sabato 5 settembre 2020

Omelia per il Giubileo del monastero di Le Barroux

Reverendi Padri,
Cari Fratelli,
Cari Fedeli, cari Amici,

Oggi celebriamo il cinquantesimo anniversario della fondazione della nostra comunità. Ieri sera eravamo riuniti in capitolo e abbiamo ascoltato che il 24 agosto 1970 Dom Gérard arrivava alla Madelène di Bédoin, in Solex, e il 25, trascorsa la notte nella casa della famiglia Ricard – che salutiamo, visto che sono anch’essi all’origine della nostra comunità –, s’installava e prendeva possesso del priorato, un piccolo priorato che poteva contenere una quindicina di monaci. Ed era solo. Di una solitudine del tutto relativa, giacché da una parte il Signore lo guidava e Nostra Signora lo accompagnava; e d’altro canto Dom Gérard aveva la ferma speranza che sarebbe stato raggiunto da alcuni anziani della sua congregazione. E Dio gli inviò… dei giovani. E noi siamo oggi più di un centinaio: 56 a Sainte-Madeleine, 32 a Notre-Dame de l’Annonciation e 18 a Sainte-Marie de La Garde, il che totalizza 106. Dio ha quindi inviato nella nostra comunità in media due fratelli o sorelle all’anno per cinquant’anni.

Ma se questo numero ha una qualche importanza, c’è un altro numero ben più essenziale e vitale. Questo numero è quello delle monete di cui parla il Vangelo, ovvero il valore monetario, ma un valore che il Signore ha dato a Dom Gérard in quel primo giorno, questi valori che Dom Gérard ci ha trasmesso. Dunque, nel Vangelo di san Luca si tratta delle monete. Più di questo, giacché si parla di dieci monete date a dieci servi, una moneta a ciascuno. Nel seguito si parla solo dei primi tre servi che vennero a rendere conto al loro sovrano il quale attende i frutti, o per essere più fedeli alla parabola, che attende gli interessi. Dom Gérard non ha ricevuto una moneta – e noi con lui –, bensì tre monete, tre grandi tesori.

La prima moneta è la Chiesa, la Chiesa cattolica; noi siamo cattolici. La seconda è la vita monastica secondo san Benedetto; noi siamo benedettini. La terza moneta è quella che si chiama la Tradizione.

Siamo anzitutto cattolici. Siamo figli della Chiesa, siamo membri del Corpo mistico di Cristo, membri con tutti gli altri membri di questo corpo di cui Cristo è alla testa. Membri assieme a quelli del passato, e questo fortemente; ma anche con quelli dell’eternità. Dom Gérard ha molto parlato della Chiesa del Cielo. Inoltre, siamo membri anche con quelli – tutti quelli – del presente. Questa moneta che il Signore ci ha dato, a tutti, mediante il battesimo, è veramente la moneta fondamentale, quella moneta che ci fa entrare, che c’inserisce, che c’innesta nel corpo mistico, nella Chiesa. San Luigi amava firmare il proprio nome “Louis de Poissy” – lo sapete, è scritto in tutti i messali – perché fu in questa citta che ricevette il dono del battesimo, e la grazia del battesimo, questa grazia ecclesiale, non l’ha sepolta, ma l’ha fatta fruttificare, diventando un grande santo. Noi siamo in primo luogo e anzitutto cattolici. È una grazia di cui il Signore attende gli interessi.

Dunque, quali interessi?

