, io rendo grazie alla divina Provvidenza che vi ha aiutato, durante i dolorosi avvenimenti del giugno 1988, a ritornare alla comunione con la Sede apostolica. Da allora il vostro attaccamento al successore di Pietro si è costantemente rafforzato e mi è gradito sapere che le vostre relazioni con la Chiesa diocesana diventano giorno dopo giorno più leali e fraterne.
Voi siete stati ugualmente, per le monache benedettine dell’Annunciazione che stanno lavorando per costruire il loro monastero non lontano dal vostro, un prezioso incoraggiamento e un appoggio costante nel loro cammino di comunione, e avete contribuito in maniera particolarmente felice ed efficace al consolidamento dei loro legami con la diocesi.
La Santa Sede ha concesso al vostro monastero la facoltà di utilizzare i libri liturgici in uso nel 1962, al fine di rispondere alle aspirazioni di coloro “che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina” (Ecclesia Dei, 5c), confermando così le disposizioni della costituzione conciliare sulla santa liturgia che ricorda che “La Chiesa, quando non è in questione la fede o il bene comune generale, non intende imporre, neppure nella liturgia, una rigida uniformità; rispetta anzi e favorisce le qualità e le doti di animo delle varie razze e dei vari popoli” (Sacrosanctum Concilium, 37). È evidente che, lungi dal cercare di mettere un freno all’applicazione della riforma intrapresa dopo il Concilio, questa concessione è destinata a facilitare la comunione ecclesiale delle persone che si sentono legate a queste forme liturgiche (Ecclesia Dei, 5c).
Io esprimo l’augurio che l’“Opera di Dio” e in particolare, l’Eucaristia, così celebrate nel vostro monastero contribuiscano efficacemente alla realizzazione del vostro ideale monastico, il quale, sicuramente, trova il suo nutrimento anche nel lavoro, nel silenzio che favorisce la contemplazione, e nell’impegno a ricercare Dio dovunque, in modo tale che, comunità giovane e fervente, siate capaci di testimoniare delle realtà invisibili nel mondo contemporaneo. Così, insieme con gli altri monasteri benedettini, voi continuerete ad essere dei luoghi di ritiro per il rinnovamento spirituale, dove riservando giustamente il primo posto a Dio, “ciò che è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati” (Sacrosanctum Concilium, 2).
Colgo l’occasione di questo incontro per rivolgermi a coloro che sono ancora legati alla Fraternità san Pio X. Li invito a rimettersi, istantaneamente, alla guida del successore di Pietro e a prendere contatto con la Commissione “Ecclesia Dei”, istituita per facilitare il reinserimento nella piena comunione ecclesiale. L’abbazia di Sainte-Madeleine di Barroux deve essere per loro un incoraggiamento a ritrovare l’unità feconda della Chiesa intorno al vescovo di Roma.
Io affido alla vostra preghiera la grande intenzione della riconciliazione di tutti i figli e le figlie della Chiesa nella stessa comunione.
Per aiutarvi nella vostra vita monastica nel cuore della Chiesa, nostra Madre, vi benedico di tutto cuore.

[San Giovanni Paolo II (1920-2005), Udienza ai religiosi dell'Abbazia Sainte-Madeleine du Barroux, del 28 settembre 1990, in Acta Apostolicae Sedis - Commentarium Officiale / Acta Ioannis Pauli Pp. IIAn. et vol. LXXXIII, 6 Maii 1991, n. 5, pp. 395-397]

