sabato 1 dicembre 2012

Salmodia e preghiera nella Regola di san Benedetto / terza e ultima parte

Statua di san Benedetto posta all'ingresso della Comunità
degli Eremiti della Beata Vergine del Soccorso di Minucciano
San Benedetto non perde di vista il fatto che l’ufficio non dev’essere soltanto un momento di culto, di lettura, di omaggio al Signore, ma dev’essere anche un contributo personale, uno sforzo più faticoso per salire verso Dio. Certo, la preghiera silenziosa, secondo la Regola del Maestro, durava un minuto, forse un minuto e mezzo, ed era molto importante, anche se Cassiano e Benedetto nel passo sopracitato dicano che dev’essere breve, perché non deve aprire degli spazi alla dissipazione, alle distrazioni e divagazioni, ma dev’essere assoluta attenzione a Dio. Quindi, mentre la salmodia richiede soltanto “un contegno estremamente rispettoso e uno spirito attento” e non solo di recitare i salmi con le labbra, ma di capirli e di recitarli con il cuore attento alle parole, l’orazione richiede uno sforzo ulteriore, una supplica personale, una richiesta di grazia, che quindi non è solo una lettura, una giusta interpretazione, ma una partecipazione. E all’interno di questo movimento si produce una carica spirituale che deriva dalla risposta alla grazia.
Ecco perché il contemporaneo di San Benedetto, San Cesario d’Arles, che scrive una regola per i monaci e un’altra per le monache, la prima nella storia del monachesimo scritta appositamente per le donne, paragona l’orazione personale, privata, che segue i salmi, all’aratura, al lavoro del contadino che ara. Fa addirittura un gioco delle parole “orare” e “arare”, cioè, pregare e arare, un’aratura del cuore da parte della parola di Dio, che poi produce i suoi frutti:
“A che scopo salmeggiare con fede, se dopo aver lasciato di salmeggiare si trascura di supplicare Dio? Perciò ognuno, quando ha finito di salmeggiare, preghi e supplichi il Signore con tutta umiltà affinché quello che ha pronunciato con la sua bocca ottenga con l’aiuto di Dio di eseguirlo con le sue opere”.
Si tratta di un vero e proprio dialogo, nel quale Dio ha l’iniziativa: il salmo è la parola di Dio, che deve per forza precedere quella dell’uomo, perché è stato Dio a creare l’uomo, è stato Dio ad amare per primo, ecco perché egli parla per primo. La parola di Dio è l’introduzione necessaria perché l’uomo gli risponda e subentri con la sua voce interiore.
Gli studiosi di liturgia molto spesso hanno constatato che nelle celebrazioni liturgiche si rivela un certo orrore del vuoto, per cui il silenzio, il “vuoto”, crea una certa inquietudine; ecco perché si tende a creare una continuità nella celebrazione. Mentre il silenzio, essendo più fragile, può dare adito alla distrazione. Un’altra ragione perché questa orazione è sparita può essere il fatto che i monaci hanno cominciato a concepire l’insieme del salterio come se fosse una preghiera, e questo, perché in realtà i salmi sono già di per sé un dialogo tra l’uomo e Dio, a prescindere dall’orazione personale che il monaco potrebbe aggiungere. Nei salmi a volte è Dio che parla all’uomo, a volte l’uomo che parla a Dio; la recita dei salmi è già un interscambio. Questo ha forse fatto sì che l’uomo si senta esonerato dall’intervenire con la sua orazione silenziosa. Un altro elemento che è subentrato: il Gloria alla fine dei salmi. Anticamente il Gloria si diceva solo con i salmi che erano preceduti dall’antifona; in seguito, invece, l’acclamazione del Gloria si è estesa a tutta quanta la salmodia, e si è sostituita all’orazione privata. Tuttavia, questo fenomeno rimane piuttosto inspiegabile per un autore come il de Vogüé, alla ricerca della purezza originaria di tutte le norme della Regola, e delle consuetudini monastiche.
L’autore della Regola del Maestro, che si trova davanti alla necessità di dover abbreviare l’ufficio, lo fa a scapito dell’orazione silenziosa, e quindi proprio a questo punto, alla fine del VI secolo, si assiste a questo processo, per cui l’orazione silenziosa del monaco è meno importante del salmo e del Gloria, per cui si ha il fenomeno della parola che prevale sul silenzio. Sappiamo che il silenzio è uno dei grandi strumenti ascetici dell’arte spirituale, e non soltanto nella Regola benedettina; ha un altissimo valore nell’educazione spirituale. Ma l’evoluzione storica dell’ufficio monastico ha seguito la tendenza di eliminare il silenzio, e questo fatto è avvertito dal de Vogüé come una perdita grave, soprattutto perché in questo egli legge che il profitto spirituale per la propria preghiera che l’uomo potrebbe ricavare dal salmo e dalla sua recita viene meno. Ai tempi antichi, presso gli egiziani, la salmodia, com’era organizzata, era un messaggio all’uomo, una lezione di Dio all’uomo, perché l’uomo trovasse il coraggio e la forza di rispondere a Dio e di parlargli con il cuore, direttamente, personalmente; in seguito si trasforma in qualche modo in un semplice omaggio celebrativo dell’uomo verso Dio.
Può sembrare così un processo di grande impoverimento; tuttavia, la salmodia e l’ufficiatura può rappresentare un vero arricchimento implicito, non nascosto, che è ancora viva e parlante, e accessibile all’uomo attraverso la lettura delle fonti che possono ricostituirne la qualità spirituale originaria. È un fatto molto importante quindi di pensare che la salmodia e l’ufficio divino possono essere un modo per ricevere, non solo un modo per celebrare, per rendere omaggio e per cantare, per rendere lode a Dio, ma anche per ricevere il coraggio di parlargli. Tutto questo rappresenta una delle interpretazioni dell’ufficio divino e della salmodia in San Benedetto più contemporanee, attuali; naturalmente esistono delle altre interpretazioni, altrettanto valide. Consiglio comunque il libro La Regola di San Benedetto: Commento dottrinale e spirituale di Adalbert de Vogüé (Edizioni Abbazia di Praglia, 1984), il quale, oltre a comunicare attraverso un lungo capitolo la dottrina sul senso dell’ufficio divino, sulla base dei suoi studi, si cura di riportare anche alcuni opinioni diverse sullo stesso argomento.

[Da una conferenza del 13 novembre 2000 della dr.ssa Mariella Carpinello; testo tratto dal sito Internet della Conferenza Italiana Monastica Benedettine (CIMB) www.benedettineitaliane.org / 3 - fine]

Share/Save/Bookmark