Anzitutto l’ascolto. L’ascolto attento del magistero autentico. Poi l’obbedienza agli ordini legittimi. E ancora, una profonda comunione, unità, con i nostri fratelli nella fede. Nel 1988 Dom Gérard ha fatto una scelta… – non possiamo non sottolineare la persona di Mons. Lefebvre, al quale dobbiamo molte cose. Nel 1988 Dom Gérard ha fatto una scelta dolorosa e quasi eroica. Ne ha sofferto nella carne, visto che i suoi attacchi cerebrali datano a partire dal 1988. Dopo il 1988, Dom Gérard ci ha orientati su un percorso di unità. Non era una strada con il tappeto rosso, ma piena di ciottoli. Quel percorso è stato comunque intrapreso da quel giorno. Abbiamo all’inizio integrato la CMF – Conferenza Monastica di Francia – e poi la Confederazione Benedettina, le riunioni dei cellerari, degli infermieri, dei foresterari. Recentemente siamo riusciti, più o meno facilmente, a intraprendere una collaborazione con la comunità della Pierre-qui-Vire per pubblicare, nel corso di vari anni, gli scritti di Padre Muard. Cari fratelli, è evidente che Dom Gérard non cercava l’unità per l’unità, a rischio di tradire la verità. Ma era animato da uno zelo apostolico, quel grande desiderio di aiutare la Chiesa a ritrovare la propria giovinezza. Ci ricordiamo altresì che egli diceva spesso, molto spesso, che gli altri erano migliori di noi. Daremo frutto ecclesiale solo a questa condizione: riconoscere che la Chiesa, la Chiesa di sempre, la Chiesa di oggi, è più grande, più santa, più bella di noi. Vi è un solo modo di portare dei frutti ecclesiali, cioè degli interessi, ed è riconoscendo che siamo anzitutto figli, bambini piccoli, della Chiesa cattolica.

La seconda moneta che abbiamo ricevuto è la vita monastica secondo la regola di san Benedetto. Siamo cattolici e benedettini, o piuttosto, siamo cattolici benedettini. Non abbiamo ricevuto il dono degli apostoli – erano dodici, con san Paolo tredici –, non abbiamo ricevuto il dono del parlare in lingue, né di guarire i malati. Abbiamo ricevuto il dono della Regola, una moneta fatta per dare frutti spirituali, cioè di crescere sempre più nel Signore, verso la gloria eterna.

Cari fratelli, consentitemi di ripetermi, poiché ve l’ho detto molte volte. La vita benedettina si fonda su sei pilastri fondamentali, disposti in un ordine preciso. Queste monete, lo sapete, sono un po’ come i sigilli nell’Apocalisse, si apre un sigillo, poi il sigillo ne apre degli altri, poi ci sono sette trombe; c’è uno svolgimento. Ecco, la moneta benedettina ha sei pilastri, in un ordine ben preciso.

Il primo pilastro è il silenzio, il ritiro dal mondo. Il monaco fugge le attrattive, le chiacchiere, gli annunci giornalistici, i pettegolezzi, e anche, in una certa misura, le preoccupazioni drammatiche del mondo. Come diceva Dom Forgeot – che è tornato al Padre lo scorso 15 agosto, e che è stato senza dubbio uno dei più grandi abati della nostra epoca – “il monaco deve sapere quanto basta per pregare, ma deve ignorare ancora di più per pregare meglio”.

Dopo il silenzio, il secondo pilastro è l’austerità della vita. Gli abiti, l’alimentazione, il sonno – svegliatevi, cari fratelli –, gli utensili, anche elettronici, di tutto ciò si deve fare un uso parsimonioso, con austerità, al fine di liberare lo spirito dalle preoccupazioni materiali e finanche corporali.

Dopo il silenzio e l’austerità, il terzo pilastro – il più nobile – è la santa liturgia, la preghiera continua, la vita interiore, così cari a Dom Gérard e ai nostri fondatori, Dom Romain Banquet e Madre Marie Cronier. È veramente lì che il Signore ci attende. È soprattutto lì che attende gli interessi da parte dei monaci. Abbiamo la grazia di avere una sacra liturgia piena di verità e di poesia. Questa preghiera sulla quale siamo certi di potere fare fruttificare la nostra vita di preghiera – personale e comunitaria – ed entrare sempre più nel pensiero di Nostro Signore, avvicinarci al grande mistero del Dio tre volte santo. È lì che siamo sicuri di potere fare dei profitti senza limite, crescere verso Dio che è senza limite, ma anche verso le periferie del mondo, e in tal modo irrigare con un fiume sotterraneo, misterioso, l’autentica storia del mondo, che è sempre sotterranea, che non è mediatica: la storia della salvezza.