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sabato 22 agosto 2015

Rendiamo grazie al Signore per la tradizione monastica che ci è stata tramandata

Cari amici,
L’Anno della Vita Consacrata coincide con il cinquantesimo anniversario del documento redatto durante il Concilio Vaticano II, Perfectae Caritatis, sul rinnovamento della vita religiosa. Il secondo paragrafo descrive una doppia strategia per questo rinnovamento: 1) un ritorno allo spirito del fondatore e 2) l’adattamento alle mutate condizioni dei tempi. Qui a Norcia prendiamo questa esortazione in seria considerazione, senza però confondere le due strategie. Per quanto riguarda la prima, è la Regola di San Benedetto che ci rivela lo spirito del fondatore. Per venire incontro alla seconda strategia, utilizziamo il computer ed abbiamo realizzato un bellissimo sito internet (www.osbnorcia.org).
Uno dei vantaggi del vivere nel luogo natale di San Benedetto e di Santa Scolastica è l’esposizione ad altre fonti, oltre che a quelle scritte, come l’archeologia e la geografia. La cripta fu costruita nel primo secolo d.C. e aveva la funzione di una basilica pre-cristiana, luogo di amministrazione pubblica. Le pietre stesse ci raccontano la storia. Nella geografia locale invece, troviamo tracce delle vite dei santi.
Per esempio, nella basilica c’è un dipinto di Santa Scolastica che ha di fianco a sé altri due santi, Eutizio e Spes. Questi ultimi vissero a circa quindici chilometri da Norcia nella Valle Castoriana. San Gregorio Magno racconta, nei suoi Dialoghi, di come San Spes fosse già un monaco anziano e saggio, nel periodo in cui Benedetto e Scolastica erano bambini. Eutizio e i santi gemelli erano invece coevi. Quindi, mentre Benedetto e Scolastica crescevano, questa zona era già abitata da molti monaci e con tutta probabilità San Benedetto ricevette da essi la tradizione monastica. Anche se è conosciuto come il Patriarca del Monachesimo Occidentale, non è stato San Benedetto ad inventarlo. Ne ha ricevuto la tradizione, l’ha interiorizzata e gli ha dato la sua impronta, prima di passarla ai suoi seguaci. Questa stessa dinamica si applica ai fedeli. Prima di tutto noi riceviamo la fede dalla Chiesa, dai nostri genitori, quindi non siamo noi ad inventarla. In seguito dobbiamo farla nostra, interiorizzandola. Infine, il nostro compito è quello di trasmettere la nostra fede ai nostri figli.
In quest’Anno della Vita Consacrata, rendiamo grazie al Signore per la tradizione monastica che ci è stata tramandata. È una sorgente di vita e una guida sicura per vivere il Vangelo. È una gioia per noi interiorizzare questa tradizione e diffonderla è parte della nostra missione.
Le “mutate condizioni dei tempi” hanno avuto un impatto negativo sulla trasmissione della fede ai giorni nostri. La cultura secolarizzata presenta enormi ostacoli da superare. Noi monaci affrontiamo queste difficoltà, sapendo che anche voi fate lo stesso; in fin dei conti, siamo tutti “sulla stessa barca”. Per questo motivo siamo lieti di tenerci in contatto con i nostri amici sparsi per il mondo. In questo modo speriamo che la nostra testimonianza rafforzi la vostra fede. Sappiate, tuttavia, che il vostro buon esempio rafforza anche la nostra.
Con preghiere di gratitudine, in Domino,
Rev.mo Padre Cassiano Folsom, O.S.B., Priore

[I monaci di Norcia. Notiziario del Monastero di San Benedetto, anno XVI, n. 2, estate 2015, p. 1]
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venerdì 10 luglio 2015

Un dono per la solennità di san Benedetto: i Vespri domenicali dell'Ufficio monastico

Lo scorso dicembre, in prossimità del Natale, abbiamo messo a disposizione dei lettori di Romualdica il testo della Compieta secondo le rubriche del Breviarium monasticum del 1963, in latino con traduzione italiana a fronte. Sempre con l'intenzione di favorire la scoperta della straordinaria ricchezza dell'Ufficio Divino, in occasione della solennità di san Benedetto, mettiamo a disposizione il testo dei Vespri domenicali, anche in questa occasione secondo le rubriche del Breviarium monasticum del 1963, in latino con traduzione italiana a fronte. Il fascicolo è disponibile in formato pdf al seguente link, oppure tramite la finestra qui in basso. Ricordiamo che i Vespri monastici cantati in gregoriano possono essere ascoltati in diretta ogni giorno alle ore 17:30dall'abbazia benedettina Sainte-Madeleine di Le Barroux.


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venerdì 3 luglio 2015

RIP - Dom Yves Chauveau O.S.B. - Priore dell'Abbazia di Fontgombault




[Notizia e immagini dal sito Le petit Placide]



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lunedì 1 giugno 2015

Andare in capo al mondo senza uscire da una stanza

«Non è un libro, è un ufo. Un romanzo caduto dal cielo, firmato da una sconosciuta» scriveva Étienne de Montety. Pubblicata in settanta Paesi, questa prima opera di Natalia Sanmartin Fenollera, Il risveglio della signorina Prim (Milano, Mondadori, 2014, pagine 256, euro 16,50) è stata salutata da Philippe Maxence come un «miracolo letterario». S’ispira indubbiamente al racconto filosofico: alate di una delicata poesia, ne vengono fuori riflessioni sostanziali, su uno sfondo di risa cristalline.
L’eroina, Prudence Prim, è una giovane donna assetata d’indipendenza, con un sacco di diplomi, dalle battute pronte, spesso piene di umorismo. Rispondendo a uno strano annuncio, si presenta al paese di Saint-Irénée d’Arnois per lavorare come bibliotecaria presso un gentiluomo, chiamato per tutto il libro «l’uomo dello scranno», che ha adottato i suoi nipoti e le sue nipoti orfani. Intellettuale di alto livello ma umile, questo convertito ha fatto sua una concezione tradizionale della cultura e della società paesana. Saint-Irénée costituisce «una fiorente colonia di esiliati del mondo moderno alla ricerca di una vita semplice e rurale». Questi simpatici non-conformisti appartengono però pienamente al nostro tempo! «Noi, i selvaggi moderni, abbiamo i nostri limiti. Non troviamo più il tempo di sederci a un tavolo per parlare del divino e dell’umano. E non solo non troviamo il tempo, ma non sappiamo nemmeno più come si fa». All’inizio refrattaria, Prudence Prim finisce con l’apprezzare lo stile di questo villaggio poco comune, che si sforza di condurre una vita sociale di tipo familiare dove le visite, la lettura e le conversazioni riprendono il loro giusto posto.
Attraverso discussioni talvolta burrascose, la signorina Prim impara a conversare. Lei, che da sempre aveva nostalgia della bellezza, finirà con il risvegliarsi alla grazia divina, scoprendo a poco a poco che «la bellezza non è un che cosa, ma un chi». Con lo stesso meccanismo, comprende la bellezza del matrimonio cristiano, «che non è una questione a due, ma a tre» (Dio ha la sua parte!). Il risveglio di Prudence costituisce l’avventura interiore del romanzo. Una forza prepara tale evento: la preghiera. Questa è delicatamente presente quando «l’uomo dello scranno» dichiara il suo amore a Prudence sotto la forma allegorica di un viaggio insieme a Tahiti. «Andrei in capo al mondo per convincerla ad andare a Tahiti» dice con una strana intensità nella voce. «Farei tutto ciò che è in mio potere, assolutamente tutto, per convincerla. Ma credo che il nostro viaggio sarebbe un fallimento, un terribile fallimento, se prima di cominciarlo non fosse chiaro nella sua mente che vuole conoscere Tahiti». Allora la signorina Prim risponde: «Lei non è andato in capo al mondo per convincermi ad accompagnarla a Tahiti». «Crede?» le domanda lui con un sorriso. «Forse un giorno si renderà conto che si può andare in capo al mondo senza uscire da una stanza, Prudence».
Risvegliarsi alla fede non è proprio comodo. L’uomo dello scranno cerca di far percepire alla signorina Prim il prezzo da pagare: «La fede non è qualcosa di teorico, Prudence. Una conversione è qualcosa di così teorico come un colpo sparato alla testa. È stato il mio banco di prova, il parallelo che ha diviso la mia vita in due e che le ha dato un senso assoluto. Ma la ingannerei se le dicessi che è stato facile. Non è facile, e chi le dirà il contrario si sbaglia. Ha presupposto una lacerazione, una catarsi intellettuale, un’operazione a cuore aperto. Come un albero che si strappa da terra e si pianta in un altro luogo, come ciò che si pensa debba provare un bambino quando affronta la terribile bellezza della nascita».
L’ultimo capitolo ci porta a Norcia, luogo di nascita di san Benedetto. Ma la vita liturgica, silenziosa e operosa dei benedettini risplende già nel paese di Saint-Irénée, al di là delle vecchie mura di pietra della sua abbazia. La conclusione del romanzo è ammirevole: non troppo precisa, come è giusto che sia, per lasciar spazio al sogno e alla riflessione, ma chiara riguardo all’essenziale. Prudence Prim alla fine ha incontrato Dio, nella libertà sovrana della grazia. Ed è pronta per il viaggio a Tahiti. Il lettore chiude il libro, rinvigorito dalla gioia e dalla speranza che gli hanno comunicato la fede e il talento di Natalia Sanmartin Fenollera.
Questo romanzo, che non può non ricordare quelli di Jane Austen, può suscitare profondi scambi in famiglia, tra amici o in comunità. Può soprattutto toccare le persone che si sono allontanate dalla fede cristiana. Che un libro così denso resti gradevole, addirittura aereo, e senza pretese, è una vera impresa! In effetti «un miracolo letterario».

[Placide Devillers O.S.B., Madre Abbadessa di Notre-Dame de l'Annonciation, Le Barroux, "Il mondo in una stanza", L'Osservatore Romano, 30 aprile 2015, p. 5]

Natalia Sanmartin Fenollera con una parte della comunità monastica di Le Barroux dopo una conversazione sul romanzo.


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