Gli ultimi tre pilastri, li conoscete, cari fratelli – se interrogassi i novizi, mi risponderebbero immediatamente –, sono la vita comunitaria (non siamo degli eremiti), la vita fraterna, la vita familiare con il Padre Abate, gli anziani e i più giovani – “un mistero, questa comunità”, diceva Dom Gérard in una lettera agli amici –; il lavoro manuale, prima e fondamentale penitenza dell’uomo peccatore; e infine l’accoglienza degli ospiti come Cristo.

In tutti questi punti, noi dobbiamo e possiamo portare frutto, frutti visibili – certamente –, ma lo ripeto con tutta la tradizione e con Dom Gérard, è nella vita di preghiera alimentata alla fonte della sacra liturgia, che il monaco può specificatamente portare frutto al centuplo.

Abbiamo parlato della prima moneta che è la Chiesa, della seconda moneta che è la vita monastica; c’è ancora la terza moneta, il terzo valore, ciò che si chiama Tradizione, una moneta preziosa per la quale Dom Gérard ha combattuto come un leone.

I più giovani fanno fatica al giorno d’oggi a immaginare le condizioni nelle quali si sono trovati i nostri anziani, un’autentica rivoluzione negli anni 1970, e – per riprendere l’immagine della moneta e della banca – si potrebbe quasi parlare di un crac della borsa. Giovanni Paolo II ha parlato di apostasia silenziosa, gli Charlier hanno parlato della dittatura dei tecnocrati, Dom Adalbert de Vogüé di un’epidemia, non di coronavirus, ma di pigrizia spirituale, e Paolo VI di fumo di Satana.

Dom Gérard ha reagito con vigore. Questa moneta, l’abbiamo perciò ricevuta in un movimento di reazione e di protesta. Non bisogna nascondersi questa verità, che noi resteremo ancora a lungo – anche agli occhi di molti cristiani – come dei reazionari, e lo saremo sempre un poco. Ma attenzione, non siamo anzitutto dei reazionari. Dom Gérard ci ha presentato questo tesoro tradizionale in maniera ben più positiva; non soltanto reazionaria, ma feconda. La Tradizione non deve mai diventare un museo militare o un museo delle cere delle bellezze del passato; essa è una sorgente, una moneta che deve portare degli interessi.

Tale moneta è stata feconda in sé. Ricordo inoltre i tre pilastri, perché questa terza moneta apre a sua volta su altri valori. Dom Gérard ha molto insistito su questi tre pilastri, che sono la ragione stessa della nostra esistenza, delle nostre comunità. In primo luogo, la filosofia realista come fondamento della sana teologia, quindi la verità e i mezzi sicuri onde pervenirne. Le osservanze monastiche ereditate dai nostri anziani: è la verità dell’esperienza dei nostri anziani. E infine la sacra liturgia, che è rivelatrice della grande verità delle meraviglie di Dio.

È tempo per me di concludere questa omelia. Cinquant’anni fa abbiamo ricevuto tre monete: la Chiesa, la vita benedettina, la Tradizione. Il Signore attende da noi dei frutti, e ritorna, ritorna presto. Non possiamo passare sotto silenzio questa minaccia, che se non portiamo frutto, verrà a prendere la moneta. Anche se gli si dicesse “Signore, non c’è più nulla!”, Gesù l’ha detto, anche se non c’è più nulla verrà a prenderla. Occorre portare frutto, altrimenti ci prenderà la moneta e la darà a qualcun altro. Ci sarà qualcun altro per continuare la missione, ma la darà a qualcun altro. Ricordiamoci soprattutto, soprattutto, dei primi due servi: “Signore, avevo una moneta, ebbene eccone dieci”. “Bene, ricevi dieci città”. Incredibile! “Signore, io ne ho guadagnate cinque”. “Benissimo, ebbene ti do cinque città”. Cinque città, vi rendete conto? Cosa sono queste città? Sono le anime, le anime, la città eterna nella quale sono entrate le anime per le quali avremo svolto un ruolo di salvezza.

Amen.

[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, omelia per la Messa di Giubileo dei 50 anni della fondazione da parte di Dom Gérard Calvet O.S.B. [1927-2008] della comunità benedettina di Sainte-Madeleine, 25 agosto 2020, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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